REGGIO EMILIA | Galleria VV8artecontemporanea | 15 novembre 2014 – 12 gennaio 2015
Intervista a LUCA GILLI di Chiara Serri
Naturalista per formazione, fotografo per vocazione, Luca Gilli propone una personale lettura della realtà a partire da un’approfondita conoscenza della natura. Di ritorno dal Museo della Fotografia di Seoul e dalla Galleria Domus dell’Università Claude Bernard di Lione, lo incontriamo alla Galleria VV8artecontemporanea di Reggio Emilia, dove sono esposte fotografie delle serie Silenzi di forme (2002) e Samsãra (2010-2012). In queste ultime opere, la natura è organismo vivente, teatro nel quale – scrive Michel Quétin – si affrontano alberi guerrieri.
La mostra s’intitola Samsãra. Il tuo interesse per la natura?
Da sempre la natura è un fondamento della mia vita. Dopo essermi laureato in Scienze Naturali, ho cominciato a praticare la fotografia a colori in relazione alle attività di ricerca, sul campo e in laboratorio, eseguite per l’Università di Parma. Da questi miei inizi è trascorso poco più di un ventennio fotografico del quale più della prima metà confinata in un ambito strettamente naturalistico documentale, che mi ha lasciato soprattutto un importante bagaglio tecnico e la capacità di entrare in sintonia con l’alterità, con i tempi e le manifestazioni della natura. Gli anni successivi sono stati, per così dire, segnati da un progressivo e appassionante “divagamento creativo”, prima in b/n e poi di nuovo a colori. Un periodo travagliato, contraddistinto, in natura come altrove, da un cospicuo alleggerimento strumentale e non solo.
L’esposizione presenta due diverse serie realizzate a una decina d’anni di distanza. La scelta di esporle insieme?
In effetti la mostra comprende foto in b/n della serie che, dal 2000 al 2005, ho dedicato al paesaggio naturale del nostro Appennino (Silenzi), assieme ad un progetto a colori realizzato durante un viaggio in Patagonia nel 2010, ma che ha preso forma solo due anni dopo (Samsãra). L’idea di esporre assieme una sintesi delle due ricerche, lontane nel tempo e nello spazio, è dei galleristi Chiara Pompili e Alberto Soncini; proposta che, devo confessare, all’inizio mi ha trovato un po’ freddo, ma che poi mi ha convinto pienamente anche perché funziona e rivela bene un certo “Samsãra fotografico” che mi riguarda intimamente.
Il passaggio dal bianco e nero al colore?
Premesso che la distinzione tra documentazione e creatività è sempre più schematica che reale, posso dire che, al di là delle rilevanti differenze linguistiche, è probabile che la mia scelta di passare al b/n per iniziare un percorso più creativo e personale sia stata conseguente alla mia forte fascinazione di quel periodo per i grandi maestri americani (A. Adams, E. Weston, M. White, P. Caponigro ecc.), all’esigenza di condurre in prima persona la stampa di ogni fotografia (che ancora persiste immutata), e, con il senno di poi, anche alla necessità di sottolineare a me stesso una certa discontinuità con gli inizi. In seguito, il discorso si è strutturato ed evoluto, le idee, la sensibilità e i modelli sono cambiati e il ritorno al colore, ma a un colore molto diverso, è stato inevitabile.
Che importanza ha per te il viaggio?
Quella del viaggio è prima di tutto una predisposizione mentale. Viaggiare è bello perché significa fare esperienza e mettersi in gioco, è movimento e incontro, è novità e trasformazione, e tutto ciò a prescindere dal luogo, dal contesto e dalla durata. Ad esempio, io viaggio ogni volta che prendo la fotocamera e scatto per un progetto, che sia dentro le mura di casa o a 10.000 chilometri di distanza, per dieci minuti o parecchi giorni.
In passato lavoravi in camera oscura, ora segui ed esegui personalmente la stampa. Cos’è per te la fotografia?
Per me la fotografia è un mezzo fondamentale per meditare, per entrare in relazione con se stessi e con il mondo, per cercare di conoscersi e conoscere, per esprimersi e comunicare.
Tra i tuoi ultimi cicli c’è Blank, una serie realizzata all’interno di edifici in costruzione e premiata al MIA e ad Art Verona. Com’è nato questo progetto? Il passaggio dalla natura alla quotidianità?
Qualche anno fa ho avvertito l’esigenza di confrontarmi con un ambito segnato da alcune forti connotazioni, contraddizioni e tensioni emblematiche della contemporaneità e della mia stessa vita. Ho dovuto assecondare l’impulso di avvicinarmi di più al quotidiano, di uscire dal “mio rifugio” nella natura. Nella sua essenza il cantiere, soprattutto quando non è eccellenza e se vissuto dall’interno, è ovunque sempre uguale a se stesso: un ambito in rapida trasformazione, caotico, frenetico, rumoroso e oltremodo sovraccarico, proprio come il nostro tempo, come la nostra vita. Agire fotograficamente nell’intimità lacerata e impresentabile di questi luoghi comuni, spesso ancora privi d’identità e di storia, o comunque sopraffatti dall’ansia di nascondere rapidamente i segni “meno conformi” al presente di un loro eventuale passato (talvolta anche rilevante); immergersi nelle tensioni e nelle convulsioni del loro divenire è stata anche una risposta all’esigenza di confrontarmi con un ambito privo, all’origine, dell’armonia e dell’incanto che ho sempre ritrovato nella natura, persino nelle sue manifestazioni più cruente. Entrare in risonanza creativa con questi contesti banali e precari, sperimentare, giocare con le loro luci, le loro forme, i loro volumi si è rivelata un’esperienza totalizzante che prosegue viva e vivace.
Come nasce una tua opera dal punto di vista tecnico?
Fino ad oggi per realizzare le mie fotografie non ho mai fatto ricorso alla messa in scena, al collage digitale, ad aggiunte o eliminazioni a posteriori di colori e oggetti. Fino ad ora è stato importante partire sempre e rigorosamente dalla realtà, così come l’ho trovata, partecipata e vissuta.
Progetti per il futuro?
L’anno che sta finendo è stato intenso e ricco di soddisfazioni, con diverse esposizioni personali anche all’estero. Il 2015 inizierà con la mia partecipazione ad ArteFiera e SetUp di Bologna e proseguirà con altri progetti espositivi che sono in corso di definizione.
Per finire, il Menu del giorno?
A Bologna, oltre a Samsãra e Blank, presenterò il progetto Menu del giorno, che è stato esposto nel circuito istituzionale di Fotografia Europea a Reggio Emilia nel 2011. Riguarda il cibo nella sua accezione più ampia, personale ed evocativa. Almeno nella mia intenzione…
Luca Gilli nasce a Reggio Emilia nel 1965, vive e lavora a Cavriago (RE).
Luca Gilli, Samsãra
15 novembre 2014 – 12 gennaio 2015
Galleria VV8artecontemporanea
Via Emilia Santo Stefano 14, Reggio Emilia