Intervista a SALVATORE ARANCIO di Livia Savorelli**
L’estetica dell’ibrido, la sovrapposizione di immagini a metà strada tra l’evocativo e l’inquietante, unitamente ad una pratica che si sviluppa a partire da categorie antitetiche – naturale ed artificiale, minerale e vegetale, scienza e mitologia, bidimensionale e tridimensionale – sono la cifra stilistica di Salvatore Arancio, artista di origini catanesi ma oramai cittadino del mondo, la cui ricerca si caratterizza per un approccio multiforme e miltidisciplinare, con una predilizione per il site-specific: fotografia, animazione, video, incisione e collage in dialogo con un medium, la cui fascinazione è piuttosto recente, che gli permette una grande libertà espressiva, la ceramica.
Lo scorso anno, in occasione della sua personale alla Whitechapel Gallery di Londra, Surreal Science: Loudon Collection with Salvatore Arancio, l’artista ha così dialogato con la ricca collezione di George Loudon, costituita da libri antichi, reperti animali e minerali, studi scientifici ed anatomici, ricreando una suggestiva e contemporanea Wunderkammer.
Per la personale realizzata per Casa Museo Jorn ad Albissola Marina – dal titolo Like a Sort of Pompeii in Reverse, a cura di Luca Bochicchio, in corso fino al 22 settembre – Arancio sceglie di citare il testo, scritto da Guy Debord nel 1972, per il libro di Jorn Le Jardin d’Albisola, realizzato da Ezio Gribaudo per le Edizione D’Arte Fratelli Pozzo di Torino e pubblicato postumo nel 1974.
L’artista avvia, così, un dialogo intorno alla scultura, a partire dalle molteplici forme e architetture del giardino, interrogandosi sulla loro origine – naturale o artificiale? – innestandosi, con la stessa ambigua modalità, nel loro silente dialogo: attraverso l’argilla, dà vità a nuove proiezioni, nuovi innesti che scaturiscono dalla rilevazione plastica del negativo delle forme e dei volumi del giardino, rendendo il più sentito omaggio al celebre artista danese e al suo modo di concepire la metamorfosi e l’immaginazione.
Nuove sculture in ceramica prendono vita, plasmate dalle mani dell’artista, perfezionate dal dialogo con alcune botteghe ceramiche della cittadina ligure in provincia di Savona.
Ripercorriamo con Salvatore Arancio, le origini del suo avvicinamento alla ceramica, i successi degli ultimi anni, fino ad arrivare – non senza un certo orgoglio campanilistico, essendo la nostra redazione albissolese – al suo rapporto con Albissola e Casa Museo Jorn…
Gli ultimi due anni sono stati caratterizzati da importanti traguardi, a partire dall’invito, nel 2017, alla 57. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia, da parte della curatrice Christine Macel, come uno dei soli sei artisti italiani selezionati. Quali credi siano le ragioni di questo successo?
Difficile per me rispondere, di sicuro penso che sia tutto dovuto al duro lavoro e alla mia immersione totale in quello che faccio. Questo è per me tutt’altro che una forzatura, poiché mi sento sempre fortunato nel pensare di essere riuscito a creare una pratica artistica basata su quello che mi appassiona. Il fatto che la mia continua investigazione sui temi legati alla natura, al paesaggio, alla scienza e alla mitologia riesca ad avere una valenza universale, ha sicuramente contribuito ai riconoscimenti e ai traguardi degli ultimi anni. Mi piace anche pensare che essere sempre rispettoso e onesto nelle relazioni lavorative, crei una certa energia positiva che mi segue da anni.
Hai iniziato a lavorare la ceramica nel 2012, dopo una residenza organizzata dal Museo Carlo Zauli. In un’intervista di un paio d’anni fa, realizzata da Irene Biolchini e pubblicata su Espoarte n. 97, hai dichiarato: «Se la fotografia era un mezzo per registrare la realtà, lavorare con la ceramica mi ha permesso di immobilizzare – e su materia – un regno di memorie, fantasie. Il primo approccio è stato in qualche modo liberatorio, è a quel punto che ho capito come volevo usare la ceramica andando contro la “restrizione” tecnica, super-precisa, della fotografia. La ceramica mi ha liberato dalle privazioni, dalle restrizioni, dalle regole. E questo è stato possibile anche per via del materiale stesso, che rimanda alle feci, a qualcosa di sporco: il manipolarlo ti riporta a superare il tabù. Si prova un piacere fisico nella manipolazione, che probabilmente è legato alla rottura di tutte le restrizioni».
A distanza di due anni, il tuo rapporto con il medium è sicuramente maturato. Si sono aperte nuove prospettive e possibilità di dialogo anche con gli altri media che caratterizzano la tua ricerca?
Diciamo che i principi sono rimasti gli stessi, trovo ancora molto piacere nell’usare questo materiale e, di sicuro, il valore subconscio e primordiale del mio rapporto con esso diventa sempre più evidente.
Il crossover tra i vari elementi della mia pratica è sicuramente diventato sempre più ibrido, sia sul lato dei materiali sia su quello del display. Molto spesso nella mia pratica il bidimensionale diventa tridimensionale, un’immagine diventa animata, un dettaglio preso in natura è ingrandito in forme scultoree che poi, viceversa, diventano set per una performance e così via, tutto questo cercando il più possibile di ottenere una continua correlazione tra forma e contenuto.
A parte Faenza – e il rapporto privilegiato con la Bottega Ceramica Gatti, con la quale hai realizzato il maestoso lavoro presentato alla scorsa Biennale – con quali altre realtà ceramiche (italiane e non) hai collaborato in questi anni? Quanto è importante per te il dialogo artista/artigiano nella realizzazione di un’opera d’arte in ceramica?
Negli anni ho lavorato in diversi luoghi dove si lavora la ceramica, partendo da storie e tradizioni totalmente diverse. Come hai ben detto prima, tutto è iniziato al Museo Carlo Zauli di Faenza passando poi per l’EKWC in Olanda, le bottege ceramiche di Castellamonte e di Castebuono, Il Camden Arts Centre di Londra, i laboratori della Cité des Arts di Parigi, la residenza a Casa Wabi a Puerto Escondido e gli ultimi progetti a Montelupo Fiorentino, fino ad arrivare alla recente esperienza ad Albissola…
Il mio rapporto con la Ceramica Gatti e Davide Servadei, che ci ha legato negli ultimi anni, rappresenta sicuramente un punto di riferimento importante del mio percorso ceramico. Questo legame definisce al meglio quello che, per me, il dialogo artista/artigiano dovrebbe rappresentare: un rapporto continuo, basato su stima reciproca e amicizia, un continuo scambio tra la loro profonda conoscenza del materiale e la mia voglia di sperimentare.
Come accennato in altre interviste in passato, oltre all’importanza che attribuisco al valore umano quello che mi muove è sopratutto il piacere nei momenti di scambio con persone che magari hanno speso la vita intera solo a perfezionare una specifica tecnica o modalità di lavoro. Mi diverte sopratutto confrontarmi con la loro conoscenza e cercare di creare nuovi ibridi, cercando nuovi crossover.
Sta per inaugurare un progetto site-specific realizzato per Casa Museo Jorn ad Albissola Marina (SV), dal titolo Like a Sort of Pompeii in Reverse, curato da Luca Bochicchio, direttore artistico del Museo. Esso nasce appunto dalle fascinazioni visive del giardino della casa, da te colte in occasione di diversi sopralluoghi. Un luogo di assoluto fascino, disseminato delle concrezioni polimateriche, di paternità volutamente ambigua ed ironica, realizzate dal noto artista danese Asger Jorn insieme all’assistente e amico Umberto Gambetta (detto Berto)… Quale è stata la suggestione che ha dato l’impulso al progetto? Come ti sei posto in dialogo con un luogo così ricco di storia?
Innanzitutto c’è da dire che la Casa Museo Jorn è un posto veramente fantastico! Un “Folly”, un collage tridimensionale dove milioni di frammenti, dettagli e temporalità diverse si sovrappongono in continuazione mentre la si esplora. Tra il 2017 e il 2019 ho compiuto numerose visite e sopralluoghi insieme a Luca Bochicchio, anche se la mia idea iniziale è rimasta inalterata ed è quella su cui ho effettivamente sviluppato la mostra.
Mi ha subito attratto la sensazione di ambiguità, delle origini e paternità, delle numerose tracce che Jorn e Berto hanno lasciato. Quando, per la prima volta, ho esplorato il giardino, facevo veramente fatica a distinguere cosa fosse naturale o artificiale e dove la mano di Jorn e quella di Berto si potessero distinguere. Questa è stata la mia primaria forma di fascinazione con questo posto magico.
Ho cominciato a vedere queste tracce incastonate nelle superfici irregolari del giardino, come dei veri e propri elementi lasciati a metà, in uno stato congelato, in metamorfosi. Ho create le mie sculture, usando queste tracce come se fossero dei veri e propri calchi lasciati da Jorn e Berto, e che attraverso la mia modellazione e creazione potessero finalmente essere completati, partendo dal loro spazio negativo.
Negli scorsi mesi hai frequentato molto Albissola Marina e le sue botteghe…
Un altro aspetto importante per completare il cerchio è stato, infatti, collaborare con il laboratorio ceramico con cui Jorn ha lavorato. Ho scelto di avvalermi, quindi, dell’aiuto della Nuova Fenice di Barbara Arto per le rifiniture a terzo fuoco, ma era soprattutto collaborare con le Ceramiche San Giorgio un punto indispensabile per completare questa ricongiunzione con il passato della Casa Museo Jorn. Il fascino di entrare in questo laboratorio, con tutte le storie e memorie che si respirano, ma soprattutto avere la fortuna di operare con chi ha lavorato con Jorn stesso, persone che, anche se hanno una certa età, non hanno di sicuro perso la passione nel lavorare questo materiale e collaborare con gli artisti. Casa Jorn è intrisa di storie e tracce della collaborazione fra Jorn, Berto e Giovanni Poggi, che ancora oggi guida la bottega fondata nel 1958 ad Albissola Marina. Per me lavorare con Giovanni Poggi e Silvana Priametto, ha rappresentato l’anello mancante per poter ricongiungere il mio lavoro con il passato della Casa e, perché no, in qualche modo sentirmi ancora più vicino a Jorn.
* Il titolo è una citazione dal testo che Guy Debord scrisse nel 1972 per il libro di Jorn Le Jardin d’Albisola, realizzato da Ezio Gribaudo per le Edizioni d’Arte Fratelli Pozzo di Torino e pubblicato postumo nel 1974.
** Intervista tratta da Espoarte #106
Salvatore Arancio: Like a Sort of Pompeii in Reverse
a cura di Luca Bochicchio
11 luglio – 22 settembre 2019
Casa Museo Jorn (MuDA Museo Diffuso Albisola)
via Gabriele D’Annunzio 6-8 | località Bruciati
17012 Albissola Marina (SV)
Orari: Mar 9.00 – 12.00, Gio 15.00 – 17, Sab/Dom 10.00 – 13.00, 16.00 – 20.00
(a settembre chiude ore 19)
Promossa da: Amici di Casa Jorn
Con il patrocinio di: Comune di Albissola Marina
La mostra è resa possibile da: Amici di Casa Jorn Associazione di Promozione Sociale
Galerie Semiose, Paris (main sponsor)
Collezionie Privata, Santa Margherita Ligure
Hotel Garden, Paola Boggi
Catalogo: Vanillaedizioni – collana MuDA BOOKS
Media partner: Espoarte
Info e contatti: www.museodiffusoalbisola.it | www.amicidicasajorn.it
via Gabriele D’Annunzio 6-8 | località Bruciati
17012 Albissola Marina (SV)
T. +39 019 484704 | amicidicasajorn@gmail.com