Intervista a Roberto Coda Zabetta di Beatrice Salvatore
Il lavoro di Roberto Coda Zabetta è autobiografia che diventa racconto corale del dolore. È volontà di affidare alle immagini emozioni vissute, dirompenti come un’esplosione, di parlare agli altri mettendo in gioco il sé. Sembra di vederlo nel suo studio immerso nella luce: davanti a tele enormi l’urgenza di un gesto che stravolge, unifica, nega oppure lascia emergere segni, cercando un possibile senso o uno spazio, il più grande possibile, dove poter far convivere contraddizioni, smarrimenti e domande. I suoi volti urlanti con occhi immensi di paura, come le bombe atomiche, sono la necessaria conoscenza della sofferenza, della sua prepotente presenza. Si definisce “domatore” RCZ, e si può capire questo, dalla sua “necessità” espressiva e dalle parole libere di questa intervista…
Beatrice Salvatore: Prima di questa mostra e di Nuvole Sacre hai dipinto soprattutto volti, da dove nasce questo interesse?
Roberto Coda Zabetta: Dalla consapevolezza estetica che, oltre al comune racconto, ci sia anche una lettura capace di approfondire qualsiasi argomento descritto. Guerre, genocidi, incidenti stradali, albini, malati di cancro e aborti. Oggi la bomba atomica e il fumo.
Rispetto alla “fisicità”, fortemente espressiva, dei dipinti precedenti in cui il volto, il corpo è presente, evidente, in questi Lavori recenti, il tuo ultimo progetto, sembra essere avvenuto un passaggio. Ora dov’è il corpo?
Intanto, da ciò che si può vedere fino ad ora, ibridando immagini, corrompendo segni con altri segni, sogni con altri sogni, lottando a favore dell’irriconoscibilità, manomettendo, deviando, dando strenuamente segni contraddittori, c’è comunque un filo conduttore. La mia prima aspirazione è comunque liberarsi della forma. Quando non ne si può fare a meno, e non puoi farlo perché i volti urgono nei loro mezzi espressivi, ci sono con forza e faccio di tutto per disturbarla, insultarla, disarcionarla, in una miriade di segni che entrano in ogni, pur ridotto, dettaglio fisiognomico dei volti alterati.
È una lunga storia, quella dell’offesa alla forma.
In questo nuovo lavoro la fisicità rimane pura, cede totalmente alla psichicità, è forse il riscatto di una spinta interna che si proietta, poi, senza remore all’esterno. Ma nell’abisso dell’informe c’è anche una splendida esplosione, una ricchezza dissipativa di segni. C’è una natura che vuole farsi sentire. E qui ci si gioca l’intero procedimento, che il corpo ci sia ancora o no, è ancora tutto da scoprire. Anche nel fumo.
La maggior parte delle tue opere sono di grandi dimensioni. C’è un motivo, per questa scelta, anche di tipo gestuale?
Ho solo e sempre fatto ciò che volevo. Gesti compresi.
Hai dei riferimenti pittorici, artistici o culturali ai quali guardi?
Direi di no o forse tutti ne abbiamo, ma non ce ne accorgiamo.
Amo passare notti profonde a discutere e crescere, con amici o con persone conosciute per caso. Il resto è il nulla, senza il quale, non potremmo essere ciò che siamo. Certo De Kooning, è sempre De Kooning…
In questa mostra napoletana presenti anche la scultura. Mi colpisce anche la scelta dei materiali, gommapiuma, resina, acciaio, che sembrano suggerire una volontà di unire materiali poveri e più “grezzi” con una materia più “nobile”, perfetta nella sua luce. Da cosa nasce questa scelta e l’esigenza della scultura in questa mostra?
Nel passato mi sono cimentato solo una volta con la scultura. In Indonesia con grandi artigiani. È stato molto facile. Erano volti, teste dilaniate dal cancro, mai esposte. Per me oggi è un’altra cosa, quelle che presento al Pan non sono solo sculture ma la forma tridimensionale dell’opera stessa. Il fumo, che è stato la mia grande ispirazione trova nella terza dimensione il suo vero volto. Così ho costruito il fumo come oggetto. E poi il materiale. Materiali consueti appesantivano esteticamente il lavoro e non riuscivo a dare un senso alla sua leggerezza. Il poliuretano espanso, sotto forma di schiuma che poi diventa la gomma piuma da noi tutti utilizzata era per me la soluzione perfetta. Poi, grazie questa volta agli artigiani marchigiani, ho trovato la soluzione per presentare il lavoro finito. Bagno al cromo liquido. Il risultato mi ha entusiasmato da subito.
La mostra in breve:
Roberto Coda Zabetta. Lavori recenti
a cura di Maria Savarese, Igor Zanti e Claudio Composti
In Collaborazione con Galleria Poggiali e Forconi e mc2gallery
PAN | Palazzo delle Arti Napoli
Via dei Mille 60, Napoli
Info: +39 081 7958630
Inaugurazione sabato 2 aprile ore 18.00
2 – 25 aprile 2011
In alto, da sinistra:
“Senza titolo”, smalto su tela, cm 100×100
“Senza titolo”, smalto su tela, cm 150×150
In basso, da sinistra:
“Senza titolo”, gommapiuma-acciaio-resina, cm 177x40x33
“Senza titolo”, gommapiuma-acciaio-resina, cm 188x31x35