VENEZIA | Giardini della Biennale | Fino al 24 novembre 2024
di FRANCESCA DI GIORGIO
Con gli adesivi raccolti al desk stampa del Padiglione Polonia all’ultima Biennale Arte ho tappezzato il fronte della mia agenda. Quella sequela grafica di #repeatafterme (ripetete dopo di me, titolo del Padiglione polacco alla 60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia) da fine aprile scorso – durante l’opening della Biennale – segna le mie giornate. Apro e sfoglio l’agenda proprio a partire da quegli adesivi ormai semi-consunti che come una porzione di tappezzeria scrostata dal muro non perdono la loro potenza di mantra, a volte leggero, a volte sinistro.
Ve lo dico subito, appena entrata nel Padiglione Polonia non sono riuscita a ripetere al microfono i suoni suggeriti dalle persone dei video trasmessi su grandi monitor, o meglio dentro di me l’ho fatto ma non è bastato a compiere la missione. C’era buio e forse senza vergogna, avrei potuto, ho provato, ma non l’ho fatto. Ecco, credo che il Padiglione Polonia, forse il migliore, di questa ultima biennale ci dica anche questo: tocca sempre a noi, è sempre il nostro turno per dire, ricordare, opporci o passare semplicemente la parola a qualcuno. Senza retorica, e alla ricerca di un’empatia che sembra ormai perduta.
L’antefatto è questo: buio pesto proprio come quando entri in un cinema dove la proiezione è già iniziata e cerchi disperatamente un posto a sedere ma qui di sedute ce ne sono poche perché l’invito in fondo è quello di restare in piedi come ad un concerto, fermarsi davanti ai video e spostarsi nello spazio tra i microfoni che sembrano in attesa della band di un concerto che deve ancora iniziare, sono lì per noi quei microfoni, per un karaoke a sorpresa. I testi da cantare non sono quelli di canzoni famose e presto ci si accorge che dobbiamo “solo” ripetere dei suoni emessi dalle persone, donne e uomini di età diverse. Sono le riproduzioni vocali del sonoro degli armamenti che i civili ucraini, con status di rifugiati in diversi Paesi, ora riprodotti per noi nei video, ci invitano a ripetere, preceduti da una didascalia che definisce la tipologia dell’arma. I suoni di proiettili, cannonate, sirene antiaeree ed esplosioni a noi praticamente semi-sconosciuti e a loro così familiari.
TRRRRRRRRRR VShchlukh BUMBUMBUMBUMBUMBUM – THuhf WUUUUUUUUUU TUFKH – BUKhKhKhKh! UuUuUuUuUuUuUuUuUuUu UMMMMMMMM… Sono alcune delle onomatopee, che si susseguono nei video e che per un attimo ricordano un gioco da bambini.
A quei civili la capacità di riconosce quei suoni può salvare la vita. La distanza tra noi e loro è fatale ma viene irrimediabilmente accorciata.
Questa è l’opera, Repeat After Me II, del collettivo di artisti ucraini Open Group – Yuriy Biley (1988), Pavlo Kovach (1987) e Anton Varga (1989) – un’installazione audiovideo, “un ritratto collettivo di testimoni della guerra in corso in Ucraina” che in realtà non avrebbe dovuto esserci nel senso che se non fosse stato per il cambio di Governo della fine dell’anno scorso, il Padiglione polacco avrebbe presentato una mostra del pittore Ignacy Czwartos e che ha decisamente ribaltato le prospettive dell’esposizione organizzata dalla Galleria nazionale d’arte Zachęta. Un ribaltamento temporale che ci permette di conoscere un lavoro di Open Group iniziato molto prima della convocazione in Biennale – e che si è aggiudicato anche una menzione d’onore all’ultima edizione del Prix Ars Electronica: dal primo video girato in un campo profughi vicino a Leopoli al secondo girato fuori dall’Ucraina, in vari Paesi dell’Europa occidentale che sono diventati un rifugio sicuro per i protagonisti. Cosa è cambiato? Tutto e niente. Il perpetuarsi della memoria resta un dramma collettivo così come i fulminei cambiamenti dell’industria bellica che non si arrestano e si trascinano dietro anche le questioni sull’uso di armi occidentali sul suolo russo da parte delle forze armate ucraine ancora al centro del dibattito politico.
La “semplice” domanda “Qual è il suono della guerra?” alla base della video installazione di Open Group è una domanda scomoda perché per una volta la guerra non è quella trasmessa da tv e giornali ma è irriproducibile se non attraverso i sensi e all’esperienza traumatica di chi l’ha vissuta sulla propria pelle.
Padiglione della Polonia
60. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia
RIPETETE DOPO DI ME II (RIPEAT AFTER ME II)
Open Group (Yuriy Biley, Pavlo Kovach, Anton Varga)
Curatrice: Marta Czyż
Commissario del Padiglione Polonia: Bartłomiej Sienkiewicz, Ministro della Cultura e del Patrimonio culturale nazionale
Direttrice ad interim della Galleria nazionale d’arte Zachęta: Justyna Szylman
Ufficio del Padiglione Polonia: Michał Kubiak (commissario aggiunto), Anna Kowalska
Media strategy: Zofia Bugajna-Kasdepke
Fino al 24 novembre 2024
Giardini della Biennale
Info: https://www.labiennale.org/
https://labiennale.art.pl/
Galleria nazionale d’arte Zachęta: https://zacheta.art.pl/en/
Open Group: http://open-group.org.ua/en/about-us