INTERVISTA DI MATTEO GALBIATI
tratta da Espoarte Contemporary Art Magazine n.60
Guardando alla scultura di Richard Nonas si deduce immediatamente da quale esperienza storica provenga e quale ricerca, interesse, tensione muova la sua arte: il minimalismo più urgente e risoluto, quello che si è radicato nella cultura americana degli anni ’60 e ’70, è l’ambiente in cui si è mossa e sviluppata la sua conoscenza. Il maestro americano con tutti gli altri minimalisti condivide certamente la riduzione al minimo delle presenze-azioni nelle opere, lasciando trasparire la risolutezza di una formalità semplice, elementare e una contratta derivazione da modelli essenziali. Inequivocabile è pure il legame fortissimo con il luogo in cui si dispongono le opere, che diviene chiave significante e contingente per rintracciare il senso di ciascun lavoro. Nonas mostra, però, anche un carattere che lo qualifica come autonomo, peculiare nella sua azione: nei suoi lavori non si imprigiona mai nell’algida materia di derivazione industriale ma ricorre sempre ad una manualità artigianale – spesso utilizzando strumenti antichi e di bottega – che gli permette, nelle vibratili imperfezioni che si creano, di rintracciare l’inattesa partecipazione di significati ulteriori e più ampi con la contingenza dell’ambiente, dello spazio e del tempo.
Di educazione non accademica, nonostante sia un indiscusso maestro protagonista dell’arte internazionale fin dagli anni ’60, Nonas si forma come antropologo, svolgendo anche esperienze di ricerca che lo hanno messo in stretto contatto con le popolazioni indiane dell’Arizona, del Nuovo Messico e del Canada: la vicinanza alla semplicità di queste culture è diventato lo stimolo per indirizzare all’arte gli strumenti delle sue indagini, laddove le parole non erano a lui più sufficienti per esprimere e comunicare la totalità delle sue esperienze. La scultura diventa mezzo unico possibile per enunciare la primordialità dell’uomo e del suo sapere. Il suo linguaggio artistico ha assunto subito un carattere universalistico, che ha conferito alle sue sculture un innegabile plus-valore di senso che può essere condiviso da culture e contesti umani diversissimi e, apparentemente, inaccostabili.
Le sue opere descrivono il principio primo della realtà, la sua forma originale e originaria, sono l’ultimo baluardo della capacità espressiva e, senza caratterizzazioni pregiudiziali prestabilite, la riduzione contratta del principio delle possibilità, ultima oltre la quale è impossibile spingersi. L’oggetto-scultura, la materia fatta in forma e il dialogo empatico con il luogo-spazio diventano il mezzo unico per descrivere il valore intrinseco di ciò che può essere rappresentato: le sculture non rimandano a nulla, non hanno la necessità di rifarsi a niente, se non al principio primordiale del tutto. In questo si concentra il fascino dell’opera di Richard Nonas. Un fascino estremo, nella sua chiara e diretta, semplice immediatezza.
Matteo Galbiati: La sua ricerca è complessa ed articolata sia nei contenuti sia nelle motivazioni che la sottintendono. Come può introdurci e cosa può dirci, in generale, del suo lavoro?
Richard Nonas: Posso discutere del mio lavoro ma non riesco proprio a spiegarlo interamente. Posso parlare di cosa faccio e cosa cerco di realizzare, però non riesco assolutamente a giudicare o categorizzare i suoi risultati o i suoi significati senza indebolirne, o addirittura smentirne, l’ampiezza illimitata, così è necessario che interrompa un’insicura comunicazione che mi riguarda.
Cosa intende per comunicazione?
Per comunicazione, voglio chiarire, intendo quella d’irrisolti e ambigui insiemi di sensazioni, idee, nozioni superficialmente messe in relazione, che rimangono però inesplicabilmente vincolate alla mia memoria, nello stesso modo in cui erano nel turbolento e interrotto flusso della mia immediata coscienza. Nell’arte ogni cosa accade immediatamente e allo stesso tempo rimane pure più a lungo di quanto dovrebbe. Questo via al conoscere è il potere peculiare dell’arte.
Credo sia importante ricordare che lei ha esercitato la professione di antropologo, ha ritrovato questo potere anche in quell’esperienza più scientifica?
È qualcosa che ci sia aspetta dalla poesia, sicuramente non dalla scienza o dalla filosofia, per questa ragione mi è venuta a mancare l’antropologia. Non mi ha persuaso nelle sue conclusioni, non certo nei suoi strumenti.
Cosa le ha dato e lasciato allora?
Mi ha mostrato, malgrado il suo riconoscimento istituzionale, i limiti strutturali della sua certezza. Io pretendevo decisamente di più: più ombre da ridurre a descrizioni, più contraddizioni da volgere in significati, più confusione da obbligare alla chiarezza. Io volevo domande che funzionassero come sole risposte. Volevo l’indiscussa immediatezza e l’assoluta integrità della mia realtà, esperta nel sopravvivere al taglia e incolla di un’investigazione prudente e attenta. Il “più” cui auspicavo, sembra facile a dirsi, era in realtà una dilatata e sezionata forma aperta del “meno”.
Arriviamo allora al Minimalismo: è vero quindi che less is more?
Ma non il freddo e industriale “meno” del Minimalismo. Il Minimalismo, così come l’antropologia, mi ha fornito i materiali utili, un vocabolario di forme semplici e familiari, ma non certo le conclusioni che sono pertinenti al loro utilizzo. Il mio “meno” scava nel profondo attraverso gli oggetti scultorei fino alla paradossale schiettezza del “luogo”: il buco nero, il cambio di gioco, l’annichilimento di qualsiasi separazione tra un mondo indifferente e un ansioso manufatto umano.
Cosa intende per luogo?
Il luogo, la più antica, grezza, fisica forma del “tutto che accade subito”, mi appariva sia come la nostra maggior grammatica astratta che la più elementare formulazione del potere dell’arte nel comunicare la complessità. Tutte queste erano le cose che volevo fare.
Come coniuga il binomio oggetto-luogo?
Volevo realizzare luoghi potenti. Gli oggetti erano i miei soli strumenti per ottenerli. Erano davvero importanti per me solamente quando riuscivano a creare quel “tutto che accade subito”, peculiarità di luoghi vibranti e, in definitiva, disorientanti: i luoghi delle domande come risposte, caparbiamente incomprensibili, eppure già sempre spostati un po’ oltre.
Cosa sono oggi i suoi scopi?
I luoghi, non gli oggetti, sono ancora il mio scopo: luoghi dove tutto può verificarsi subito, luoghi che sempre contengono qualcosa. Luoghi che sono autonomamente arte e vita. E che in tutte e due le situazioni siano ugualmente adeguati e capaci a comunicare.
Richard Nonas è nato nel 1936 a New York, dove vive e lavora.
Mostre personali recenti:
2009 – Galleria Michela Rizzo, Venezia
Atelier Archipel, Arles (Francia)
Omi International Arts Center, Columbia County, New York (U.S.A.)
Villa Mondolfo, Como
2008 Lemmons Contemporary, New York City (U.S.A.)
2007 Esso Gallery, New York City (U.S.A.)
Mostre collettive recenti:
2007 One. In memoriam Sol Lewitt, Bjorn Ressle Gallery, New York City (U.S.A.)
48th Oct. Salon Micro-Narritives, Belgrado (Serbia)
2006 Moment by Moment: Meditations of the Hand, North Dakota Museum of Art, Grand Forks North Dakota (U.S.A.)
Black and White, Hal Bromm Gallery, New York City (U.S.A.)
Some Sculpture: Albee’s Choice, Longhouse Reserve, East Hampton, New York (U.S.A.)
2005 Hubert Winter Gallery, Vienna (Austria)
Domicile Prive/Public, Museum of Modern Art, St. Etienne
(Francia)
The Giving Person. Il dono dell’artista, Palazzo delle Arti, Napoli
Open Systems: rethinking art c1970, Tate Modern Museum, Londra (Inghilterra)
Mostre in corso:
Sant’Elena. La seduzione nel segno
Evento Collaterale della 53.Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia
A cura di M. Cavallarin
Sant’Elena
Campo della Chiesa 3, Venezia
Fino al 30 settembre 2009
Gallerie di riferimento:
Galleria Michela Rizzo, Venezia
Dall’alto:
Fotografia di Richard Nonas (particolare), installazione Northern New York, 2009
“Down open and through (push down, held open, cut through)”, installazione site specific per la mostra “La seduzione nel segno”, Sant’Elena, Venezia, cordoli di cemento, 160 elementi. Foto di Davide Lovatti. Courtesy Galleria Michela Rizzo, Venezia
Veduta della personale di Richard Nonas alla Galleria Michela Rizzo, Palazzo Palumbo Fossati. Foto Sergio Martucci