PAVIA | Castello Visconteo | 16 settembre – 18 dicembre 2016
di DEIANIRA AMICO
Quando Renato Guttuso nel 1935 si stabilisce a Milano, porta con sé uno stucco sottratto furtivamente da Villa Palagonia – la Villa dei Mostri, per le sculture presenti nella cinta – a Bagheria, suo paese natale. Lo stesso oggetto anima una delle pagine più belle delle Metamorfosi di Birolli (1937) diventando emblema di un’amicizia e di un sodalizio poetico. Si apre con questa immagine, protagonista del quadro Natura morta con scarpe (1935), la mostra ospitata presso le Scuderie del Castello Visconteo di Pavia e dedicata alla produzione di nature morte dell’artista siciliano, dagli anni Trenta agli Ottanta, provenienti da collezioni pubbliche e private.
Nella natura morta gli artisti di Corrente – in particolare Treccani, Morlotti, Cassinari – esprimevano un amore non retorico per gli oggetti poveri connessi con un vissuto quotidiano e l’intenzione di far emergere, attraverso la loro solitudine, una dimensione simbolica.
In una delle sue prime dichiarazioni di intenti, Guttuso, che De Grada ricorderà come il “simbolo della rivoluzione barricadera nella pittura”, individua nella scelta della natura morta una polemica “contro la gerarchia del contenuto” utile a chiarire il fatto che “una strage degli innocenti dipinta da un ‘arcade’ è meno drammatica che due mele dipinte da un uomo in collera” (Guttuso, Pensieri sulla pittura, 1941).
Una summa delle opere degli anni Quaranta è rappresentata da Natura morta con drappo rosso (1942) per i riferimenti escatologici – il bucranio, il drappo rosso ed i libri accatastati in primo piano, richiamo all’Europa testimone della guerra civile spagnola e piegata dal nazismo – e per l’allusione all’esempio di Cézanne. Nello sfondo, infatti, un’immagine richiama Le garçon au gilet rouge del maestro francese, tra i pittori più amati dall’artista siciliano assieme a Picasso e Courbet, mentre negli stessi anni l’amico Birolli “succhiava latte da Ensor e da Van Gogh”, come ricorderà più avanti Guttuso, riferendosi agli esempi cui guardava il gruppo di Corrente.
Un nucleo numericamente significativo di opere rappresenta la produzione di nature morte più nota del pittore: pochi oggetti valutati nella loro fisicità, barattoli, bottiglie ma anche frutta, verdura, pesci, quasi studi che andranno a comporre, come in una sorta di immenso collage di citazioni visive, il grande dipinto de La Vucciria.
A queste si affiancano composizioni più affollate in linea con la tematica degli oggetti ritratti nello studio del pittore, ripresi in uno scenario disordinato, esistenziale (Tavolo con oggetti, 1963), oppure in assemblaggi ordinati (Natura morta, 1966).
Alcune opere non sono immuni da una riflessione analitica sui mezzi stessi della pittura: in Pagina di nature morte (1958), ad esempio, Guttuso realizza un collage pittorico di diversi brani di natura morta, rivelando il dubbio dell’artista stesso che il realismo (quindi la ricerca della dimensione di senso) non sia immune dal rischio di formalismo.
Tra le opere di maggiore interesse in mostra, le tele dove l’oggetto si trova inserito in una dimensione spaziale più astratta: è il caso di elementi isolati in spazi fluidamente dipinti (Ciotola, 1960) oppure di composizioni vicine a ricerche geometriche. In Bottiglia e barattolo (1948), ad esempio, si instaura in maniera efficace un rapporto fra sfondo e figura, opacità e trasparenza, spettrale e carnale, affioramento e affondamento, cogliendo in particolare la “soglia” che separa e unisce tali polarità.
A partire dalla fine degli anni Settanta nell’opera di Guttuso il tema del memento mori, spesso legato ad una critica al consumismo, diventa maggiormente frequente: ne sono un esempio in mostra i dipinti Teschio e cravatte (1979) ed il Cimitero di macchine (1978).
Un quadro incompiuto, invece, rappresenta due teschi appoggiati sul capitello di un caminetto, disegnato sui motivi decorativi barocchi di Villa Palagonia. Guttuso tornerà spesso al suggestivo luogo di giovinezza nel corso degli anni Settanta, dipingendo i “mostri” negli scorci di interni carichi di sensualità. Negli stessi anni il suo immaginario si popola di altri mostri e fantasmi personali, testimoni della paura del nulla della morte che tocca anche all’uomo di successo (ampiamente esibito in mostra negli apparati fotografici e documentari).
È significativo in questo senso l’Autoritratto del 1975, esposto in chiusura: il pennello in primo piano dipinge i lineamenti del pittore in uno spazio articolato tra il tavolo dello studio, la silhouette di un corpo femminile ed una mano già necrotica sullo sfondo. Tempus fugit, picta manent.
Guttuso. La forza delle cose
a cura di Fabio Carapezza Guttuso e Susanna Zatti
16 settembre – 18 dicembre 2016
Scuderie del Castello Visconteo
Viale XI Febbraio 35, Pavia
Info: www.scuderiepavia.com