MILANO | Viasaterna | 19 settembre 2017 – 31 luglio 2018
Intervista a RAMAK FAZEL di Eleonora Roaro
Viasaterna presenta Milan Unit, l’archivio realizzato a Milano tra il 1994 e il 2009 dall’artista iraniano Ramak Fazel (1965). La mostra è costituita da materiali eterogenei (stampe, negativi, oggetti personali, documenti…) che riguardano temi come l’identità, il suo rapporto dell’individuo con il contesto urbano e il ruolo della fotografia in un’epoca dominata dal virtuale e da processi di smaterializzazione. Non si presenta come un lavoro unitario, con un significato già dato, ma come un’opera aperta in grado di attivare processi partecipativi. Ne abbiamo discusso con l’artista in questa intervista:
Qual è il tuo legame con la città di Milano e con la fotografia?
Quando sono arrivato a Milano per la prima volta nel 1994 pensavo che sarei rimasto solo alcuni mesi, che sono però diventati quindici anni. Volevo scoprire l’Europa e Milano era il posto che volevo esplorare. Penso di aver avuto un rapporto speciale con la città, uno di quei rapporti che lascia un impatto indelebile sulla tua vita. Mi sentivo a casa.
In quell’epoca lavoravo per Domus come fotografo e collaboravo con diversi designer, ma non solo. Ho anche avuto modo di esplorare anche realtà al di là dell’architettura e del design che sono stati molto importanti per me, in particolare legato al documentario sociale. Oggi continuo a lavorare come fotografo, ma anche contro la fotografia. La mia produzione non riguarda solo la fotografia e per questo devo ringraziare anche molti incontri decisivi che ho fatto a Milano nel periodo in cui ho realizzato l’archivio e grazie all’archivio, che mi hanno aperto a possibilità più ampie. Milan Unit mi ha insegnato molto e sembra che quei quindici anni siano stati una sorta di performance e mi permette di disegnare a partire da lì, da quanto sono cambiato io e da quanto il mondo è cambiato in questi anni. È anche un punto di partenza per criticare e mettere in discussione il mio lavoro.
Milan Unit è stato realizzato in un periodo di transizione tra analogico e digitale, per cui è particolarmente evidente la dimensione fisica dell’archivio. Quali elementi caratterizzano il progetto?
In Milan Unit ci sono molteplici livelli che coesistono: un’indagine sulla fotografia, sulla città di Milano e ovviamente la collaborazione con Domus. Per quanto riguarda la dimensione fisica dell’archivio, è stato per me importante mettere insieme e più importanti transizioni che sono avvenute grazie al passaggio dall’analogico e al digitale in senso più ampio. Per me era importante preservare la materialità della pratica fotografica in questo momento di transizione. Ci sono diversi riferimenti alla cultura fotografica, specie per quanto riguarda le pellicole e gli apparati. Il disordine, la confusione sono parte stessa dell’archivio. È stato mantenuto volutamente con una forma aperta, non definita che permette diverse interpretazioni e diverse indagini curatoriali.
L’archivio è stato realizzato tra il 1994 e il 2009, mentre vede la luce solo ora. Che ruolo ha la dimensione temporale nel progetto?
L’archivio aveva bisogno di sedimentare, era necessario per me un distacco emotivo e pratico dall’archivio che può avvenire solo nel tempo. La dimensione temporale è ovviamente un riferimento molto importante per tutti gli archivi e in questo caso specifico la data 1994-2009 enfatizza questo aspetto.
Inoltre molti significati dell’archivio in origine non erano chiari nemmeno a me, ma lo sono diventante con il passaggio del tempo. Inoltre l’archivio è rimasto per moltissimi anni inattivo, il materiale non è stato consultato. Aprirlo per la prima volta per la mostra ha fatto sì che risultasse molto fresco ed è stata una sorta di esperienza catartica. Ero consapevole che potesse essere importante, ma non potevo prevedere l’impatto su di me e sugli altri.
Che forma ha il tuo archivio di fotografo oggi nell’era digitale? Continui a lavorare con l’archivio?
L’archivio a cui sto lavorando ora ha ancora una dimensione fisica, si sviluppa attorno a materiali che sono però molto diversi da quelli di Milano Unit. In un certo senso sono più naturali, più legati alla geografica del luogo, in questo caso del Sud della California: legno, pietre, piante… Penso che l’esperienza di Milan Unit abbia comunque influenzato profondamente il lavoro che sto facendo ora.
Milan Unit vive come opera aperta, non ha una chiave di lettura univoca. Che feedback ti aspettavi di ricevere sul lavoro e che cosa invece è accaduto?
A me interessava l’aspetto discorsivo del progetto, ovvero la sua possibilità di essere interpretato in modi differenti. Penso che Milan Unit abbia generato delle discussioni tra le persone che hanno vistato la mostra. Per me la cosa più importante era che ci fossero reazioni differenti e così è stato. Molte persone erano principalmente interessate al contenuto fotografico, mentre altre erano al modo in cui Milan Unit suggeriva loro possibilità e varianti per sistemare la loro produzione culturale.
Ho avuto diversi tipi di conversazioni tra persone che hanno familiarità con la mia pratica e altre che vedevano il mio lavoro per la prima volta.
Che cosa accadrà all’archivio dopo la mostra?
Una parte della mostra resterà per un altro anno. La galleria Viasaterna ha voluto proporre l’intera struttura, l’intero contenuto di Milan Unit come un oggetto d’arte destinato alla vendita. Penso che quello che faremo ora è di aspettare delle proposte e vedere che cosa accadrà all’archivio. È interessante attribuire un valore al materiale in sé, al di là delle immagini stesse, ma proprio alla struttura in sé.
Ramak Fazel. Milan Unit. 1994-2009
19 settembre 2017 – 31 luglio 2018
Viasaterna
Via Leopardi 32, Milano
Orari: da lunedì a venerdì 12.00-19.00; mattino e sabato su appuntamento
Info: +39 02 36725378
info@viasaterna.com
www.viasaterna.com