SPOLETO (PG) | ADD-art | 12 giugno – 4 settembre 2021
di MATTEO GALBIATI
Diego Randazzo nel progetto Immagini simili / studio 1 – ospitato fino al 4 settembre prossimo da ADD-art Galleria d’Arte Contemporanea di Spoleto (PG) – in continuità con le sue ricerche, approfondisce un tema chiave per la contemporaneità che è quello della fragilità dell’immagine, la sua consumazione veloce, il suo rimanere presto reperto.
Questa serie eterogenea di opere nasce durante la forzata pausa di chiusura totale del famigerato lockdown dello scorso anno quando, per le cause che tutti sappiamo, siamo tutti stati costretti a vivere la sospensione di un tempo che pensavamo ci appartenesse e che credevamo potessimo controllare in toto. Abbiamo dovuto, invece, fare i conti con l’inatteso rallentamento, con il vuoto, l’assenza di impegni e azioni quotidiane, impegni professionali e, vista la negazione della completa libertà di movimento, siamo tutti stati costretti a recuperare, in un certo senso, altri valori, a dare peso differente a qualcosa che, magari, altrimenti, avremmo solo superficialmente prestato attenzione. La chiusura ha comportato, anche per la cronaca vissuta, una presa di coscienza del proprio essere al mondo e una riflessione sulla nostra esistenza.
Tutto inizia quando Randazzo, costretto alla pausa forzata, rimettendo mano al proprio archivio, si ritrova a connettere il presente al passato e sospendere il tutto in un futuro ipotetico: un’immagine è stata da stimolo per tutte quelle prodotte successivamente, quelle che, ora, fanno mostra di sé nel penetrante allestimento della galleria spoletina. Uno scatto preso tra molti raccolti durante un viaggio in Cina del 2017 è diventato, in qualche modo, catartico, purificatore per i sentimenti, proprio per il molteplice approccio di stimoli che suggerisce, per il suo valore estetico e simbolico. Protagonista una ragazza cinese seduta sul pavimento del Rockbund Museum di Shanghai (luogo visitato per ammirare una mostra personale di Philippe Parreno): nel silenzio, nel vuoto, nell’abbandono e nella solitudine di questa immagine Randazzo ha trovato infinite connessioni che lo hanno riportato a unire questa presenza del suo passato alle circostanze che, l’anno passato, lui e milioni di altre persone, stavano vivendo. Inizia un percorso di affinamento semantico sul peso di questa immagine che viene prima ri-fotografata digitalmente, sottoposta poi ad una ricerca per immagini su Google che la assimila ad infinite altre apparentemente simili dove, però, lo spazio è protagonista e la figura umana viene annullata. Ecco allora emergere il drammatico esito delle funzioni dell’algoritmo del motore di ricerca che, da macchina, de-sensibilizza quello che per l’occhio e la coscienza umana sono necessari e prioritari.
Per l’artista diventa così importante procedere sul processo di riappropriazione di quell’entità: attua, quindi, un percorso simile al precedente, ma che, in questo caso, ha per protagonista la sola figura umana. Il risultato proposto da Google è ovviamente assai distante dal precedente, in questo caso prevale la presenza (scontata?) dell’uomo. Ne deriva una serie di opere pittoriche che riconsegnano, al peso emotivo della mano e del “saper fare” artistico, il soggetto di ciascuna opera. L’artista è nuovamente l’epicentro del proprio “fare” e del “narrare” attraverso la suggestione del proprio lavoro. Si aggiungono, come ulteriore ricerca, alcune cianotipie in blu su marmo che testimoniano gli esiti delle ricerche su Google comparse all’artista. Attraverso lo strumento tecnico, quanto del supporto spezzato e reso reperto in frammenti ricomposti, Randazzo ci costringe a pensare al senso del flusso di immagini che, estrapolate da qualsiasi contesto e rese asettiche rispetto la propria autonomia propositiva, oppure, proprio perché aperte, neutre, valide in qualunque ambito, accolgono una trasformazione del proprio statuto rappresentativo e narrativo.
La sequenza eterogenea di opere da lui consegnate si intrecciano una dentro l’altra, una si rispecchia nell’altra e i rimandi si sommano agli esiti conoscitivi raggiunti da ciascuno di noi che ammira il quantitativo residuo delle proprie immagini sospese, interrotte, silenziate. Il suo strumento espressivo ci porta – come sottolinea bene Bianca Trevisan nel suo testo critico di presentazione – a creare ponti temporali, a destrutturare gerarchie conoscitive, a ristabilire connessioni tra quello che appartiene ai singoli e alla collettività, tra verità e finzione, tra visione privata e pubblica, tra realtà e virtualità.
La solerzia dell’artista ci indirizza verso il tentativo di provare a rivoluzionare l’abitudine imperante nel nostro tempo: lo stimolo è quello di dipanare il groviglio di sollecitazioni che in modo, più o meno invasivo, ci attanagliano e stritolano la nostra cultura dell’immagine. Randazzo prova a suggerirci gli strumenti di un esistere le cui chiavi di lettura critica e consapevole possono tornare ad essere determinate da un modo più autenticamente libero, sincero e spontaneo di essere nel nostro mondo e dentro ai nostri tempi.
Diego Randazzo. Immagini simili / studio 1
a cura di Bianca Trevisan
ADD-art direzione amministrativa e artistica Lorenzo Rossi e Alessia Vergari
12 giugno – 4 settembre 2021
ADD-art Galleria d’Arte Contemporanea
via Palazzo dei Duchi 6, Spoleto (PG)
Dopo il Festival dei Due Mondi la mostra potrà essere visitata previo appuntamento
Info: +39 334 5380780
info@add-art.it
www.add-art.it