BASILEA | KUNSTMUSEUM | FINO AL 15 MAGGIO 2022
di SILVIO MIGNANO
Louise Glück, premio Nobel per la letteratura nel 2020, scriveva questi versi nel 2001, nella raccolta The Seven Ages: Qualcuno sta morendo di amore, il tempo gli ha sottratto l’unica felicità e lo ha lasciato solo, impoverito, senza bellezza.
Morire d’amore può apparire un concetto banale. Si potrebbe perfino essere delusi nel ritrovarlo in un verso di una grande poetessa, di un premio Nobel della letteratura. Che cosa può esserci di più ovvio? Forse soltanto I love you, la frase più usata e abusata al mondo. E tuttavia proprio questa frase – così, semplicemente I love you – si ritrova incisa a rilievo in una piccola placca di acciaio, percorrendo le sale al secondo piano del nuovo edificio del Kunstmuseum di Basilea, visitando la mostra di un’altra Louise, un’altra donna che ha giganteggiato nella creazione artistica della nostra epoca, di quel secolo che ci siamo illusi con Hobsbawn di definire breve e che invece si protrae violento e spietato fino a questi anni Venti del nuovo millennio.
The Violence of Handwriting Across the Page è la grande mostra di Louise Bourgeois x Jenny Holzer che si tiene nel museo di Basilea fino al 15 maggio.
Confesso che leggendo il titolo su tutti i cartelloni esposti in ogni strada o piazza della Svizzera mi ero aspettato una mostra delle due artiste, e che quando sono arrivato al Kunstmuseum di Basilea la scoperta che tutte le opere esposte appartenevano unicamente alla prima mi ha inizialmente perfino deluso. Detta così, trattandosi appunto di una gigante, della più grande artista di questo secolo lungo, parlare di delusione può sembrare paradossale, ma il fatto è che avevo nutrito dentro di me l’aspettativa di un dialogo tra lei e Jenny Holzer, tanto più accattivante perché postumo, almeno nella metà occupata da Louise Bourgeois.
Per fortuna ogni ipotesi di delusione è svanita all’istante, appena messo piede nelle sale al secondo piano del Neugebaud, un elegantissimo cubo di cemento che da due anni completa l’edificio storico del museo basilese, e tutto grazie all’originalità creativa spesa da Jenny Holzer nelle vesti di curatrice della mostra. C’è un’unica opera riconducibile a lei, ma non è esposta: si tratta di un libro d’artista che sostituisce il classico catalogo e che tuttavia sul piano materiale è più un catalogo che un vero e proprio libro d’artista, a cominciare dal prezzo, indubbiamente caro, 78 franchi svizzeri, ma tutto sommato alla portata di una gran parte del pubblico.
La chiave interpretativa della mostra risiede nel titolo, La violenza della scrittura a mano sulla pagina. Di tutta la sterminata produzione di Bourgeois, Jenny Holzer ha scelto infatti le opere più squisitamente narrative – quelle nelle quali la parola ha un ruolo centrale, e lo ha davvero nel senso più stretto dell’opera d’arte, e dunque come elemento visibile.
Come in quel piccolo rettangolo di acciaio del 2005 del quale parlavo in esordio, e che reca inciso a lettere in rilevo I Love You. Ti amo, la frase più pronunciata al mondo e tuttavia forse meno compresa. Una dichiarazione di amore che nella nostra esperienza diretta e indiretta – nella nostra vita o attraverso i libri che abbiamo letto, i film o le pièce teatrali che abbiamo visto, le opere liriche o le canzoni che abbiamo ascoltato – si è tante volte trasformata in un detonatore di violenza. Someone dying of love. Qualcuno sta morendo d’amore.
La poesia visuale di Louise Bourgeois è in effetti documentazione delle nostre biografie, scrittura che dà contenuto alla condizione antropologica che ci accomuna tutti. I need my memories. They are my documents, recitano le frasi ricamate in rosso su uno dei Pillowcases from Sculpture Cell I del 1991, e sono in effetti le nostre memorie, che raccolte e sommate non sono nient’altro che la nostra identità in divenire continuo, a farsi protagoniste della calligrafia raccolta da Jenny Holzer.
Ne è controprova il corpo stesso che – frammentato e ricostruito – ci si affida ancora attraverso una descrizione narrativa o poetica, che poi è lo stesso: The perspiration extreme extreme tension, è scritto nella serie Where my motivation comes from (matite, inchiostri e incisioni su carta del 2007), accanto a un labirinto di organi interni che è a sua volta e a suo modo scrittura. Bronchi, cuore e vasi sanguigni accompagnano The breathing The palpitations The hot flashes, e ancora The stomach The esophagus The throat, un meraviglioso misterioso fiore aperto, rosso sullo sfondo forse di un cielo azzurro, collegato a ganci che tradiscono un’aggressione travestita da bellezza. Si torna alla violenza della calligrafia sulla carta: non appena ci si rilassa e ci si lascia cullare dalla misteriosa estetica dei disegni, è la narrazione che ci riporta alla crudezza dell’esperienza esistenziale.
Del resto è nota la relazione stretta, alluvionale, a tratti maniacale tra Louise Bourgeois e la scrittura. Una delle sale della mostra è decorata, come una vera e propria carta da parati, da una griglia di riproduzioni ripetute di cinquantuno fogli scritti e disegnati, realizzati tra il 1957 e il 1991, e dall’originale delle Hours of the Day del 2008, due anni prima della morte di Bourgeois: una combinazione di stampa a inchiostro e ricamo in cui la costante è un quadrante di orologio a ventiquattro ore, anziché le classiche dodici, e di frasi come J’amais les jours de Penelope Oublie la, oppure L’energie du matin n’est pas une force centripete la Fatigue du soir a un force centrifugue.
L’orologio a ventiquattro cifre figurava già tra i duecentoventi disegni che compongono The Insomnia Drawings, fatti dall’artista tra il 1994 e 1995 durante una delle sue ricorrenti crisi di insonnia. Fogli a penna, a matita, a inchiostro nero o rosso o azzurro, fiori, geometrie, grovigli e scrittura che nel 2018 la Fondazione Beyeler, nella stessa Basilea, aveva proposto nel contesto di una grande mostra dedicata a Louise Bourgeois. Ed è appunto il tempo, questo feroce nemico dell’umanità, che ricorre in quella testimonianza di sofferenza che si ripete ora nel Kunstmuseum grazie alla selezione di Jenny Holzer. Obsessive minuscules elements geometrique circulares patterns repeated indéfiniment expresses fear not to be able to perform to please to survive, si legge in un misto di inglese e francese, nell’inconfondibile calligrafia dell’artista, in uno dei cinquantuno fogli che formano la griglia sulla parete. L’angoscia o addirittura il terrore di non essere in grado di vivere si riflettono nella scrittura insonne, includendovi il desiderio inevitabilmente insoddisfatto di raggiungere obiettivi, di piacere agli altri, infine, di sopravvivere.
Come si vede, è il ganglio di sentimenti che in tutto lo sviluppo straordinario dell’opera di Bourgeois si è tradotto in oggetti, in disegno e – appunto – in scrittura, e che trova un contraltare nella produzione di Jenny Holzer, nelle frasi che ha proiettato ovunque nel corso degli anni: in Your Oldest Fears are the Worst Ones, una sua opera multimediale realizzata per la Galleria Barbara Gladtsone già nel 1982, è sorprendente l’adesione del testo a quello di Louise Bourgeois che ho appena riportato. Le paure più antiche, quelle primordiali e dunque antropologiche, ci perseguono da sempre e per sempre, e in Louise Bourgeois si traducono in “ossessivi minuscoli elementi geometrici”. Si comprende perciò come Jenny Holzer avesse più di chiunque altri la sensibilità giusta per curare la mostra basilese.
Non mancano alcuni degli oggetti iconici dell’artista franco-americana, selezionati da Jenny Holzer con attenzione e sempre con lo sguardo rivolto alla scrittura. La testa antropomorfa in stoffa e metallo (Senza titolo del 2006), un po’ mummia imbalsamata, un po’ maschera di un carnevale andino, non si limita a osservarci dall’interno di una teca di cristallo, sembra anche parlarci e raccontarci una storia, così come i manichini appesi a ganci sul soffitto (Couple I e Single II, entrambi del 1996) rimandano con la contorsione dei corpi un’eco di dolori o di rimpianti che galleggiano al di sopra delle nostre teste. Guardandoli siamo tentati di decidere se siano figure giullaresche di saltimbanchi all’opera o invece condannati in preda ai tormenti di torture efferate, quando forse l’unica cosa che dovremmo fare è astenerci da ogni scelta, accettando l’ambiguità nel loro movimento.
Allo stesso modo, è impossibile decifrare in modo univoco le figure arcuate in stoffa, metallo, ossa e nylon del 1997 (Arched Figure N. 2 e N. 3), a metà tra l’esemplificazione di un corpo che occupa lo spazio e l’evocazione di un altro possibile universo fisico, che tanto ricorda certi oggetti di Meret Oppenheim (alla quale l’altro Kunstmuseum, quello di Berna, ha dedicato una meravigliosa retrospettiva chiusasi poche settimane fa).
Il Cuore (Heart) in gomma e acciaio del 2004, racchiuso anch’esso in una teca, pompa sangue invisibile in un corpo stilizzato fatto di rocchetti di filo e sfere di vetro: e quel corpo, abbozzato geometricamente ma dotato di un muscolo cardiaco enorme e realistico, richiama i ritratti che Louise Bourgeois rinchiudeva in celle di metallo: nel Kunstmuseum di Basilea ve n’è uno del 2000 impreziosito dalla mostruosità tricefala del soggetto prigioniero, un Cerbero antropomorfo dalla pigmentazione rossa brillante che appare indeciso tra il pianto, l’urlo e il riso – ancora una volta l’irrompere senza misura dei sentimenti che scivolano a valanga nel nostro animo e si traducono in rappresentazione artistica.
Se tuttavia vogliamo una prova certa di quanto anche le sculture condividano in questa mostra l’essere strumento di scrittura e di racconto, dobbiamo fermarci davanti a Fillette, un disegno a inchiostro di un membro maschile su busta da lettere gialla del 1998: attivando un’app appositamente sviluppata da Jenny Holzer e scaricabile con un QR Code si potrà rendere interattiva e tridimensionale una delle più belle opere in mostra, The Destruction of the Father, una grande installazione concepita nel 1974 (anche se l’esemplare qui esposto è del 2017) in resina di poliuretano, stoffa, legno, incastonata alla parete come un enigmatico caminetto. Le luci rosse che bagnano l’opera, animate dall’applicazione, rendono ancora più ambigua una scena che a tratti sembra l’interno di fauci dentate, a tratti un sepolcro rituale: in ogni caso, l’abbinamento tra l’organo riproduttivo maschile, voluta citazione dei disegni osceni più diffusi e banali (impudico contraltare alla banalità di I love you?), e la celebrazione del mito edipico crea ancora una volta narrazione feroce, in linea con la scrittura che circonda ovunque il visitatore, e che la stessa app permette di staccare letteralmente dalle pareti e far galleggiare negli ambienti del museo.
Nel libro Women Artists, The Linda Nochlin Reader del 2015, Maura Reilly intervista la celebre storica dell’arte, e le due si soffermano tra l’altro proprio su quest’opera di Bourgeois. “Si può dire che tutta la molle, orizzontale, multipartita, irregolare, suggestivamente ma ambiguamente erotica intensità di The Destruction of the Father”, dice Nochlin, “sia l’Altro della scultura tradizionale, che era stata, fino a epoca recente, verticale, strettamente controllata, maschile o femminile senza ambiguità, lavorata con un permanente, nobile materiale come la pietra o il bronzo. L’opera di Bourgeois è in un certo senso l’anti-David di Michelangelo, con la sua bella superficie di marmo e lo strapotere mascolino”.
Il catalogo o libro d’artista è concepito da Jenny Holzer non solo specificamente per questa mostra, ma ancor più per lo spazio nel quale essa si sviluppa. Holzer gioca infatti con una combinazione tutt’altro che scontata tra la produzione di Bourgeois e alcune delle opere più significative che appartengono alla collezione permanente del Kunstmuseum. Si pensi al capolavoro assoluto di Basilea, il Cristo morto nella tomba (1521-22) di Hans Holbein il giovane, di cui Holzer inserisce un ingrandimento impressionante del segmento centrale, obbligandoci a confrontarci con la fenditura nel costato e soprattutto con la mano martoriata dalla crocifissione, gonfia e svuotata allo stesso tempo, bluastra per l’azione violenta del peso del corpo e per la lacerazione che la forza di gravità e il chiodo hanno prodotto nella pelle, nei muscoli e nei tessuti interni. È forse, ancor più che l’analogo dipinto di Mantegna, l’opera che maggiormente sottrae Cristo alla natura divina, pur senza negarla, e lo getta in pasto alla crudeltà fisica dell’essere umano, suscettibile di finire preda del più brutale dei tormenti. Che è, se ci si pensa, un altro modo, il più alto, di dying of love.
Allo stesso modo, Jenny Holzer inserisce nel suo libro l’Autoritratto con stampa giapponese di van Gogh (1887) e il Ritratto di Valentine Godé-Darel morente di Ferdinand Hodler (1915), in dialogo con la già descritta testa antropomorfa di Louise Bourgeois del 2006, qui fotografata in dettaglio ravvicinatissimo, inquietante nel suo rivolgerci uno sguardo cieco, forse di morte o di presagio, come nei ritratti o autoritratti di Hodler e van Gogh, tre racconti diversi della stessa fragilità dell’essere umano.
Non a caso il libro di Holzer si apre con l’ingrandimento di un foglio di carta di Louise Bourgeois del 1990 di 27,9 centimetri per 21,6, nel quale si legge tracciato a penna a sfera blu, nella calligrafia inconfondibile dell’artista, to be born is to be ejected, to be abandoned, from there comes the fury, e si chiude con l’ingrandimento di un cartoncino appena più grande (34,9 x 31,4 cm) del 1994 con su scritto a inchiostro rosso obsession or confusion. Nascere significa essere espulsi, essere abbandonati, è da lì che viene la furia, ci ammonisce Bourgeois, ed è da lì, dallo strappo incomprensibile della nascita, dal trovarci gettati senza libretto di istruzioni nell’esistenza, che restiamo sospesi per sempre tra ossessione e confusione.
“Grief is a cruel kind of education. You learn how ungentle mourning can be, how full of anger”, scrive Chimamanda Ngozi Adichie nel suo ultimo libro, Notes on Grief del 2021 (Appunti sul dolore nell’edizione italiana uscita per Einaudi). “Il dolore è una forma crudele di educazione. Si impara quanto poco gentile possa essere il lutto, quanto pieno di rabbia”. “How much violence is there in you today – I should I know, how can I possibly found out?”, rilancia Louise Bourgeois in uno dei fogli sparsi attaccati alla parete: “Quanta violenza c’è in te oggi – come potrei mai saperlo, come potrei scoprirlo?”.
Louise Bourgeois x Jenny Holzer. The Violence of Handwriting Across the Page
a cura di Jenny Holzer e Anita Haldemann
19 febbraio – 15 maggio 2022
Kunstmuseum Basel | Neubau
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