ROMA | La Nuova Pesa | 21 maggio – 31 luglio 2018
di JACOPO RICCIARDI
Se la scultura è peso, qui non c’è peso se non massa che nasce nel cuore dell’opera. Se la scultura è spazio, qui non c’è spazio se non quello che promana dalla levità concettuale dell’opera. Le opere di Qinggang Xiang dissolvono il luogo e il corporeo, annullandoli in Uno come in una formula, sospendendoli in un silenzio originario, nel quale le sculture di terracotta, dipinte e lucide di vita, si addensano e crescono in una giovane apparizione, costruite dal respiro che da esse le determina.
Le diverse sculture, in un linguaggio comune, si separano e si diversificano pur appartenendo alla stessa materia. L’immagine che ne emerge ha le caratteristiche di una diversa intensità che determina distinte caratterialità.
Ecco la fila di foglie verdi tagliate a mezzo, e, nella giuntura di poco distanziata, in basso la formula chimica della clorofilla, e, sopra, il carattere cinese – ogni volta diverso – appartenente a un testo di Confucio. Le foglie sono disposte in tre gruppi di sei. A sinistra, separata dal primo gruppo, una foglia bianca, con un ideogramma di Confucio ma senza formula della clorofilla. Un respiro attraversa l’opera nel verde più chiaro, più scuro, di ogni foglia. La foglia bianca impone uno scorrimento da sinistra a destra simile a una frase, a un andamento linguistico.
Si passa alla parete successiva, verso destra: gli otto fazzoletti rossi appesi al muro girano intorno a un collo assente, identici, ma nelle pieghe uno diverso dall’altro. Ognuno simula dal vuoto il carattere dell’ospite non visto, in un’intensità che eccita i neuroni specchio. Qui l’ordine ha la direzione di una delle otto individualità rivelate ad ogni fazzoletto che gira intorno al collo e pende in un lembo. Questi fazzoletti, ricordo della divisa scolastica che l’artista indossava, rendono possibile un incontro tanto materico proprio perché suscitato dal vuoto, da una sospensione dell’esperienza.
A destra sulla parete successiva, a grandezza naturale, sono posizionati sul muro tre gruppi di mezzi proiettili tagliati longitudinalmente di terracotta grezza non dipinta: un gruppo, in alto, ordinato come il gruppo sottostante, ma meno nutrito, e sulla sinistra un piccolo raggruppamento non squadrato. La sequenza non è più in linea ma sparsa nello spazio della superficie e dolcemente ordinata e raccolta su di essa. Qui, lo svuotamento dello spazio originario, in cui nascono queste opere da se stesse come ninfee, sembra mostrare il suo reperto archeologico trovato nella memoria, offerto in una materialità impalpabile quanto concreta.
Davanti alle tre pareti, su un piedistallo bianco, una scultura di terracotta mostra una piccola foglia poco distante da un blocco di filamenti verdi che salgono verso l’alto stretti tra loro e rasati di netto. Tanto naturalistica nel riferimento è la piccola foglia di ceramica verde che riposa a terra quanto è straniante il corpo possente dell’altra parte della scultura, verde ai lati e marrone sopra, che rappresenta un archetipo della natura nell’interiorità dell’uomo – ma un archetipo fluttuante, che oscilla nel vuoto, dal quale cade quella foglia che si ferma sul piano bianco del piedistallo, foglia che subito diventa la prima foglia bianca senza clorofilla che poi riacquisirà la clorofilla, per poi far muovere una sequenza che troverà uno spazio, precisando da esso un linguaggio di diverse cose dette che determinano La dimensione di una camera assente, vivente in noi.
L’impressionante scultura dell’ingresso richiama un abbandono della materialità consueta delle cose per scoprire un’immersione della scultura e dell’osservatore nell’interiorità di un mondo umano dove aleggiano messaggi e presenze come respiri. La scultura di legno è un ramo trovato e levigato che rimanda l’immagine di un uomo nudo in una posizione plastica. Il ramo entra nel cubo di terracotta grigia che fa da piedistallo, lavorato dall’artista che lo ha reso duttile, sensibile all’ascolto della propria massa come in un’agitazione di particelle.
Poco oltre, di dieci centimetri di diametro, sono esposti dei dischi di carta acquerellati su cui stanno piccole ceramiche, distanziati dieci centimetri dalla parete da un tubo bianco. Tenendo, in un dolce equilibrio, il bidimensionale e il tridimensionale, essi formano dei mondi, mostrando un legame invisibile e durevole, in loro e tra loro, che ben si tradurrà più avanti in un linguaggio di messaggi e presenze incontrati dentro di noi in quella Camera finale.
Qinggang Xiang. Il principio del tempo
a cura di Vittoria Biasi
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