MILANO | Other Size Gallery |28 settembre – 15 novembre 2018
Intervista a PAOLO MELE di Matteo Galbiati
Da una terra di confine, punta estrema del Sud Italia, arriva il progetto progetto Ramdom che, data la peculiarità territoriale in cui si inserisce, lontano dai centri nevralgici del contemporaneo, ancora sa cogliere le istanze vere e autentiche del fare artistico di ricerche impegnate su un’attenta riflessione socio-economica dell’attualità dei tempi in cui viviamo. Abbiamo colto l’occasione della mostra che, grazie alla collaborazione con Maria Savarese, ha portato l’esperienza del progetto pugliese a Milano da Other Size Gallery, per approfondirne i contenuti con Paolo Mele, curatore con Luca Coclite, di Ramdom e Lastation:
Innanzitutto ci parli del progetto Ramdom, di cui sei direttore artistico e che curi con Luca Coclite? Quando è nato e come si è sviluppato nel tempo?
Quando cominciammo a riflettere sull’idea di dare vita a Ramdom era il 2010 – stesso decennio, ma sembra ormai un’epoca fa – e in Puglia c’era un clima di fermento culturale e associativo, alimentato da innovative e lungimiranti politiche giovanili. Il settore dell’arte contemporanea, però, non era particolarmente attivo: poche realtà e spazi, scarso confronto con realtà nazionali ed internazionali. Ramdom nasce dall’idea di colmare parte di questo vuoto attraverso processi di residenza, confronto, analisi del territorio e delle sue dinamiche e il coinvolgimento di rinomati esperti del settore provenienti da tutto il mondo. In principio era una masterclass, Default, che ora è uno dei tanti progetti che abbiamo in campo. Dal 2015 abbiamo uno spazio fisico, che si chiama Lastation (il primo piano dell’ultima stazione a sud-est d’Italia), in cui facciamo confluire una buona parte delle nostre attività: residenze, mostre, talk, incontri, performance. E talvolta anche qualche festa, per non prenderci troppo sul serio. In un contesto regionale in cui gli spazi artistici si contano ancora sul palmo della mano, Ramdom e Lastation rappresentano il tentativo di fare arte in contesti non convenzionali, di resistere alle logiche dei numeri, di destagionalizzare la produzione culturale.
Quali artisti avete scelto? Come li individuate e quali “caratteristiche” devono avere?
Gli artisti con cui abbiamo collaborato nel corso di questi anni, seppur talvolta anche molto diversi tra loro per approccio di lavoro e media utilizzati, hanno in comune la capacità di saper andare in profondità nello studio dei territori, delle comunità, di sapersi mettere in discussione, di riuscire a rinegoziare la propria pratica sulla base degli stimoli assorbiti durante i processi di residenza. Non siamo una galleria, la nostra priorità non è l’opera-ficio, bensì la produzione di contributi di qualità nel panorama della cultura contemporanea. Ai nostri ospiti chiediamo di aiutarci a riflettere su temi che impattano sulla vita di un territorio che, sebbene si trovi nell’estrema periferia d’Italia, deve continuamente misurarsi con temi di grande attualità come quelli legati alle migrazioni culturali, allo spopolamento, alla sostenibilità, al turismo di massa. Andreco, Alessandro Carboni, Carlos Casas, Antonio De Luca, Andrew Friend, Elena Mazzi e Rosario Sorbello, Jacopo Rinaldi, Nuvola Ravera, Romina De Novellis, Luca Veronesi e Roberto Memoli: sono solo una piccola parte (e la più recente) degli artisti che abbiamo avuto in residenza.
Cosa significa promuovere e sostenere l’arte contemporanea, nell’estrema “terra di confine” del Salento?
Lavorare nell’ultimo villaggio del tacco d’Italia o nel primo a nord ovest, per molti aspetti non fa troppa differenza: ciò che conta è sempre l’approccio e la metodologia, il dialogo con i territori e con i suoi protagonisti attivi e passivi. Il cielo, che lo si guardi dall’osservatorio di Milano o di Salve (LE) è sempre lo stesso, a cambiare è la prospettiva e, dunque, le possibilità interpretative. Sicuramente vi è una differenza sostanziale tra lavorare nella città o nel piccolo centro, ancor più se remoto e geograficamente più vicino a Grecia e Albania che al resto d’Italia. Di fatto siamo una penisola nella penisola, questa condizione, oltre ad aver amplificato l’idea di essere un territorio periferico, estremo, ha suggestionato e alimentato la nostra ricerca e la nostra narrativa, offrendoci tanti spunti di riflessione.
Detto questo, il nostro è un lavoro culturale prima ancora che artistico, e per diversi aspetti politico. Ci confrontiamo quotidianamente su tematiche che dovrebbero essere nelle agende politiche, oltre che culturali, economiche e sociali, di ogni regione, di ogni amministrazione. Ed invece spesso non è così e il rischio è che ci si trovi ad essere considerati come quelli che fanno cose per pochi.
Come avete strutturato la proposta per Other Size Gallery? Che artisti avete selezionato e con quali opere? Che scambio avete avuto con Maria Savarese, curatrice del progetto milanese?
Su suggestione di Maria Savarese, per la mostra abbiamo provato a fare una selezione dei lavori (tra quelli movibili e quelli che hanno senso anche fuori dal contesto in cui sono nati) in grado di dare testimonianza della nostra ricerca dal 2014 a oggi: dall’analisi del paesaggio, agli aspetti performativi, dalle contraddizioni del territorio agli aspetti legati ai flussi migratori. Non una Terra, ma un insieme di terre che, nel finibus terrae si mescolano e si contaminano.
Che spunti offrite e cosa volete che rimanga come riflessione e memoria di luoghi, persone, incontri ed esperienze?
Il lavoro è duplice: sul territorio vogliamo incidere nella creazione di un nuovo immaginario, contribuendo a una nuova riflessione su spazi, tempi, persone, comunità. Vogliamo che la gente del posto si avvicini sempre di più ai mondi dell’arte e delle pratiche artistiche contemporanea. Su scala nazionale e internazionale, invece, vogliamo raccontare di come sia possibile – e per molti aspetti anche più interessante – una dimensione della produzione artistica slegata da logiche di mercato, coerente con i valori di un sud e di un Mediterraneo che accoglie, e non respinge, che vuole essere al centro, pur essendo periferia.
Prossimi impegni? Cosa avete in cantiere?
Abbiamo appena avviato un nuovo ciclo di residenze sostenuto da Siae S’Illumina e Mibac e curato da Claudio Zecchi e nuovi artisti e ospiti si stanno misurando con le terre estreme del capo di Leuca: Riccardo Giacconi + Carolina Valencia Caicedo e Lia Cecchin e tra gli ospiti Domenico Licchelli (Education and Public Outreach Specialist, Osservatorio Astrofisico R.P.Feynman e Progetto POLARIS), Aria Spinelli e Maria Pecchioli (Radical Intention); Michele Romanelli (Psicologo, Humus Interdisciplinary Residence) e Massimo Carozzi (Artista, Zimmerfrei). Tanti lavori degli artisti prodotti sono in diverse mostre: Carlos Casas da Spazio Punch (Venezia) Romina De Novellis al Ca’ Pesaro (Venezia), per citarne due. A gennaio faremo parte di una mostra collettiva curata da Alessandra Pioselli che si terrà presso gli spazi di Wurkmos a Sesto San Giovanni. Abbiamo appena partecipato a un panel a Zurigo sulle residenze d’artista, curato da Marco Antonini. E stiamo definendo dei progetti fuori dai confini nazionali.
Titolo Terrae. Sguardi sulle terre estreme
a cura di Maria Savarese
in collaborazione con Ramdom progetto ideato e curato da Paolo Mele e Luca Coclite
performance Salento con i danzatori Hektor Budlla (anche coreografo), Noemi Arcangeli, Alessandro Calvani
maître de ballet Aterballetto Giuseppe Calanni
28 settembre – 15 novembre 2018
Other Size Gallery
Via Andrea Maffei 1, Milano
Orari: da lunedì a venerdì 11.00-20.00; sabato 18.00-22.00; domenica chiuso
Ingresso libero
Info: +39 02 70006800
direzione@othersizegallery.it
othersizegallery@workness.it
www.othersizegallery.it