MODENA | FMAV – MATA | FINO AL 26 LUGLIO 2020
Intervista a Chiara Dall’Olio e Daniele De Luigi di Chiara Serri
Requiem for Pompei è un viaggio alla ricerca della trascendenza che, attraverso i luoghi del sacro, arriva a Pompei nel giorno successivo all’eruzione del Vesuvio. Qui, l’artista giapponese Kenro Izu non fotografa solo l’Anfiteatro, le Terme del Foro o la Casa degli Amorini Dorati, ma la scintilla divina che ancora risplende nei corpi improvvisamente strappati alla vita e ai luoghi della loro quotidianità. Riportando a “casa” le copie dei calchi originali, sagome chiare in uno spazio saturo di storie e memorie, l’autore compie un poetico gesto di pietà.
Parliamo della mostra, prorogata fino al 26 luglio 2020, e dei futuri progetti del MATA e della Fondazione Modena Arti Visive con i curatori Chiara Dall’Olio e Daniele De Luigi.
La mostra di Kenro Izu tocca corde molto sottili che afferiscono al tema della memoria e del sacro. Come si è arrivati alla realizzazione del progetto? Qual è stato il percorso che ha portato l’autore a rincorrere la traccia di un corpo del passato?
Chiara Dall’Olio: Nel 1979 Izu compie il suo primo viaggio in Egitto e, impressionato dall’imponenza delle Piramidi e dal senso di trascendenza trasmesso dalle rovine, dà inizio a una delle sue serie più famose, Sacred Places, che lo porterà nei successivi decenni a fotografare i più importanti luoghi sacri del mondo, dalla Cambogia al Tibet, dall’India all’Europa, fino al Messico, al Perù e all’Isola di Pasqua. Non solo monumenti eretti dall’uomo fin dall’antichità, ma anche luoghi o elementi naturali considerati sacri, come il fiume Gange. Izu cerca di cogliere nelle sue fotografie “l’aura” spirituale di questi luoghi, cercando così di trasmetterla al pubblico delle sue mostre. Dai viaggi in India, è nata la serie Eternal Light che include le figure umane, fino ad allora assenti nelle sue riprese. Il lavoro fatto a Varanasi nel 2014 sulle persone che si recano nella città sacra per morire ed essere lì cremate, lo ha segnato profondamente, ampliando la riflessione sul passaggio fra la vita e la morte, la materialità del corpo e l’immaterialità dello spirito. Nel 2015 Izu si reca a Pompei. L’impatto con le rovine, ma soprattutto con i calchi che raccontano visivamente la tragedia delle persone che sono morte a causa dell’eruzione del Vesuvio del 79 dc, è stato quasi altrettanto forte. Così Kenro Izu decide di realizzare un lavoro che racconti non solo la città, ma anche i suoi abitanti nel momento esatto del passaggio fra la vita e la morte. Il vuoto dei corpi distrutti dal calore dell’eruzione ha lasciato un’impronta nel terreno. Quel vuoto è stato riempito di gesso e ora ci restituisce l’immagine delle persone nel momento del trapasso. Un’analogia anche con le ombre lasciate a Hiroshima dai corpi “evaporati” a causa della bomba atomica nel 1945. La sua preghiera (Requiem) per Pompei, avvicina i visitatori alle vittime di quella lontana tragedia ma al tempo stesso, come l’artista sottolinea, porta il nostro pensiero ai drammi analoghi che possono verificarsi oggi in qualunque momento e luogo del mondo. Il progetto, realizzato in collaborazione con Fondazione Fotografia Modena, con il supporto del Parco Archeologico di Pompei, è il frutto di due lunghi soggiorni nel 2016 e nel 2017 che hanno portato alla realizzazione di un centinaio di opere, scatti in cui Izu ha posizionato le copie di alcuni calchi all’interno dei monumenti e delle case del sito archeologico. Una selezione di 55 fra queste opere è esposta a Modena, in parte acquisita dalla Fondazione di Modena, in parte donate dall’artista in occasione della mostra.
A proposito di corpi, la mostra, grazie alla collaborazione del Parco archeologico di Pompei, è arricchita dalla presenza di alcuni gessi…
Daniele De Luigi: Il progetto di Izu a Pompei ha potuto vedere la luce prima di tutto grazie alla grande sensibilità del Direttore Generale del Parco Archeologico di Pompei, Massimo Osanna, che ne ha compreso il valore e le potenzialità nell’offrire uno sguardo inedito e ricco di poesia a un luogo così conosciuto e fotografato. Questo ha creato una stretta relazione e un desiderio di continuare a collaborare che ha portato a questo prestito prestigioso di tre riproduzioni dei calchi in gesso originali prodotte nel secolo scorso: un uomo, un adulto con un bambino e il celeberrimo cane alla catena. Nello spazio espositivo non li abbiamo messi in relazione diretta con immagini in cui compaiono i medesimi calchi, sono piuttosto una “presenza”. Per Izu giustamente non si tratta di sculture, sono la traccia concreta di esseri umani scomparsi in una tragedia duemila anni fa, tanto è vero che nel “riportarli a casa” (così si esprimeva Izu nel farli uscire dalle teche museali per deporli en plein air nella città antica) l’artista prima di ogni scatto recitava una preghiera. La loro presenza in mostra ha suscitato forte emozione nei visitatori. Alla riapertura della mostra dopo la fase di emergenza legata al Covid-19 abbiamo deciso di prorogare il periodo espositivo, ma purtroppo non è stato possibile prolungare il prestito dei calchi.
Da un punto di vista linguistico, come si potrebbe definire la ricerca di Kenro Izu e come si inserisce nel panorama della fotografia internazionale? Quali sono le sue peculiarità?
Daniele De Luigi: Tutto il lavoro di Kenro nasce da una profonda fascinazione per il processo fotografico tradizionale, verso il quale conserva il senso di stupore delle origini. Il suo percorso di ricerca personale è iniziato quando aveva già acquisito una tecnica eccellente e ha deciso di seguire le orme dei fotografi esploratori della metà del XIX secolo, viaggiando in territori impervi – deserti, foreste, vette altissime – con una pesantissima macchina a banco ottico e attrezzature che superavano il quintale di peso. La fatica diventava parte del lavoro e preparava il momento culminante dello scatto che acquisiva un potere magico. Il desiderio di catturare la qualità fisica dell’aria presente in luoghi permeati dal sacro lo ha indotto a stampare le sue fotografie mettendo il negativo a contatto con la carta, per non “inquinare” il passaggio dalla materia fotografata alla materia della fotografia. Possiamo quindi dire che Izu intende la fotografia in senso tradizionale, attribuendole la capacità di trasferire altrove il potere delle cose toccando corde profonde dell’animo umano, con il grande, e raro, merito di aver saputo utilizzare le proprie straordinarie capacità tecniche in modo non fine a se stesso.
Le cinquantacinque fotografie in mostra, di cui trenta stampate e donate per l’occasione dall’autore, fanno tutte parte della Collezione di fotografia della Fondazione di Modena. Quali sono i pezzi principali che compongono la collezione?
Chiara Dall’Olio: La collezione di fotografia contemporanea della Fondazione di Modena raccoglie artisti di tutto il mondo e artisti italiani. La collezione di fotografia italiana contemporanea comprende le opere di alcuni tra i più importanti artisti del nostro paese: Ghirri, Basilico, Jodice, Vaccari, Fontana, Barbieri, Guidi, Niedermayr. E ancora: Andreoni, Biasiucci, Campigotto, De Pietri, Graziani, Fortugno, Musi, Radino e molti altri giovani autori. Arricchitasi di anno in anno, è ora composta da oltre 300 opere riferite ad un periodo che va dagli anni Settanta ai giorni nostri. Una ricca selezione, che rispecchia le molteplici visioni di cui la fotografia è in grado di farsi interprete, di sottolineare le mutazioni e i profondi cambiamenti avvenuti nel paesaggio – naturale e umano – e di ridefinire la nostra comprensione della realtà. La collezione internazionale di fotografia contemporanea della Fondazione di Modena include attualmente più di 600 opere di oltre 100 artisti. Avviata dal 2007, si è sviluppata secondo una progressione geografica, prendendo in esame nel corso degli anni le scene artistiche di diverse aree del mondo: dall’Estremo Oriente all’Europa dell’Est, dall’Africa e dal Medio Oriente all’India e all’America Latina, fino agli Stati Uniti e all’Europa del Nord. Tra gli artisti inclusi: Nobuyoshi Araki, Daido Moriyama, Hiroshi Sugimoto, Ai Wei Wei, David Goldblatt, Pieter Hugo, Jodi Bieber, Amar Kanwar, Dayanita Singh, Ansel Adams, Minor White, Edward Weston, Lee Friedlander, Diane Arbus, Wolfgang Tillmans.
Qualche anticipazione sui prossimi progetti che saranno allestiti al MATA?
Daniele De Luigi: In autunno, il MATA ospiterà le mostre organizzate dalla Scuola di alta formazione di Fondazione Modena Arti Visive, che avrebbero dovuto tenersi quest’estate nella tradizionale rassegna annuale The Summer Show che, causa emergenza Covid-19, è stata riformulata e segmentata in momenti diversi. Dal 10 ottobre all’8 novembre, la collettiva Motel presenterà, attraverso fotografie, video e installazioni, gli esiti delle ricerche condotte dagli studenti del Master sull’immagine contemporanea, mentre dal 28 novembre al 10 gennaio 2021 è prevista POSTcard, mostra ideata e realizzata dagli studenti di ICON Corso per curatori dell’immagine contemporanea, alla scoperta delle opere dalle collezioni gestite da FMAV. Nelle stesse date di POSTcard, gli spazi del MATA ospiteranno anche la nona edizione del Premio Davide Vignali, concorso video-fotografico rivolto agli studenti di quinta superiore dell’Emilia-Romagna. Nel programma autunnale di FMAV, spiccano anche i nomi di due grandi fotografi a cui l’istituzione modenese dedicherà una personale nelle altre due sedi espositive che gestisce. A Palazzo Santa Margherita dal 12 settembre 2020 al 10 gennaio 2021 si potrà visitare La luce, la traccia, la forma di Mario Cresci, che riunisce una serie di opere, di cui alcune create appositamente per questa mostra, che evidenziano il suo interesse per il “segno” inteso in senso ampio. Dal 6 novembre al 31 gennaio 2021 alla Palazzina dei Giardini è prevista Where/Dove, prima personale di Willie Doherty in un’istituzione italiana, co-prodotta da FMAV e dall’Ulster Museum di Belfast con il sostegno del British Council, che offre una panoramica della carriera dell’artista nordirlandese attraverso opere fotografiche e video focalizzate sul tema dei confini, dai primi lavori degli anni Ottanta fino a una nuova video installazione commissionata per l’occasione.
Kenro Izu. Requiem for Pompei
A cura di Chiara Dall’Olio e Daniele De Luigi
Prodotta da Fondazione Modena Arti Visive
30 maggio – 26 luglio 2020
FMAV – MATA
Via della Manifattura dei Tabacchi 83, Modena
Orari: sabato e domenica ore 11.00-19.00
Ingresso libero
Info: +39 059 4270657
www.fmav.org