TORINO | Guido Costa Projects | 10 marzo – 4 giugno 2016
Intervista a HILARIO ISOLA di Corinna Conci
Esistono presenze immortali nell’anima della società che costituiscono il tessuto del nostro pensiero e ci accompagnano attraverso la storia della cultura occidentale. Si tratta di personalità invisibili come piccoli chiodi che reggono l’opera delle nostre convinzioni più antiche. Queste identità ci sono vicine nella quotidianità e ci sostengono in quanto, come scrive Alain de Botton, la filosofia è una grande consolazione. L’autore ci ricorda la vita di Socrate, il quale insegna a preoccuparci non del numero delle persone che ci danno contro bensì della bontà delle loro ragioni. De Botton racconta come l’intelligenza di Aristotele ci guidi ad esternare con coraggio i nostri dubbi sulla conoscenza accumulata prima di noi, come lui fece criticando alcune debolezze di autori precedenti senza rinnegarli.
Lo scrittore ci rammenta anche le difficoltà sociali di Nietzsche confortate però dal suo pensiero che “ … la felicità e l’infelicità sono due sorelle gemelle, diventano grandi insieme […] o restano piccole insieme”. Nietzsche si era reso conto che chi desiderava realizzarsi nella vita doveva accogliere di buon grado le difficoltà e sosteneva “Ho una paura spaventosa che un giorno mi facciano santo…”.
Queste personalità e i loro vissuti emergono nelle micro sculture “i filosofi” di Hilario Isola, chiodi sui quali compaiono i volti di alcuni tra i più noti pensatori del passato: piccolissimi segni che ci ricordano i punti di riferimento e le ombre del nostro pensiero.
Come nasce la mostra I chiodi, l’ombra e l’aruspice ospitata da Guido Costa Projects?
Guido oltre ad essere un gallerista che ospita le mie opere è per me prima di tutto un amico che sa ascoltare e interpretare in profondità le mie idee. Questa mostra parla di volti, di uomini ed è nata anche da un incontro tra uomini: Costa oltre che grande conoscitore e appassionato di arte è una persona ricca di storie, uno scrittore raffinato e un lettore insaziabile. Raramente abbiamo parlato della mostra in questi mesi, in realtà. Da un anno circa, in maniera quasi rituale, abbiamo iniziato a fare frequenti passeggiate per accompagnare il suo cane lungo il fiume Po, costruendo nei nostri discorsi una sintonia, una comunione di intenti che poi man mano ha preso forma in maniera piuttosto naturale nella mostra.
In base a quali caratteristiche hai scelto le personalità dell’opera “I filosofi”?
La mia scelta artistica, come spesso per quanto riguarda gli incontri umani, non è analitica ma piuttosto basata sull’empatia: a volte succedono delle alchimie. Alcuni filosofi sono significativi obbiettivamente per quello che ho studiato, ma molti li ho preferiti perché avevano dei volti che mi erano amici. Ho ad esempio una simpatia per i filosofi che sono stati perseguitati per le loro idee o tacciati di pazzia. Quando ho deciso di lavorare sul progetto mi sono focalizzato sulle biografie oltre che sugli scritti filosofici. Mi incuriosiva capire che cosa avesse formato quel determinato volto o espressione, quale storia rappresentava, pur sapendo che è un processo fallimentare perché è un misto di molte cose, che va dalla genetica all’esperienza. Mi sono innamorato anche di molte storie, come quella di Crisippo che, pur non essendo un filosofo conosciuto come Aristotele o Socrate, è un personaggio incredibile. Si dice che sia morto dalle risate guardando il suo asino ubriaco che si stava ammazzando a forza di mangiare fichi. Ho trovato questa storia talmente assurda e lontana da quel viso serio da matematico che mi è parso naturale ritrarlo. Molti filosofi possiedono espressioni molto dure e fronti corrugate ma in realtà erano persone curiose e insaziabili con manie e attitudini bizzarre. Ci sono poi dei volti che sono difficili da raccontare, come quello di Wittgenstein che avrei voluto rappresentare, ma dopo averlo fatto mi sono accorto che come opera non era forte abbastanza. In questa dimensione alcuni volti non funzionano, non hanno la potenza espressiva e anche se belli non descrivono ciò che avevo in mente.
La mostra permette di sentirsi immersi in uno spazio che coinvolge più sensi contemporaneamente: l’impatto tattile e olfattivo delle opere fa parte della tua ricerca?
Mi piace molto il fatto di poter giocare con lo spettatore, farlo diventare parte attiva dell’opera. L’opera I mani ad esempio si completa e prende senso con l’interazione del pubblico. Una scultura in bronzo, che rappresenta una sorta di grappolo d’uva, proietta un’ombra amorfa sul muro fino a quando viene toccata, anzi impugnata dalla mano dello spettatore e assume improvvisamente le sembianze di un profilo umano, sempre diverso a seconda della forma e della posizione delle mani.
Aruspice #8, invece, è una scultura plasmata con i raspi d’uva e ha una matericità e un odore molto forti. Ogni maschera sta a metà tra una dimensione ambientale e psicologica: è fatta raccogliendo i raspi provenienti da circa un ettaro di vigna, un paesaggio reale che si trasfigura poi in un volto e nel paesaggio mentale che si porta dentro. Alla radice di queste opere c’è anche un forte senso di insoddisfazione, una critica all’apatia e alla mancanza di curiosità in particolare nei confronti dell’arte. Siamo talmente sovrastati di immagini che ci distacchiamo dalle opere, facendole diventare oggetti iconici e lontani, da relegare in spazi deputati e sui quali fare superficiali apprezzamenti o critiche. Non sono più oggetti reali con i quali poter interagire, intrattenere un rapporto. Sono contento quindi di aver trovato con questa mostra una pratica di lavoro sulla scultura che avvicina la materia fisica e naturale alla materia mentale, quella di cui siamo costituiti culturalmente. L’idea è di portare il volto ad avere una presenza nello spazio tale che possa innescare un contatto profondo, irrazionale e magico con chi lo vive. Rileggere alcune pratiche e figure dai nostri antenati etruschi e romani è stato molto importante in questo senso.
La serendipità è un aspetto fondamentale dell’evoluzione scientifica. Hai dichiarato che molte tue opere derivano da prodotti errati di sperimentazioni che intraprendi nel tuo lavoro.
Per me l’aspetto interessante è la ricerca stessa, quello che apre a livello di interrogativi: non mi interessa il risultato, non mi innamoro delle mie opere. Ad aprile parteciperò al progetto The Classroom curato da Paola Nicolin, progetto nel quale gli artisti sono invitati a tenere una lezione teorica sull’arte, a progettare il contenuto e il contenitore del corso. Il mio discorso verterà proprio sull’errore e su come lo sbaglio può diventare interessante, vitale e aprire a nuove scoperte. L’idea è quella di raccontare la storia dell’arte attraverso la mia lente individuale e quindi non da una prospettiva storica o accademica.
Hilario Isola
I chiodi, l’ombra e l’aruspice (Capitolo 1)
10 marzo – 4 giugno 2016
Guido Costa Projects
Via Mazzini 24, Torino
Info: www.guidocostaprojects.com
In occasione dell’opening è stato presentato un libro d’artista che documenta la parte dedicata ai filosofi.
I chiodi, l’ombra e l’aruspice è il Capitolo 1 del progetto espositivo di Hilario Isola che proseguirà nelle gallerie Valentina Bonomo di Roma e Voice Gallery di Marrakech:
I chiodi l’ombra e l’aruspice (Capitolo II)
16 marzo – 15 maggio 2016
Galleria Valentina Bonomo
Via Del Portico D’Ottavia 13, Roma
Info: galleriabonomo.com
I chiodi l’ombra e l’aruspice (Capitolo III)
23 aprile – 15 settembre 2016
Voice Gallery, Marrakech
Info: www.voicegallery.net