28 TFF – Torino Film Festival
Intervista a Gianluca e Massimiliano De Serio
di Susanna Sara Mandice
Gianluca e Massimiliano De Serio, classe 1978, sono tra i più interessanti artisti del panorama italiano. A leggere il loro curriculum non si può non stupirsi di come, così giovani, siano riusciti a collezionare tante menzioni, premi, mostre personali e collettive. Da Manifesta a T-1-Triennale di Torino; dalla Fondazione Olivetti alla Spinola Banna fino alla recente menzione speciale del Premio Italia Arte Contemporanea del Maxxi di Roma.
E ancora più numerosi sono i riconoscimenti cinematografici: “i gemelli” sono stati premiati nei maggiori festival di cinema europei.
Nel cinema come nella video arte, quella dei De Serio è una poetica che indaga i confini, i margini, le trasformazioni delle periferie urbane e le storie di personaggi borderline. Dai cortometraggi sui migranti al lavoro, sulla tragedia della Thyssenkrupp di Torino; passando per la video trilogia Love, fino ad arrivare a Bakroman, il loro ultimo documentario, premiato qualche settimana fa al Torino Film Festival, i De Serio ci hanno abituato a salvaguardare i dubbi, le ambiguità, le ambivalenze. La realtà risulta ricca di sfumature e talvolta inaccettabile e i suoi protagonisti, portatori di istanze collettive, divengono, a pieno titolo, rappresentanti dell’umanità tutta. Sono antieroi laici, la cui esistenza paga lo sconto dei “peccati” altrui.
Susanna Sara Mandice: Pluripremiati come registi e acclamati come artisti. Negli ultimi dieci anni, i vostri film hanno vinto prestigiosi festival nazionali e internazionali, la video arte vi ha portato a lavorare con alcune tra le maggiori istituzioni museali. Siamo curiosi di conoscere la schizofrenia che vi porta, in due ma in coppia, a oltrepassare i confini (ammesso che ci siano) tra un linguaggio artistico e un altro. Se doveste definirvi, cosa direste di voi?
G. e M. De Serio: Non è mai semplice presentarsi. Nella nostra società le etichette sono spesso una questione di comodo e servono a classificare, a rassicurarsi, a definire. Ci piacerebbe, invece, per quanto riguarda noi e il nostro lavoro, riuscire a sfuggire alle classificazioni e alle definizioni a priori. Se ce lo permetti, non vorremmo dare sicurezze o risposte certe. Semplicemente, siamo Gianluca e Massimiliano e lavoriamo con un linguaggio che è nostro. Esso si nutre di cinema, arte, vita.
Nei vostri lavori si ravvisa, fortissima, la componente politica. Nei corti come nei video, ridate voce a chi non ne ha, narrate le storie degli esclusi e dei non luoghi. Tramite questi segmenti socio-culturali raccontate ossimori di identità universali, di periferie dell’anima. Cosa vi ha spinti, fin da giovanissimi a occuparvi di queste tematiche?
Siamo nati e cresciuti, e tutt’oggi viviamo, nella zona nord di Torino. Si tratta di una delle periferie torinesi che ha accolto diverse ondate migratorie, dalla seconda metà del ‘900 ad oggi. È un quartiere che ha imparato a vivere sul solco di fratture e cuciture. Spesso è in questo luogo che nascono i nostri lavori, qui avvengono gli incontri con i protagonisti dei nostri video. Ed è qui che abbiamo imparato a sentirci legati a chi non ha nulla, a chi lotta ogni giorno per conquistarsi un’esistenza minima, con dignità.
Nel pensiero che sta dietro al nostro lavoro, la componente politica non può assolutamente essere slegata da quella estetica, si tratta di aspetti legati tra loro in maniera indissolubile. I nostri video contengono la sintesi tra rispetto e bellezza, dignità e solidarietà. Racconto e catarsi. Questo è il nostro approccio.
Seppur giovani, lavorate da oltre dieci anni. Il vostro curriculum è sicuramente molto ricco, le mostre e i premi quasi non si contano. A voler guardare indietro, che tipo di evoluzione ha avuto il vostro lavoro? Qual è il video che più vi rappresenta e al quale siete maggiormente legati? Al contrario, c’è qualcosa che non vi convince più?
Più che parlare di evoluzione, forse è più giusto parlare di dialettica, di ricerca. Ogni lavoro pone le premesse per i successivi, in essi si specchia e aggiunge qualcosa di nuovo. È come se ci fosse un filo rosso che lega un lavoro all’altro, si tratta di un percorso, nostro e del nostro pubblico. La nostra narrazione è composta di tanti racconti: sono le vite dei protagonisti dei nostri lavori, attraverso le quali analizziamo alcuni aspetti della società contemporanea. Per questo non rinneghiamo nulla, né abbiamo un legame privilegiato con uno o più lavori. Ciò che più ci rappresenta non è un lavoro, ma sono le tematiche sulle quali ci soffermiamo: la ricerca identitaria, la clandestinità, il confronto con culture lontane, lo sradicamento sociale…
Nel cinema così come nella video arte siete tecnicamente minuziosi: lunghe inquadrature, numerosi piani sequenza, riprese dei particolari… Che rapporto c’è tra la durata del piano e l’attesa dello svelamento del reale? Che cos’è dal vostro punto di vista lavorativo, il tempo?
Il cinema lavora prima di tutto con il tempo. Nella durata il corpo prende il suo spazio, prende vita, svela la sua esistenza, lotta per una sua imposizione. Solo in questo modo sfiorisce la sua umanità, che è fatta di tempo e di spazio. Di particolari, di gesti rituali, di parole. Tutte forme del tempo incarnate nel corpo, nel movimento, nella voce.
Da torinese non posso non porvi una domanda. Sono passati esattamente due anni dalla tragedia della Thyssenkrupp (dicembre 2008). Nei mesi successivi la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo vi ha commissionato un lavoro tematico che sicuramente vi è costato fatica emotiva. Ce lo raccontate?
Il film è di fatto un ricordo: il ricordo di Gigi, uno dei colleghi operai dei ragazzi morti durante l’incidente. È la sua narrazione, la sua memoria. A lui abbiamo delegato il compito di raccontare quello che è successo. Allo stesso tempo, il film è una commemorazione e una denuncia. La camera si muove in continuazione tra le parole e la bocca di Gigi e le foto che sfoglia, una ad una, mentre racconta il suo ricordo degli amici colleghi. All’interno di un’estetica rigorosa, la memoria di Gigi prende forma, instaura un dialogo con noi e con gli spettatori, rievoca una storia che non può lasciare indifferenti.
Attualmente siete impegnati nelle riprese di un lungometraggio. Potete darci qualche anticipazione?
Si tratta di un film che sarà distribuito nel circuito cinematografico, sarà in sala nel 2011. È la storia di una redenzione, di una lotta per la sopravvivenza, della scoperta di un sentimento di misericordia, spogliato del suo cliché religioso e vicino a ciò che ha di più umano questa accezione: prendersi cura del corpo dell’altro. I protagonisti sono due persone che vivono ai margini della società, in quella Torino Nord che tanto ci appartiene e nella quale, proprio in questi giorni, stiamo girando.
Il progetto in breve:
Premio ITALIANA.DOC
BAKROMAN di Gianluca e Massimiliano De Serio (Italia, 2010, HDV, 100’)
TFF – Torino Film Festival
via Montebello, 15 10124 Torino
Info: +39 011 8138820 – 824
www.torinofilmfest.org
In alto:
Installazione Torino Film Festival
In basso:
Gianluca e Massimiliano De Serio, “BAKROMAN”, (Italia, 2010, HDV, 100’)