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Italiani all’estero: Paolo Maggis

a cura di Silvia Conta

Un’isola di silenzio, libertà di pensare e creare, legame con la terra e con la vita. È la luce ambrata della sera che mi ricorda perché tutto è iniziato.

Paolo Maggis è nato a Milano nel 1978. Vive e lavora Barcellona (Spagna).

Nel 2008 Paolo Maggis si è trasferito da Berlino a Barcellona, città dove per lui è possibile operare una scissione tra la vita creativa e le relazioni con il mondo artistico. Una posizione, quella della città catalana, che consente all’artista un contatto continuo, ma più mirato, con la scena artistica internazionale: prendere un aereo obbliga a concentrarsi su ciò che si sta per vedere e chi si sta per incontrare, volere tutto ciò senza darlo per scontato, aumenta la voracità, la propensione a calarsi in una dimensione di scoperta e confronto (relativamente) scisse dalla pratica creativa quotidiana favorisce una meditazione e un’elaborazione che si definisce e struttura sia nello spazio che nel tempo.

Una scelta, Barcellona, che si rifà quindi ad una necessità di maggior solitudine intellettuale e creativa, uscire da una Berlino in cui, nell’esperienza di Maggis, l’alta condensazione di artisti e il ritmo frenetico di inaugurazioni e occasioni in cui incontrare altri artisti non solo risucchia tempo e concentrazione, ma rende più difficile perseguire una ricerca realmente propria e genuina, a favore, di mode che, anche l’artista più attento a mantenere una propria indipendenza, finisce per assorbire almeno in parte.

Paolo Maggis, Sleepers, 2015, cm 180x210, olio su tela, courtesy dell’artista, foto Juan De Jarillo
Quello di pittore per Maggis è, infatti, un lavoro in cui è necessario essere totalmente liberi, altrimenti si compromette l’essenza della propria ricerca. Questa libertà è preservata da Maggis anche lavorando per progetti, ispirandosi ad Almodovar, in quel suo raccogliere immagini e poi metterle insieme; Maggis lavora contemporaneamente a più quadri, ma l’intento non è la creazione di serie per tecnica o tematica, bensì la ricerca dell’unicità del quadro e la condensazione di energia in un processo che mira a due esiti apparentemente opposti: da un lato un’opera deve condensare in sé energia e finitezza, deve essere completa e autonoma in sé, constituire un’attestazione pura di esistenza completa e specifica, che inizia e si conclude nella propria evidenza, indipendentemente dal contenuto. La specificità di quest’ultimo risiede, invece, nella sua totale apertura di lettura, interamente demandata all’osservatore, il quale viene volutamente lasciato solo, privo di indizi, a confrontarsi con l’immagine e la sua forza. L’artista punta, infatti, a restituire valore all’opera singola, che viene a configurarsi come preciso punto d’incontro dell’osservatore con un’immagine, ma non corrisponde ad una narrazione, una descrizione, una risposta o un punto di vista privilegiato, si tratta di un’immagine scelta dall’artista dalla realtà per forma, colore, soggetto o altre caratteristiche che lo hanno attratto tra le infinite possibili. Durante il processo di trasposizione pittorica l’immagine viene in primis depurata dagli elementi narrativi e descrittivi, soprattutto grazie ad una prima stesura sulla tela rapida e molto fisica, che viene ripresa dopo giorni o settimane. Questo è connesso alla liberazione del gesto, all’uso completo del corpo nell’atto pittorico, che consente una più diretta condensazione di energia e forza visive, il che conduce ad un ritorno alle opere di grandi dimensioni, come è avvenuto per Maggis nel periodo recente.

Questo processo mira a far emergere un’essenza figurativa che l’artista stesso raggiunge a poco a poco attraverso l’atto del dipingere e che lo sorprende nell’incontro con un quid imprevedibile, nella nascita di un’icona diversa e autonoma rispetto all’immagine di partenza. Ne consegue una rinuncia, da parte dell’artista, alla ricerca della perfezione formale all’interno dell’opera, a favore dell’importanza dell’energia che essa riesce a contenere e a trasmettere, che equivale, per Maggis, con un’assunzione di responsabilità che restituisce valore all’atto pittorico come precisa scelta di creazione dell’opera d’arte come spazio di fruizione che può modificare il punto di vista dell’osservatore.

Ciò accade anche in Sleepers, in cui compaiono due figure maschili, una stesa supina su una panchina e l’altra seduta, ripiegata su di essa. La scena è priva di ambientazione paesaggistica e cronologica, il tratto rapido e drammatico è veicolo di forte energia, ma riesce allo stesso tempo a rinunciare ad una velleitaria aggiunta di particolari e i personaggi non trasmettono alcun elemento che possa portare lo spettatore a propendere per la percezione di un’interpretazione più “corretta”. Ciò deriva anche da un altro punto cardine della poetica di Maggis: la considerazione che ogni opera è finzione, che funziona quindi con meccanismi ben diversi dalla realtà e quindi è necessario, come pittore, confrontarsi sempre apertamente con questa differenza, collocando le proprie scelte in termini di imitazione o interazione.

Ciascuna opera assume così su di sé un valore metaforico: così come l’artista a partire da un’immagine ha compiuto un percorso di ricerca e scoperta, così è chiamato a fare anche lo spettatore che è lasciato solo, “buttato” dinanzi al quadro ad iniziare un dialogo sia con l’opera sia con se stesso. L’opera si trasforma così in un grimaldello per infinite riflessioni e pensieri in un circuito apparentemente logico e continuo, ma al quale lo spettatore è in verità assuefatto dal quotidiano bombardamento di immagini: nelle opere di Maggis l’immagine proviene dalla realtà e ad essa rimanda, ma non senza aver prima trasformato o ampliato il ventaglio di possibilità di lettura della realtà stessa. In ciò il quadro riscopre una funzione che l’arte può ancora avere: un cristallo attraverso cui le immagini riconquistano il valore del loro esistere e della loro possibilità di condensare significati, in un processo di riappropriazione della realtà e della coscienza di essa per quello che è.

www.paolomaggis.com

Appuntamento con Postcards to Italy #7 a maggio con Tommaso Fiscaletti

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