Italiani all’estero: Davide Mancini Zanchi
a cura di Silvia Conta
“Qui si respira l’aria buona…”
Davide Mancini Zanchi è nato nel 1986 a Urbino. Vive e lavora tra Urbino e Parigi.
Per la sua seconda uscita Postacards to Italy ospita un lavoro inedito di Davide Mancini Zanchi realizzato nel corso della residenza alla Dena Foundation for Contemporary Art di Parigi, curata da Valentina Mayer, che per tre mesi lo ha visto protagonista, assieme agli artisti Luke Heng (Singapore) e Stephanie Jane Burt (Singapore – Glasgow, UK) e alla curatrice Jane Koh. Una residenza che per Mancini Zanchi si sta ora prolungando di ulteriori due mesi nella capitale francese da dedicare allo studio indipendente. Per l’artista questo momento si sta rivelando fondamentale non solo per l’innumerevole quantità di spunti che la città e la sua scena artistica offrono, ma per averlo portato a concentrarsi su quali siano gli elementi e gli aspetti più rilevanti affinché da un lavoro emerga in modo diretto il concetto che ne sta alla base, attraverso una maggiore ricerca di pulizia ed essenzialità.
La poetica di Mancini Zanchi è basata su una riflessione che affonda le proprie radici nella rimeditazione dell’atto pittorico. L’artista ritiene, infatti, che la pittura sia uno dei massimi livelli raggiunti dall’espressività umana, tuttavia essa è, intrinsecamente, un atto non necessario alla sopravvivenza e coincide, quindi, con una sostanziale “inutilità dell’azione”. Da ciò deriva per l’artista una totale libertà di sperimentazione, che nell’infinitezza delle possibilità espressive, è guidata, nel suo caso, da una responsabilità morale verso la storia dell’arte che si traduce in un suo completo rispetto e, al contempo, in una costante e genuina ricerca di nuove soluzioni.
Atteggiamento sperimentale e ricerca incessante sono condensati in Marchè Franprix triptique, un’opera pittorica nata durante la residenza alla Dena Foundation, visivamente basata su quelle che l’artista individua come forme primarie dell’astrazione: cerchio, quadrato e triangolo. Esse, appese alla parete ad una precisa distanza tra loro, mantengono l’identità di tre monocromi (benchè sul bianco dell’ultima si innestino tratti di rosso e blu) e, insieme, pongono in essere la dinamica del trittico, in cui il senso di una parte è vincolato dalla presenza delle altre.
In agguato, dietro l’apparente arrestarsi della ricerca ad una proposta vicina al minimalismo, stanno gli elementi con cui ciascuna forma è stata dipinta: conserva di pomodoro, Nutella e dentifricio. Lontano delle immediate reazioni che essi possono scatenare facendo pensare ad una provocazione o a rimandi pop, c’è nell’uso di questi materiali, acquistati nella catena di supermercati francese a cui il titolo fa riferimento, una precisa scelta di ragionare su forma e colore, sulla sua densità, sul suo rapporto con la superficie, nonché sul suo mutare nel tempo e sulla sua fragilità. C’è, in quelle tre forme archetipe e nel loro rapporto con il colore, che si fa puro, andando ben oltre il materiale che lo incarna, una preponderante componente di delicatezza e fragilità, che impone allo spettatore di confrontarsi con esse quali atti pittorici, al di là dello sfasamento che si innesca tra l’osservazione dell’opera e la presa di coscienza del materiale con cui sono state dipinte, conducendo ad una riflessione sulla pittura, sul proprio rapporto con essa e con i luoghi deputati alla definizione di arte stessa.
Appuntamento con Postcards to Italy #3 a gennaio con Daniele Girardi