Italiani all’estero: Matteo Fato
a cura di Silvia Conta
“Qui il silenzio è luminoso…”
Matteo Fato (Pescara, 1979). Vive e lavora a Pescara (PE)
Matteo Fato ha appena concluso una residenza di due mesi presso il Nordisk Kunstnarsenter Dalsåsen (NKD – www.nkdale.no) di Dale i Sunnfjord, un luogo poco distante dal centro abitato di Dale nei fiordi, immerso nella foresta sulla costa occidentale della Norvegia. Nell’area della residenza sono sempre presenti contemporaneamente cinque artisti, ciascuno di loro ha a disposizione una casa singola completamente attrezzata, separata dalla struttura comune, oltre ad un ampio studio all’interno della struttura della residenza, che comprende anche alcune aree comuni, come un laboratorio completamente attrezzato per lavorare soprattutto il legno.
Durante questo periodo Matteo Fato si è posto in totale ascolto del luogo, attraverso una quotidiana scoperta della natura che lo circonda e un lasciarsi trasportare dalla lentezza e dal silenzio che ne sono parte essenziale. L’isolamento che deriva dalla collocazione geografica di questa residenza la rende ambita da molti proprio perché contesto ideale per ritrovarsi a tu per tu con il proprio lavoro, straniarsi dal proprio contesto abituale, in totale solitudine che si trasforma in intimità con il proprio lavoro. Fato si è avvicinato a questa situazione come occasione per porsi in dialogo aperto con la totalità della sua pittura e delle regole della sua disciplina lavorativa. Per potersi dedicare con assoluta serenità e concentrazione a questo momento, Fato non ha accettato alcuna proposta di mostra prima di partire, perché se negli ultimi due anni la progettualità legata ad un preciso luogo o situazione è stata una parte integrante della sua poetica, ora ha voluto rinunciare ad una progettualità precisa per essere libero di creare unicamente in sintonia con ciò che avrebbe via via scoperto: “qui ho voluto lavorare senza pensare ad alcun luogo fisico, l’unico “luogo di lavoro” è stata la pittura”, racconta Fato.
Per l’artista è stato un nuovo “incontro con la bellezza”, “ricominciare a vedere” partendo dalla luce: perfetta per la pittura e molto diversa da quella mediterranea a cui è abituato. Questo fattore è stato un elemento che lo ha portato a “vedere” in modo diverso forme e colori e insieme a ciò sono tornate le recondite sensazioni di positiva incertezza nella sperimentazione, quel coraggio di lasciarsi trascinare dalla pittura in modo più libero da cui sono nati circa trenta lavori tra dipinti e disegni. Componente trainante dell’atteggiamento di questi mesi è stato l’aprirsi ad un innocente stupore verso la maestosa natura dei boschi del Nord: passeggiare e lasciarsi affascinare dall’estetica della natura – alberi, animali, rocce, paesaggi e con l’eccezione di semplici tracce umane come ripari in legno – per poi riportarla con immediatezza sulla tela e tralasciare (momentaneamente) l’aspetto concettuale che caratterizza i suoi dipinti e ne segna in modo profondo la preparazione della tela. Il lasciarsi sedurre dal fascino dell’apparente semplicità degli elementi naturali senza però rinunciare alla propria cifra stilistica è evidente in Studio di (Nuvola), un oil stick su carta realizzato poche settimane fa, in cui il titolo pone l’accento sull’aspetto dell’approccio osservativo di un soggetto naturale – la nuvola – il cui nome è posto in parentesi, quasi un tocco di riverenza rispetto ad un dato di realtà indagato con occhio libero da qualsiasi condizionamento concettuale o stilistico. La nuvola è un soggetto che ciclicamente torna nel lavoro di Fato per il suo essere priva di una forma stabile e definitiva e costituisce quindi un soggetto privilegiato di studio e riflessione. In Studio di (Nuvola) l’artista dipinge in studio e lavora basandosi su una memoria che non può che essere emotiva oltre che visiva. Da ciò deriva l’aspetto potentemente antinaturalistico di linee e colori, che assecondano l’istintività d’esecuzione senza però rinunciare a porre dei punti fermi nel processo di trasposizione del reale in linguaggio pittorico: Fato abolisce qui il disegno preparatorio, sempre presente nei suoi lavori sia come momento di progressivo avvicinamento al momento della pittura, sia come “confine” da cui la pittura non deve uscire, e ricerca invece – come spiega l’artista – una fusione tra disegno e pittura che si fa quasi scrittura in una dimensione che confina con la tradizione calligrafica cinese, dove il valore di pittura e scrittura si uniscono. In questo dipinto nasce così il tentativo – continua l’artista – di narrare attraverso la pittura, ma ridurre la narrazione ad un susseguirsi di eventi nulli perché coincidenti con l’osservazione e la riflessione di cui rimane soltanto un’immagine ferma in un silenzio carico di una rigenerata intimità con la pittura stessa.
Appuntamento con Postcards to Italy #11 ad ottobre con Nicolò Bruno