UNA STORIA INTORNO ALLA FOTOGRAFIA, “per caso e per necessità”
Intervista a PINO COLLA di Alessandro Trabucco
Pino Colla ha sviluppato negli anni, con una sana e paziente dedizione, una propria ricerca fotografica ad oggi difficilmente classificabile in schemi o tendenze. La sua autonomia creativa lo ha portato a dedicarsi in totale libertà alla realizzazione visiva di un proprio intimo “sentire” (come lo definisce egli stesso) trovando nell’immagine fotografica lo strumento ideale per questa profonda necessità espressiva.
In quale momento della tua vita nasce l’interesse per la fotografia? E quali ne sono state le motivazioni?
Buona parte delle cose nasce “per caso e per necessità”, come scrisse Jacques Monod. Nel 1950 ero in collegio e un assistente mi offrì l’opportunità di fare la foto di gruppo alla 5° elementare. Fui affascinato dall’immagine capovolta nel piccolo prisma della macchina fotografica Rondine. Naturalmente in seguito anche la camera oscura è stata molto intrigante in merito, con tutte le emozioni che questa comportava, non ultima quell’odore di fissaggio (iposolfito di sodio) che ancora adesso mi porto nella memoria.
Quali sviluppi ha avuto in seguito questa passione nei primi anni della tua attività fotografica?
Frequentavo la camera oscura di un fotografo che realizzava fototessere, matrimoni, comunioni e battesimi. In seguito frequentai la scuola di fotografia, mia madre era contraria, fortunatamente mi venne fatto il nome della allora famosa Fototecnica Publifoto di Vincenzo Carrese, di viale Montello a Milano, mi presentai e fui assunto. Lì capii di non avere altre passioni, tutto di quel laboratorio mi affascinava.
Nel ‘67 inizio quindi a sperimentare fotograficamente un mio “SENTIRE”. Nel 1970 espongo alla Galleria il Diaframma di Milano, a cura di Lanfranco Colombo, la personale fotografica RITSOS: IMMAGINI E POESIA. In questa mostra presento fotografie in bianco e nero ispirate alle poesie delle raccolte Epitaffio e Makronissos del poeta greco Ghiannis Ritsos, nelle quali cerco di rappresentare le atmosfere contestatrici di quel periodo e, allo stesso tempo, la sua rabbia e sofferenza causate dalla deportazione subita da parte dei colonnelli che fecero il colpo di Stato.
Ad un certo punto del tuo percorso però scegli di abbandonare definitivamente il bianco e nero a favore del colore. Cos’ha determinato questa scelta e dove pensi ti abbia portato?
L’ultima immagine che scattai in bianco e nero è del 1973. Penso sia stata significativa del mio percorso, perché già lì il tema del ritratto e della rappresentazione del tempo erano elementi determinanti ed anticipatori di sviluppi futuri. La donai a Lanfranco Colombo che, a sua volta, la donò al Museo d’arte Moderna Carrara di Bergamo. Ciò che ha determinato la scelta del colore è lo scoprire che il B/N abita nella luce stessa, non nel supporto, dentro di essa c’è il B/N, ma anche molto di più. Alcuni non sono d’accordo, specialmente coloro che hanno una visione retrò delle cose, un’idea un po’ romantica. Tempo addietro ho chiesto se mi vendevano un ingranditore Leitz, era molto bello, io non volevo utilizzarlo per la stampa, ma come scultura. Non è una questione di romanticismo, bensì un grande riconoscimento per tutte le cose che mi hanno portato sin qui. Gli strumenti ti aiutano a crescere, ma quello che hai da dire è più importante.
Hai dei maestri? Chi sono?
Tanti, tanti maestri. Fotografi della fototecnica Publifoto come Schedoni, Salvati e, in seguito, fotografi di riferimento come Bill Brandt, Herbert List, Weston, Kessel e altri… Trovavo interessanti i ritrattisti cecoslovacchi, del resto sono dell’idea che un buon ritratto riesca a indagare una parte di te che non conosci.
La tua ricerca è contraddistinta da alcune tematiche che sono per te fondamentali e che hai affrontato sempre con degli scatti raccolti in serie specifiche. Ce ne puoi illustrare le principali?
Come detto prima, nel ‘73 realizzo l’ultima immagine in Bianco e Nero. Lascio le mie ricerche, smonto la “CAMERA OSCURA DELL’INTERIORITA’” e mi dedico al lavoro su commissione. Nel 1999, con il mio autoritratto, inizia il “RITORNO VERSO ME STESSO…” come Riccardo Riganti scrive in occasione della mostra personale antologica 1967-2012 dal titolo “IMMAGINI DEL SOGNO E DELLA NOTTE”.
Le tematiche che seguiranno dal 1999 in poi sono molteplici, con un comune denominatore, “II SENTIRE”. Dapprima fui attratto dalla dimensione spaziale-temporale. Tentai di fondere due immagini in una. Concettualmente fusi il passato e il presente, il giorno e la notte, l’esterno e l’interno, il sopra e il sotto. E, come era prevedibile, approfondendo quell’esperienza venni attratto dall’azione disgregatrice del tempo; dai frammenti di un muro, dalle pavimentazioni consunte, dagli intonaci scrostati e quindi dai colori che traspaiono sotto altri colori perdendosi a ritroso negli anni. Nel contempo la mia ricerca si concentra sul Mito della caverna di Platone, che si concluderà con la mostra alla libreria Cardano di Pavia nel 2010 dal titolo: IMMAGINI D’OMBRE. Seguirà per il MIA Fair, nell’edizione del 2011, l’esposizione dal titolo SEGRETI SILENZI, poi completata nel 2012 e presentata alle Serre Ratti di Como.
Unitamente alla personale antologica dal titolo DEL SOGNO E DELLA NOTTE, presento parte della mia ultima ricerca LE METAMORFOSI VEGETALI che non mi è dato di sapere dove mi porterà in seguito. Nella natura tutto è mutazione, e la mutazione è un linguaggio che trova nella poesia la sua più alta espressione.
Quali differenze trovi nella fotografia di oggi (non tanto dal punto di vista tecnico, che sono evidenti, ma soprattutto di linguaggio) rispetto agli anni dei tuoi esordi?
Se oggi penso alla fotografia di attualità e al suo “linguaggio”, lo trovo sintetico, asciutto e coinvolgente. Se penso alle foto del “SENTIRE”, immagini a me più affini, trovo in esse molti giochi, effetti visivi stupefacenti ma in realtà con pochi contenuti.
Che differenza secondo te c’è tra una “fotografia” e una “immagine”?
Come sempre la foto la fa la macchina fotografica, da tempo progettata per non fare errori. La macchina fotografica è lo strumento per realizzare fotografie, il mezzo è il medesimo, ma “L’IMMAGINE” richiede necessariamente, a differenza della foto comune, una ricerca individuale, e la scelta dell’argomento ne determinerà il percorso. Il digitale ha reso meno macchinoso il lavoro del fotografo e Photoshop ha in effetti sostituito la camera oscura.
Le esperienze acquisite in passato, lastre, pellicole e camera-oscura sono oggi, con il digitale, i mezzi che mi consentono, meglio che in passato, di rendere il mio “SENTIRE” visibile.
Su quali progetti stai lavorando in questo periodo?
Con i Ritratti Contemporanei (2014-2015), realizzati in questi ultimi mesi, propongo una rinnovata forma visiva nell’elaborazione dell’immagine finale, utilizzando le risorse offerte dall’odierna tecnica digitale.
Cerco di far risaltare all’occhio dell’osservatore il “fattore tempo”, quale legante tra le due porzioni del volto che costituiscono la struttura compositiva dell’opera, mostrando due momenti differenti della vita del soggetto rappresentato, come per riprendere e portare a termine un discorso lasciato in sospeso per un determinato arco temporale, forse necessario per sedimentare la memoria di pensieri, riflessioni e sensazioni. Questi lavori saranno presentati nel corso del 2016 per la prima volta durante MIA Fair a Milano, presso lo stand della Galleria Riccardo Costantini Contemporary.
Info: www.pinocolla.it