a cura di Alessandra Redaelli
Paolo Bini, protagonista della nostra nona Pillola d’arte, ha ripensato in maniera originale il concetto stesso di pittura di paesaggio. Quando nel 2016 vince il Premio Cairo, quello che incanta la giuria è la sua capacità di essere profondamente concettuale e, al tempo stesso, incredibilmente classico. Viaggiatore compulsivo (Gran Bretagna, Grecia, Serbia, Cuba, Sudafrica), tende a innamorarsi di tutti i luoghi caratterizzati dalla una luce unica e particolare. Del resto lui è, a tutti gli effetti, un pittore di paesaggio. Solo che i suoi paesaggi non si squadernano davanti allo spettatore come una serie consequenziale di spazi in prospettiva o come orizzonti, ma piuttosto si concretizzano nella precisa scansione di elementi lineari sui quali il colore si stende piano o si rapprende in macchie o schizzi. Quello di Paolo Bini, intendiamoci, non è lo sguardo distratto di chi ha colto solo la prima impressione dell’ambiente, ma la contemplazione profonda di chi ne ha penetrato l’essenza; lui non è un freddo astrattista, ma uno spirito romantico a cui piace coinvolgerci in narrazioni avvincenti, come evidenziano i suoi titoli (Al mattino presto, guardando verso la Namibia, oppure, come nella foto, Il tempo lento che accompagna il paesaggio). Sintetizzato in una sequenza di strisce di nastro-carta stese ordinatamente sulla tela, il paesaggio diventa così il “riassunto emotivo” delle sensazioni di chi lo guarda. Sostanzialmente lo stesso principio dal quale era partito Monet con Impression, soleil levant, ripensato però attraverso la sensibilità del Terzo Millennio, la lezione delle avanguardie, la sperimentazione sui materiali, la decostruzione della forma di Gerhard Richter, il languido delirio di Agnes Martin e la follia ordinatrice di Frank Stella. Quello che risulta incredibile è la capacità che possiede Bini di mantenere intatta l’emozione visiva pur spogliando completamente la natura dalle forme universalmente riconosciute del sublime, attuando una sorta di lirico ordine del caos che di volta in volta si sostanzia in vibrazioni cromatiche sottili oppure in ardenti ondate di colore, con quella variazione di superficie che ci spinge a leggere tra le righe, a sbirciare sotto, rendendoci tutti un po’ voyeur.
1 – Definisciti con tre aggettivi.
Ottimista, preciso e trascinatore.
2 – Qual è stato il momento in cui hai capito di essere artista?
Non lo ricordo bene, ma ricordo quando ho iniziato a sentire l’esigenza di trasferire le emozioni che il fascino del mondo esterno mi dava: avevo tredici anni, ero allo stadio con mio padre, e le coreografie di una curva euforica, dinamica e coloratissima, mossero qualcosa dentro di me. L’anno successivo mi iscrissi al Liceo Artistico.
3 – Hai scelto la pittura perché…
Perché mi offre libertà assoluta, e spesso intuizione e istinto aprono scenari inattesi e in grado di sedurre: una continua scoperta. Contemporaneamente nel lavoro resto soddisfatto sempre e solo in parte, ma mi rendo conto che questa inquietudine è l’arma per approcciare un nuovo lavoro.
4 – L’opera d’arte che avresti voluto realizzare tu.
L’opera che Miquel Barceló ha realizzato per la Cupola nella sala XX del Palazzo delle Nazioni Unite a Ginevra.
5 – Qual è il momento più emozionante della tua giornata?
A volte mi sento così felice, anche solo bevendo il caffè al bar vicino allo studio, che penso tra me e me: “Ma sono imbecille a emozionarmi per un caffè?”. In realtà durante il giorno incontro diversi istanti emozionanti, forse quello – in questo momento – più significativo è quando inizio un nuovo lavoro, quando avvio la progettazione disegnando, insomma l’attimo in cui cerco di dare forma, e successivamente colore, all’emozione. Oggi, rinchiusi in casa, forse più di prima!
6 – L’arte è ispirazione o applicazione?
La prima (involontaria) dà la possibilità di proseguire con la seconda, che diventa un’azione necessaria e che insieme all’ispirazione dà vita alla creazione. Penso che l’arte viva di queste forze complementari.
7 – Chi eri nella tua vita precedente?
Assolutamente nessuno.
8 – Tre qualità che non possono mancare all’artista del Terzo Millennio.
Energia, calibrata forza propositiva e terza, la più importante, resistenza.
9 – Il sogno che non hai ancora realizzato.
Vorrei scriverlo, ma sono un po’ scaramantico e quindi spero tanto che tu non ti offenda se non rispondo.
10 – La bellezza salverà il mondo?
Ovviamente sì!