a cura di Alessandra Redaelli
Nel corso della penultima Biennale di Venezia, la 57° nel 2017, la sua grande installazione accoglieva i visitatori dell’Arsenale, catturandoli tra arazzi dalle misteriose suggestioni arcaiche, fili di tessuto, fossili marini, ammoniti e piccole sculture dalla lettura ambigua. È dedicata alla ricerca lirica e archeologica di Michele Ciacciofera, la quarta Pillola d’arte: un’indagine sul passato e sui lasciti del tempo, particolarmente preziosa in un momento in cui ci si trova costretti a guardarsi dentro.
Muovendosi tra pittura, scultura, installazione e objet trouvé, l’artista lavora per accumulazioni e stratificazioni di oggetti e di materiali, sia antichissimi che contemporanei, in un’incessante rivisitazione dei concetti di presente e di passato; un passato di cui ama ricercare le tracce soprattutto nella storia dei paesi del Mediterraneo. Quello che colpisce, quando ci si trova davanti al suo lavoro, è lo spaesamento dovuto all’impossibilità di collocare temporalmente ciò che si vede. La natura e l’artificio si fondono senza soluzione di continuità: l’installazione ispirata a un rituale preistorico si rivela, a un secondo sguardo, disseminata di indizi prettamente contemporanei, la ceramica dai colori pastosi cela inserti fossili, il favo di miele, nella sua grazia geometrica, lascia il dubbio sul suo essere reperto naturale o artefatto. La sensazione è quella di trovarsi davanti a una possibile spiegazione del nostro essere nel mondo e nella natura, spiegazione della quale, però, ci sfuggono i contorni precisi.
Capace di progetti visionari (come la traccia sonora The density of the transparent wind, portata a Documenta nel 2017: canto del mare e del vento che si intreccia alle voci dei marinai), Michele Ciacciofera procede nella sua ricerca per grandi capitoli di sapore enciclopedico: la mostra The library of encoded time, da poco conclusa al Museo Marino Marini di Firenze, è infatti il punto d’arrivo di una trilogia formata dai precedenti The translucent skin of the present e A chimerical museum of shifting shapes. Il tempo codificato si racconta qui nei grandi mattoni di recupero trasformati in codici attraverso un minuzioso lavoro di scrittura e di grafica e nelle sculture totemiche dalle forme inquiete tra il vegetale e l’animale.
1 – Definisciti con tre aggettivi.
Generoso, sognatore, impaziente.
2 – Qual è stato il momento in cui hai capito di essere artista?
Quando ho iniziato a cucinare, all’età di 14 anni.
3 – Scultura, pittura, installazione, objet-trouvé… Come scegli i tuoi linguaggi?
Non faccio distinzione tra i linguaggi, essendo piuttosto istintivo. Guardarmi intorno, il più delle volte mi guida.
4 – L’opera d’arte che avresti voluto realizzare tu.
Piuttosto un libro: L’Aleph di Jorge Louis Borges
5 – Qual è il momento più emozionante della tua giornata?
La mattina al risveglio.
6 – L’arte è ispirazione o applicazione?
L’applicazione senza ispirazione è burocratica. L’ispirazione senza applicazione è solo romanticismo, che comunque non è male!
7 – Chi eri nella tua vita precedente?
Penso un costruttore di Nuraghe.
8 – Tre qualità che non possono mancare all’artista del Terzo Millennio.
Capacità di osservazione e adattamento alla realtà. Ricerca incessante della scoperta unita alla memoria. Istinto di sopravvivenza.
9 – Il sogno che non hai ancora realizzato.
Inventare un vaccino globale contro la violenza. Qualunque tipo di violenza.
10 – La bellezza salverà il mondo?
Forse, ma soprattutto aiuterà gli uomini a non perdere di vista l’importanza della vita in questo pianeta.
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