a cura di Alessandra Redaelli
Se si domanda a Max Papeschi come sia iniziato il suo percorso artistico, lui risponde che tutto è accaduto per caso, quando le locandine di uno spettacolo che stava promuovendo in quanto regista e autore – una serie di collage digitali – furono scambiate per opere d’arte e volute da una galleria. Per poi andare a ruba. E questo scrive anche nel suo libro-autobiografia Vendere Svastiche e Vivere Felici, ovvero: come ottenere un rapido e immeritato successo nel mondo dell’arte contemporanea (Sperling & Kupfer, 2014). Tuttavia non può non sorgere il dubbio che questa in parte sia una boutade, una sorta di performance. Esattamente come quella del 2011, quando durante la mostra Oops, I did it again, a Genova, mette in vendita (munita anche di targhetta con dimensioni e materiale) la sua mamma. Quello che è fuori di dubbio è che all’artista piaccia giocare, con le immagini e con la percezione della gente, mescolando sacro e profano, politicamente scorretto e favole, fino a scatenare cortocircuiti esplosivi. Il suo non è un lavoro neopop – anche se la presenza di personaggi presi dai cartoon potrebbe farlo pensare – perché il pop possiede una sua intrinseca leggerezza, mentre qui il messaggio è duro e terribilmente urticante, anche quando a consegnarcelo sono gli scoiattolini Cip e Ciop o l’orsetto Winnie the Pooh. Nel mirino di Papeschi, infatti, molto spesso ci sono le conseguenze dei regimi totalitari. Ecco allora Topolino e Minnie, neosposi, che si fanno scattare una foto ricordo davanti al fungo atomico di Hiroshima. Oppure ecco Daffy Duck vestito come un alto ufficiale dell’esercito sovietico. O il dittatore Kim Jong-un – protagonista del progetto Welcome to North Korea, organizzato in collaborazione con Amnesty International – che fa capolino da una tela tagliata di Fontana o è impegnato in una performance con Marina Abramović.
1 – Definisciti con tre aggettivi.
Famigerato. Multiforme. Dardeggiante.
2 – Qual è stato il momento in cui hai capito di essere artista?
Quando rifacendo il passaporto nel 2010, ho realizzato che “regista” non era il più il termine corretto e che probabilmente non lo era mai stato.
3 – Hai scelto la contaminazione tra linguaggi perché…
È stato inevitabile. Ho studiato teatro, poi ho fatto l’autore televisivo, ho girato videoclip, cortometraggi, spot pubblicitari e, infine, ho fatto un film. Quando sono approdato nel mondo dell’arte contemporanea, il mio linguaggio era già totalmente contaminato.
4 – L’opera d’arte che avresti voluto realizzare tu.
Avrei voluto scrivere 1984, girare Arancia Meccanica e disegnare i Simpson.
5 – Qual è il momento più emozionante della tua giornata?
Mi emoziono quando succede qualcosa che non mi aspetto. Non succede tutti i giorni, purtroppo.
6 – L’arte è ispirazione o applicazione?
L’arte è prima di tutto talento.
7 – Chi eri nella tua vita precedente?
Mi sarebbe piaciuto essere un esploratore.
8 – Tre qualità che non possono mancare all’artista del Terzo Millennio.
Conoscere il passato, capire il presente e anticipare il futuro.
9 – Il sogno che non hai ancora realizzato.
Non voglio fare spoiler.
10 – La bellezza salverà il mondo?
Forse lo salverà l’intelligenza, sicuramente non la bellezza.
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