a cura di Alessandra Redaelli
Le mani di Elena Mutinelli parlano da sole: grandi e forti sono gli strumenti di lavoro di una scultrice che maneggia direttamente la materia – l’argilla, ma anche il marmo – e che la doma utilizzando gli attrezzi del passato. Nessuno, guardandole, potrebbe mai pensare che l’artista si avvalga di tagli laser o 3D. E anche i soggetti che Mutinelli sceglie sono figli del suo bisogno di restare all’interno della tradizione, anche se con la voglia di rileggerla alla luce del presente. Del resto non è un caso che lei collabori con la Veneranda Fabbrica del Duomo, a Milano, per la riproduzione di originali, e che sia stata dal 2003 al 2005 direttrice del cantiere degli scalpellini presso la Casa di reclusione di Opera. I temi classici del ritratto, dunque, del corpo e della vanitas ricorrono, con una predilezione per le mani: lunghe e curate o nodose, strette in carezze da amanti o caparbiamente aggrappate alla vita. I suoi corpi sono sofferenti, contratti, percorsi da frustate di energia, elegantemente emaciati, portatori di un’estetica personalissima che riesce a fondere il dinamismo di Giambologna e Bernini agli esiti più particolari del Novecento come Adolfo Wildt. Il tutto, però, condito da una peculiare capacità di aprire improvvisamente all’ironia e al gioco. Ma forse la sua cifra più interessante è quel suo riuscire a creare opere spiazzanti, a cui lo spettatore fatica ad attribuire una datazione precisa, domandandosi se quell’uomo urlante, con la bocca spalancata, sia il bozzetto recuperato dallo studio di uno scultore barocco o se piuttosto non sia il ritratto puntuale dell’alienazione contemporanea. E chiedendosi come mai quella schiena femminile morbida, certamente frammento di una venera antica, porti proprio sopra le natiche le inequivocabili tracce di un tatuaggio.
1 – Definisciti con tre aggettivi.
Visionaria, franca, truccata anche di notte.
2 – Qual è stato il momento in cui hai capito di essere artista?
Ho amato creare fin da piccolissima, ma ho capito veramente di essere artista quando le suore che mi avevano bocciato in prima Liceo Artistico mi hanno presa, 26 anni più tardi, a insegnare presso il loro istituto. Un anno dopo mi avrebbero confermato una cattedra a tempo indeterminato: non ho accettato.
3 – Hai scelto la scultura perché…
Perché vedo solo luci, ombre e profili, ma così tanti che l’unico modo di contenerli è farli diventare altro: la scultura.
4 – L’opera d’arte che avresti voluto realizzare tu.
Ercole e il centauro Nesso, di Giambologna.
5 – Qual è il momento più emozionante della tua giornata?
Il caffè della mia moka al mattino, solo io.
6 – L’arte è ispirazione o applicazione?
È tutte e due ed è quello che ti viene a prendere e che ti sfugge, poi capisci che era lì e ti sei dannato. Ma non sempre.
7 – Chi eri nella tua vita precedente?
Un giocatore di baseball, un catcher che decide come chiamare la palla: curva, veloce, lenta. Il re della casa base, uno in grado di capire chi è in attacco. Del resto, l’unica cosa che ora mi incolla veramente alla tv è il baseball.
8 – Tre qualità che non possono mancare all’artista del Terzo Millennio.
Saper vedere oltre l’immagine, la tenacia, il desiderio.
9 – Il sogno che non hai ancora realizzato.
Essere immortale, credo che sopporterei anche la noia. Ma dato che è impossibile, allora mi piacerebbe ballare sulle punte. Da piccola invidiavo Alessandra Ferri. Vederla ballare mi spingeva a mettermi le scarpine da ballo per avanzare lungo il corridoio antico e buio. Ma non avevo le gambe lunghe e lo capii subito, dannazione!
10 – La bellezza salverà il mondo?
No, ora bisogna salvare prima la bellezza.