a cura di Alessandra Redaelli
Della sua pittura gestuale, istintiva, giocata su una luce pulviscolare la protagonista di questa nuova Pillola d’arte ha fatto una firma. Soggetto di elezione per Tina Sgrò sono da sempre gli interni, stanze che si offrono agli occhi dello spettatore come luoghi da osservare in silenzio, nascondendosi nella penombra dei tendaggi, a studiare come la luce esploda dalla finestra aperta e dilaghi nello spazio. Sono camere da letto spoglie, quasi monacali, o scorci di piccoli soggiorni borghesi, sono angoli di ambienti interamente occupati da una poltrona o mobiletti ingombri di cornici; ma sono anche grandiosi salotti borghesi, con pesanti tende di velluto a fare da quinte, mobili d’antiquariato, lampadari di cristallo e sontuosi pianoforti. Perché a Tina Sgrò non interessa l’identificazione dell’ambiente, ma il suo essere luogo di vita vissuta e di memorie. Depositario di un passato che chi guarda ha la sensazione di percepire, come se ancora le poltrone conservassero il calore del corpo di chi vi è stato seduto e l’aria risuonasse delle parole che lì sono state pronunciate. È una sensazione strettamente legata al modo in cui il nostro occhio percepisce quegli spazi. Gli ambienti e gli oggetti, infatti, non sono definiti da un segno pulito, ma piuttosto suggeriti in pennellate soffici, veloci, immediate e in questo modo costruiti dalla luce, quella stessa luce che irrompe da una fonte esterna, spalancando precipizi che ribaltano la prospettiva. La sensazione di indeterminatezza, l’impressione di non poter fissare lo sguardo su un dettaglio ma di essere costantemente richiamati altrove, in un susseguirsi di stimoli e di emozioni, dà a queste stanze una precisa connotazione sonora, una sorta di ritmo intrinseco di sottofondo che finisce per coinvolgere tutti i sensi, evocando sensazioni olfattive – vecchi profumi, odore di legno e di polvere – e anche tattili nella vellutata consistenza dei tappeti e delle tende. Nei paesaggi urbani, che affiancano la produzione degli ambienti, quella medesima indeterminatezza suscita sensazioni spiazzanti, di smarrimento: la riconoscibilità del luogo si conserva in un dettaglio – a volte solo nel titolo – ma poi la città così come la conosciamo appare ripensata, come vissuta in un sogno. Venezia diventa altro da sé, con quel mare increspato e la luce che rimbalza sulla facciata di un palazzo antico, accecandoci. E anche Milano, dove la Bovisa – un cancello, un muro, un gasometro – si fa archetipo di tutte le periferie e dove l’Arco della Pace esplode in fondo a una prospettiva immensa e luminosissima.
1 – Definisciti con tre aggettivi.
Ambiziosa, lungimirante, caparbia.
2 – Qual è stato il momento in cui hai capito di essere artista?
Ho capito che sarei stata artista quando mi sono accorta di vivere conflitti dappertutto, e quando mi sono resa conto che avevo voglia di lottare per le mie passioni e per i miei obiettivi.
3 – Hai scelto la pittura perché…
Ho scelto la pittura perché lei mi ha scelto. È accaduto mentre guardavo un catalogo d’arte. Ho percepito in quel momento, dentro di me, la mia concezione di pittura, gesto, segno, emozione. Tutto è istantaneo e da prendere al volo. E la pittura gestuale ha in sé la grande capacità di conoscere profondamente la realtà e di sparpagliarla velocemente nel cuore dell’individuo che la osserva, come è veloce il nostro tempo.
4 – L’opera d’arte che avresti voluto realizzare tu.
Senza dubbio la Morte della Vergine di Caravaggio. Grande carisma e audacia.
5 – Qual è il momento più emozionante della tua giornata?
Quando inizio a toccare la tela e sentirla mia. “Tu sarai mia”, le dico ogni volta, e lei mi segue senza lottare. Poi a fine giornata ci abbracciamo e attendiamo un nuovo giorno.
6 – L’arte è ispirazione o applicazione?
L’arte è certamente ispirazione razionale. Tutto ciò che vediamo può diventare “materiale” pittorico. Razionale perché parte dalle cose reali. Nulla si inventa dal nulla. Tutto ciò che creiamo pittoricamente ha radici tangibili e lontane nel tempo.
7 – Chi eri nella tua vita precedente?
Sicuramente un regista. Il mio regista per eccellenza: François Truffaut. Grande poeta dell’amore come disagio e follia, capace di raccontare i pozzi profondi e bui delle relazioni.
8 – Tre qualità che non possono mancare all’artista del Terzo Millennio.
Intelligenza intuitiva, management, qualità.
9 – Il sogno che non hai ancora realizzato.
Vivere del mio lavoro senza ansie su come affrontare la vita pratica. Poi acquistare uno studio a Milano, città che amo profondamente.
10 – La bellezza salverà il mondo?
Sì, decisamente. Il recupero della bellezza, quasi perduta, è il dovere di ogni artista. Oltre le regole soffocanti del mercato e della visibilità.