TORINO | FONDAZIONE MERZ | 17 aprile – 24 settembre 2023
di MICHELE BRAMANTE
L’immaginario sulla città di Palermo può avere qualcosa di eccezionale: un luogo nella stessa regione di Scilla e Cariddi, con il sole mediterraneo che incendia la bellezza classica della Magna Grecia e il miscuglio architettonico arabo, normanno e barocco, l’intelligenza politica e spirituale dell’imperatore Federico II e quella acuta e sofisticata della Sicilia moderna. Ma Palermo brucia anche di dolore, di preghiera e di omicidi, di rassegnazione, fatalismo e lotta. È il dramma delle luci e delle ombre spinte in un contrasto feroce, come lo erano nella Natività di Caravaggio trafugata dall’Oratorio di San Lorenzo per mano della mafia e mai ritrovata, spiazzante allegoria di un contesto di criminalità. Come il bianco e nero delle fotografie della mostra Palermo Mon Amour, che la Fondazione Merz dedica alla città siciliana fino al 24 settembre.
La storia di Palermo dagli anni Cinquanta al 1992 si racconta negli scatti di cinque fotografi in una staffetta generazionale che inizia con i maestri Enzo Sellerio e Letizia Battaglia e continua con i più giovani Franco Zecchin, Fabio Sgroi e Lia Pasqualino. A lei appartiene la serie fotografica dal titolo che meglio rappresenta l’anima lacerata della città, quel La macchina dell’amore e della morte tratto dall’omonima pièce teatrale con manichini dadaisti di Tadeusz Kantor. Anche la storia di Palermo appare inceppata in un giro senza fine tra desiderio, soddisfazione e morte. La città vive tutto con energia estrema, nell’abbraccio di un intenso erotismo meridionale mentre sanguina dalle ferite ogni volta riaperte nelle violenze sulla sua carne.
I quarant’anni di vita del capoluogo sono racchiusi tra due deflagrazioni. La prima è scatenata dalle bombe atomiche del 1945 sulle città giapponesi (il titolo dell’esposizione cita il film Hiroshima mon amour di Alain Resnais). Dopo un momento di stordimento globale dell’umanità seguito allo scoppio, il mondo sopravvissuto è costretto a elaborare il trauma e a rigenerarsi. Iniziano gli anni della ricostruzione e della crescita economica, ma le velocità sono diseguali e i sud del mondo, compreso quello d’Italia, restano indietro. La raffica delle due esplosioni finali è invece quella che nel 1992 fece saltare in aria i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Nell’arco temporale così segnato la vita dei palermitani si impasta nella cronaca locale, attraversa vicende che riguardano l’intera politica dello Stato, si innesta sulle tensioni mondiali. Il volto della città cambia ma alcuni suoi caratteri resistono tenacemente alla storia.
Palermo Mon Amour è un’appassionata autobiografia della città rispecchiata negli occhi dei suoi cinque fotografi. Viene voglia di abbracciarli tutti quei bambini che giocano e hanno fame, poveri, vivaci e non scolarizzati nelle foto di Enzo Sellerio (proprio il fondatore della casa editrice). Il clima è quello neorealista dell’immediato dopoguerra. Gli fa da contraltare a distanza uno scatto di Franco Zecchin che sembra la trasposizione contemporanea di un aristocratico interno tratto dal film Il Gattopardo di Luchino Visconti.
Quegli occhi di bambini sono uno dei tratti senza tempo della città su cui si ferma lo sguardo commosso dei fotografi. Ma l’altro universale palermitano è l’illegalità, il nemico interno capace di colpire con feroce spregiudicatezza. Letizia Battaglia intona la voce della denuncia, si politicizza con determinazione, mostra immagini crude con ostinata verità. In mezzo alla vita pulsante dei quartieri e dei mercati la cronaca racconta di attentati sanguinari e di arresti mafiosi. Zecchin ritrae la collega pronta a fotografare proprio sul luogo di un omicidio. In uno scatto di Lia Pasqualino si vede ancora, sempre immersa nella vita dei suoi paesani, mentre gioca con un degente dell’ospedale psichiatrico, altro toccante micromondo incastonato nel cosmo palermitano.
Gli studenti protestano contro il potere occulto della mafia alzando il pugno chiuso nelle manifestazioni. Le linee ideologiche della grande storia intercettano una forza opposta sul piano locale, priva di ideali politici ma determinata a imporre la propria supremazia contro qualunque interferenza libertaria, contro qualunque disegno sociale, che sia di destra o di sinistra. Al funerale di Giuseppe Impastato, attivista politico protagonista della lotta contro Cosa Nostra, era presente l’occhio di Zecchin; il 7 febbraio 1986 a documentare il corteo a cui parteciparono oltre diecimila studenti c’era invece Fabio Sgroi.
Ed eccolo il giudice Paolo Borsellino che guarda fisso nell’obiettivo di Sgroi al funerale del giovane Biagio Siciliano. Ha un’espressione di una forza totemica, di colui che conosce il bene e il male perché abituato a indagare chirurgicamente i cavilli della zona grigia che li attraversa. Nell’epoca del dubbio, della falsa propaganda, della “fine della metafisica”, dei complottismi e degli inganni iperrealistici delle intelligenze artificiali il sacrificio della propria vita mette a tacere qualunque incertezza sul valore di verità di un’azione.
La realtà di Palermo è autentica. Lo stato non ha ancora avuto la meglio sul contropotere mafioso, ma la città è un’altra. Vincono il mercato della Vucciria, i suoi quartieri, il dialetto rugoso e antico, la sua accoglienza calorosa, le sue meravigliose chiese dove le persone vanno a pregare ancora con devozione. Vince la sua gente che si fa amare.
PALERMO MON AMOUR
Enzo Sellerio, Letizia Battaglia, Franco Zecchin, Fabio Sgroi, Lia Pasqualino
A cura di Valentina Greco
17 aprile – 24 settembre 2023
Fondazione Merz
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