57. BIENNALE ARTE 2017 | PADIGLIONE URUGUAY | 13 maggio – 26 novembre 2017
Intervista a MARIO SAGRADINI di Irene Biolchini*
L’opera selezionata da Gabriel Peluffo Linari per il Padiglione dell’Uruguay sfugge qualsiasi sensazionalismo ed apre alla riflessione sui temi del controllo e dell’uguaglianza. La semplice struttura in legno riproduce un recinto per bestiame le cui porte di ingresso e di uscita, dall’inquietante forma a ghigliottina, permettono l’accesso alla parte centrale della struttura. Il titolo dell’opera, La legge dell’imbuto, mette in discussione l’idea di un sistema legale in cui ‘lo stretto’ viene applicato a molti e il ‘largo’ a pochi. Mario Sagradini, artista che ha vissuto in Italia per oltre un decennio, presenta a Venezia un lavoro che, in linea con la sua ricerca da sempre al confine tra arte ed etnografia, unisce alla tradizione popolare le grandi questioni del nostro tempo.
Come è nata l’idea dell’opera?
Lavoro da molto tempo sul mito popolare e su altre cose che sono generalmente trascurate dalla cultura accademica. La tradizione agricola ed il suo mondo non sono esaminati dagli studi ufficiali ed anche le loro architetture rimangono completamente sconosciute, specie nella loro realizzazione. Lo scorso anno feci una mostra antologica intitolata Vademecum in cui presentai un oggetto come quello esposto qui oggi, anche se in quella occasione decisi di riempire una sala che era il doppio di questa. Quando mi hanno detto che ero stato selezionato, decisi subito di portare questo oggetto per due ragioni: perché conoscevo la struttura del padiglione e mi sembrava che potesse essere perfetta per lo spazio e perché ero profondamente convinto dell’attualità dell’opera. In particolare era importante per me presentare questo lavoro nell’Europa di adesso, oltre che metterlo in relazione alla storia dell’Uruguay.
In che misura il sapere manuale, opposto a quello ufficiale ed accademico, si riflette nella costruzione dell’opera?
La cosa che più mi premeva era creare un oggetto reale, che si avvicinasse all’uso originale: per questo l’opera ha la stessa dimensione del più piccolo modello possibile, quello per singolo animale. Altro elemento fondamentale, poi, era la realizzazione dell’oggetto stesso e che ha coinvolto le esperienze artigiane di diverse zone del mondo. In Uruguay l’opera è stata realizzata da falegnami uruguagi, mentre il lavoro che presento oggi a Venezia è stato realizzato a Meduno (in provincia di Pordenone, ndr). In entrambi i casi il mio lavoro è stato di coordinamento (e apprendimento al tempo stesso): ho realizzato un progetto di costruzione partendo da una foto storica e, in seguito, lavorando con i falegnami, ci siamo resi conto di tanti piccoli dettagli (come ad esempio che la parte su cui si cammina è in salita). Ovviamente il risultato finito è una semplificazione, una riduzione di forme rispetto agli originali, per esporre qui la sostanza, il concetto dietro all’oggetto.
Questo concetto può dirsi universale e come si lega alla sottocultura a cui voleva fare riferimento?
Questo oggetto viene usato per le vacche, per gli animali, ma da sempre la nostra società crea dispositivi, porte e chiusure per la separazione, la distinzione, per limitare gli accessi. Una volta era la stella di David, ora è il titolo di ‘migrante’. L’oggetto che espongo in Uruguay si chiama imbuto; La legge dell’imbuto altro non è che una teoria antichissima, sviluppata in Grecia, che teorizza il grande per pochi e lo stretto per molti. È una forma di classificazione e di controllo al tempo stesso. In questa epoca in cui le restrizioni di ingresso si accompagnano alle tragedie, ad un macello controllato, mi sembrava l’unica opera possibile.
*[da Espoarte #97 Speciale Biennale]
Padiglione Uruguay
La ley del embudo
Sede: Giardini
Commissario: Alejandro Denes
Curatore: Gabriel Peluffo Linari
Artista: Mario Sagradini