TRIGGIANO (BA) | Open Studio – Home Theatre
Intervista a FLAVIA CAROLINA D’ALESSANDRO di Tommaso Evangelista
Flavia Carolina D’Alessandro, classe 1977, venezuelana che vive e lavora a Bari da quasi trent’anni, è la recente vincitrice del Premio Arte per la sezione Pittura. Formatasi all’Accademia di Belle Arti di Bari la sua ricerca spazia dalla fotografia alla pittura fino all’installazione, nel perenne studio del gioco percettivo dei volumi, di come questi influenzino l’ambiente con le loro informazioni visive. Colpisce una pratica della pittura (e del costruire) dinamica, preziosa e mutabile sul limite di una semiosfera complessa e ambigua fatta di illuminazioni e cadute. Nel tentativo di riconfigurare uno spazio dell’azione, determinato da flussi temporali e materici, l’artista recentemente ha tramutato il suo studio di Triggiano (Via Faenza 109, Bari) in un “Open Studio” nel quale sperimenta la relazione e il dialogo con altri artisti che lei stessa seleziona e invita. Ne è nata una formula estremamente interessante e dinamica, capace di far dialogare artisti, pubblico e luogo su un sottile equilibrio di senso e di presenza. Per la prima volta documentiamo questa preziosa esperienza relazionale e territoriale.
Come è nata l’idea Open Studio – Home Theatre e che scopi e specificità persegue all’interno del contesto artistico barese che sta vivendo una stagione estremamente attiva nel campo degli spazi indipendenti?
Un insieme di esigenze, desideri e idee raccolte nel tempo, mi hanno portata a voler mettere in pratica un progetto di open studio. Volevo creare una zona interagente al servizio del dialogo tra artisti, che potesse rispondere alla necessità di imbastire una trama di connessioni fortuite, in uno spazio esteso tra il mio studio e la mia casa; a livello pratico, ho svuotato completamente il mio luogo di lavoro, per dare spazio all’artista ospite. Nel titolo è custodita la traccia essenziale, “Home Theatre”: un insieme di dispositivi tecnologici usati in ambienti domestici, finalizzati ad ottenere l’amplificazione dei suoni, per dare il massimo coinvolgimento allo spettatore. Traslato nel contesto di cui parliamo, dove l’interazione è stata rigorosamente dal vivo e libera dalla mediazione tecnologica, Home Theatre è diventata metafora di diffusione delle sinergie attivate nel dialogo tra l’artista ospite, me ed il pubblico. Gli invitati, in un primo atto hanno visto il risultato estetico del lavoro proposto nel mio studio, e successivamente sono stati coinvolti nel secondo atto, caratterizzato dall’ascolto e dalla parola, in un esercizio di avvicinamento al processo creativo.
Focus della serata: la narrazione, il racconto del percorso artistico, aneddoti, progetti e curiosità dell’artista ospite. Nei giorni successivi, per 20 giorni circa, c’è stata la possibilità di visitare lo studio su appuntamento. I primi due progetti di open studio hanno visto la luce quest’estate con due artiste.
Non sono a conoscenza se nel contesto barese ci siano state soluzioni di simili suggestioni tra artisti ed il proprio spazio di lavoro, di conseguenza non ho metro di misura.
Parlando dell’ultima artista invitata, Tamara Marino, in dialogo con le tue opere, quali affinità e divergenze ritrovi con la tua ricerca e quale reputi sia il suo apporto più interessante al progetto?
Ho conosciuto Tamara in un workshop-residenza per artisti nel 2021. Durante la lettura portfolio di apertura del workshop, di tutti gli artisti partecipanti ho da subito notato delle affinità tra il suo lavoro ed il mio. Inoltre i suoi progetti mostrano proprio le molteplici sfaccettature del suo carattere, caratteristica che da subito ha attirato la mia attenzione e mi ha portata poi ad investigare ulteriormente il lavoro e la persona. Ciò che ci accomuna è sicuramente la versatilità e fluidità di muoversi tra varie tecniche e discipline, come via necessaria per la ricerca, l’ossessività nel fare, l’accumulo degli oggetti, l’attenzione verso il femminile. Ciò che ci contraddistingue è l’approccio al processo creativo. Tamara non lascia nulla al caso: la restituzione finale deve corrispondere perfettamente all’idea che ha in testa. Per me, talvolta, il caso è invece un fattore determinante durante l’atto creativo, che può contribuire alla realizzazione del risultato finale. Indago delle possibilità nel mentre stesso dell’azione.
Home Theatre è stata un’occasione preziosa per un dialogo in simbiosi, oserei dire quasi perfetta. Tamara ha compreso sin da subito il mio intento, l’urgenza di fondo che implica un donarsi a vicenda, dare e ricevere. Ci siamo ritrovate in equilibrio su tutto, al punto da intuire che ci sono i presupposti ideali per costruire un progetto comune. Dunque, proprio con Home Theatre che non vuole essere un semplice Open Studio, bensì un porto mobile, dinamico, intenso quale area di attraversamenti, scambi e connessioni, intravediamo un possibile passaggio di testimone nella residenza di Tamara in Sicilia, nella città Vittoria, quale luogo di restituzione in cui amplificare nuovamente il risultato dell’interazione. E questo è uno spoiler…!
Nel tuo lavoro stai analizzando il legame distorto-distopico tra reale e virtuale, quale dialogo di complessità e relazione, e in riferimento anche alla responsabilità dell’atto artistico. Quali sono gli sviluppi dei tuoi studi?
Quello che percepisco nella mia pratica artistica è il risultato di un continuo rilevare e registrare la traccia mobile, quale superficie sensibile, del costante mutamento di me stessa. Sovrascrivo sui miei pensieri gli appunti in divenire; certe ossessioni si trasformano in piattaforme fertili di idee. È un approdo dopo un continuo vagare incerto. Nei miei ultimi lavori formalizzo delle ipotesi riguardanti la ‘perdita di informazione’ (che per me è anche perdita di dettaglio) conseguente al continuo ‘trasferimento dati’, che ad ora trova un pattern rappresentativo di sintesi ideale come traccia nello spolvero.
Nel mio processo creativo, tutte le dinamiche che riguardano gli sviluppi, le fasi di evoluzioni e l’espansione delle idee, sono una catena di elaborazione di ipotesi. In tutto il ragionamento progettuale e processuale, probabilmente il vero scopo è quello di affinare le intuizioni iniziali. Lungo questa traiettoria l’oggetto completamente dissolto si è volatilizzato, esploso a brandelli, disseminato come polvere sulla superficie planare ed al suo posto esiste solo la micro-traccia, o forse un pixel. Un interrogativo aperto sul flusso dilagante di immagini che inondano quotidianamente la nostra visione, che alla fine dello scorrimento incontrollato e infinito ci conduce all’inevitabile perdita di informazione, alla quale corrisponde un’altrettanta perdita di dettagli delle immagini stesse, che vediamo o non-vediamo. Dunque, un flusso indistinto.
Quali saranno le metamorfosi del tuo spazio alla luce di questi dialoghi? Sei co-fondatrice di Omar. Ci illustri anche l’esperimento di “Omar al trullo” e cosa significa fare ricerca artistica e curatoriale in un luogo periferico, ma non marginale, come la Puglia?
I cambiamenti sono dettati dalle necessità. Per quanto mi riguarda, preferirei non fare previsioni su questo punto, piuttosto lascerei una parte al caso, come avviene nel mio processo creativo nell’approccio alla risoluzione dei problemi.
La genesi di Omar si colloca temporalmente dopo la residenza artistica Ramo (ritratto a mano) 6.0 del 2021. È in questo contesto che ho conosciuto Tamara Marino. Omar è un progetto nato dalla coesione di un gruppo di artisti che, pur non costituendosi come collettivo, vuole sperimentare una pratica basata sull’ibridazione e lo scambio. Essendo dislocati in diverse parti d’Italia, l’unico modo a disposizione per il dialogo e la programmazione è l’incontro virtuale. Tra le discussioni e confronti vari, viaggiano fluide idee ed ipotesi di intercettare altri satelliti disposti a condividere le proprie risorse, anche solo temporaneamente, o per singoli programmi e interventi. Si pensa ad un progetto di gruppo non chiuso e statico, ma come organismo dinamico, che si trasformerà nel tempo. Dopo un lungo periodo di gestazione, a maggio di quest’anno è partito il primo appuntamento del progetto: “Omar da Mauro”, nella mitica trattoria di Via del Mandrione a Roma. A fine agosto il secondo intervento “Omar al Trullo” in un trullo appunto, nella campagna di Francavilla Fontana in provincia di Brindisi.
Omar è gitano: proviamo a mettere in pratica una poetica di decentramento; la ricerca artistica da attivare potrà quindi essere in Puglia, Sicilia, Lazio o altro. Che sia nord o sud, la cosa non cambia. (#omarfacose).
Le tue ultime ricerche si basano sulla percezione e sulla fruizione delle opere d’arte in riferimento alle reti di informazioni. In un contesto rizomatico come quello della rete, quale reputi sia il ruolo dell’arte e delle dinamiche di fruizione? Ci sarà spazio per quello scambio umano che tanto persegui nei tuoi incontri?
Avverto un senso di perdita di orientamento. È come se mancasse un ‘verso dove andare’. Tra spinte sempre più radicali nell’uso della tecnologia, per fruire ormai ogni cosa della vita e tutte le pulsioni di trasformazione e adeguamento annesse, prevale un senso di angoscia diffusa. È necessaria una bussola. L’auspicio è che gli artisti riescano a prendersi lo spazio di manovra e di azione, sempre e comunque, per tradurre il groviglio di eventi e magari ricomporre nuove inaspettate traiettorie, che in questo accelerato iper-spazio, tutto pare un fluttuare come atomi impazziti fuori dall’orbita referenziale terrestre.
L’interazione dal vivo la sento come urgenza, amplificata certamente e soprattutto dopo lo shock della Pandemia. Negli equilibri della relazione tra reale e virtuale, il secondo è attualmente preponderante ed invasivo, ma senza uno spazio reale per lo scambio dal vivo cosa ci rimane? Un uomo solo davanti allo specchio-monitor, che riflette inesorabilmente l’immagine di un Narciso distorto e moltiplicato tra filtri e algoritmi.
Tra le infinite possibilità di esperienza, ci sarà anche quella di una fruizione dell’arte da assumere alla necessità, trasformata in pillole (o in polvere come condimento durante i pasti, disseminata come spezia, sale e pepe, o dissolta in soluzioni solubili in bustine) da soli o in compagnia. “Trip-art”, ma di arte come droga stupefacente.
Home Theatre è un progetto Open Studio. Una zona interagente al servizio del dialogo tra artisti. L’appuntamento risponde a quello che Carla Lonzi definisce come il “bisogno di intrattenersi con qualcuno in modo largamente comunicativo e umanamente soddisfacente”
Home Theatre si articola in una serie di appuntamenti. La formula Open Studio è quella di un artista che invita un altro artista al dialogo.
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