di VIRGINIA ZANETTI
Il futuro incerto agisce come funzione demotivante ma è proprio prendendo atto dell’imprevedibilità della vita che possiamo assumere un ruolo attivo. Non è facile capire quale possa essere la rivoluzione in atto, posso semplicemente condividere la mia pratica. Per me la performance ha un senso molto ampio: riguarda la dimensione simbolica di ogni azione che compie l’umano. Ogni mio lavoro nasce in modo naturale, partendo spesso da situazioni critiche per svelarne le potenzialità, affinché siano uno stimolo per il ripensamento del reale.
Utilizzo pratiche che aiutano a superare l’individuale per sentirsi parte di un sistema più ampio, come ad esempio il ricamo, una tecnica che pratico per la sua capacità di indurre alla concentrazione e per la possibilità di realizzarla collettivamente, in azioni paragonabili a rituali, che vanno a creare opere corali: da Abissi curata da Lori Adragna, per Bordercrossing, Manifesta 12 – dove abbiamo trasformato le profondità del tessuto blu oltremare nelle altezze di un cielo stellato – a Para onde estamos indo?, a cura di Latitudo, Magic Carpet in Portogallo dove sono state ricamate le memorie della comunità su delle vele, poi portate in cima ad una montagna.
Ogni mio lavoro inizia con una visione che poi si concretizza in un acquerello, per diventare una performance partecipata.
In questo momento in cui inaugurazioni piene di persone e spostamenti veloci non sono possibili, si possono fare piccoli incontri, ridimensionare il numero di persone per andare più in intimità. Io conduco laboratori e performance in cui c’è un rapporto uno ad uno o con piccoli gruppi per sperimentare una relazione profonda. Un altro aspetto della mia ricerca è lavorare sul proprio territorio, spesso nelle aree rurali anziché nei grandi centri urbani. Penso a I Pilastri della terra – con persone che fanno contemporaneamente la verticale in cima al Monte Calvana – o l’orchestra che suona la Carmen di Bizet immersa nel fiume Bisenzio per Oiseaux rebelle/Dans le flux a Prato. Queste due azioni si sono rivolte ad un gruppo di persone e ai passanti che si trovavano lì per caso.
Molte istituzioni stanno rimodulando in questo senso gli eventi, per esempio sarò a Manifesta 13 di Marsiglia con Parallèles Du Sud, con ARKAD, lavorando dal mio territorio e realizzando Be a poem, all’interno della Scuola popolare di Villa Romana a Firenze, nel suo grande giardino (il Workshop e l’azione collettiva, parte del progetto ARKAD, sono state realizzate dal 6 all’8 luglio scorsi, ndr).
Le pratiche performative rispecchiano la capacità di adattabilità che ha l’essere umano. Gli artisti sono dotati di quella resilienza, parte di da un patrimonio condiviso, che esiste in natura. Pensare la performance con modalità chiuse e statiche significa far morire la performance. Il Covid ha generato crisi e caos ma anche possibilità di cambiamento che è il processo su cui si basa la vita stessa. Personalmente questa triste esperienza mi ha portato ad una maggiore aderenza alla vita e al forte bisogno dell’altro.
Con musei, teatri e gallerie chiuse, la creatività si è manifestata nello spazio pubblico fisico e virtuale. Abbiamo assistito a molteplici forme espressive scaturite in modo spontaneo, rivelando il vero senso dell’arte. Nell’emergenza, l’atto creativo – trasformare il veleno in medicina – si è spostato all’interno della vita stessa e può essere messo al servizio della collettività con altre forme.
Secondo me questo periodo è uno di quelli in cui l’arte diventa così vicina alla vita da confondersi con essa, fino a non essere più percepita come tale. Abbiamo utilizzato il web ed i dispositivi digitali, e sono state fatte molteplici performances e happening spontanei, l’arte è diventato strumento espressivo di tutti. Quartieri, strade, finestre, terrazze, condomini, social networks, web sono diventati luoghi per esprimere questa necessità comunicativa e sperimentare il senso di comunità. La facilità di realizzare immagini e video di buona qualità con gli smartphone ha permesso a chiunque di sperimentare e potenziare la propria creatività. Non entrando nel merito della reale problematica del controllo dei dati e della privacy, i social networks sono lo spazio dove sta avvenendo un grande cambiamento paradigmatico per la creatività e l’autorialità. Per esempio Tik Tok, utilizzato dai giovanissimi, porta nei nostri smartphone molteplici performance di ogni tipologia e genere. Esistono «discipline» diverse: dalla musica alla moda, dalla danza allo sport. Tutte le performance si basano sull’esibizionismo, la creatività, la partecipazione, la rimodulazione di contenuti già esistenti (ready made) e la velocità. Si può duettare con se stessi, con gli amici, estranei e persino con grandi artisti.
Tik Tok è un fenomeno ancora difficile da comprendere perché utilizza un linguaggio affascinante e preoccupante, colpisce per la superficialità e la facilità con la quale si mischia tutto. Seduce quanta creatività si possa esprimere con un telefonino, con qualche effetto speciale e un po’ di musica. Un’altra applicazione interessante è Faceapp perché mette alla portata di tutti una ricerca complessa e delicata come quella dell’identità, per esempio l’identità di genere: con un click possiamo specchiarci nella nostra versione maschile o femminile. Quando negli Anni ’70, Urs Luthi lavorava su questi temi non ci saremmo mai aspettati che sarebbe diventato un tema di massa, addirittura di tendenza. Io sono molto attenta ai giovanissimi, al loro modo di comunicare che vede i social networks come estensione del sé, a differenza degli adulti, che danno consigli sulla base della loro esperienza (talvolta facendo credere che la vita che loro hanno vissuto sia la migliore possibile e quindi che non valga la pena cambiarla), i giovani hanno la vita davanti e infinite possibilità. Credo però che dovrebbero combattere di più per i grandi ideali e governare la vita, invece di farsi governare dall’esperienza altrui, facendo scelte che coincidono con noi stessi evitandoci gli “altrove” della vita che spesso imbocchiamo perché altri ce lo chiedono.
L’emergenza ha messo a nudo anche la condizione dell’artista, palesando il fatto che quella dei professionisti della cultura in Italia sia una delle categorie più deboli. Questo ha finalmente portato alla creazione di gruppi di lavoro come AWI (Art Workers Italia) ed alla nuova edizione sul web del Forum dell’arte contemporanea. La crisi ha permesso di creare unità e partecipazione, ha portato i lavoratori della cultura a parlare di argomenti tabù come il lavoro non retribuito. Credo che possiamo immaginarci il dopo, solo prendendo un ruolo attivo in questa fase di cambiamento, decidendo di agire con coerenza, rispetto al proprio ed altrui lavoro, unendoci per ridisegnare le regole del nostro ambito. La partecipazione su scala nazionale ed internazionale è stata proprio favorita dalle piattaforme digitali. Anche con il gruppo Estuario, con cui portiamo avanti la ricerca e la didattica dell’arte e la cultura contemporanea nel territorio di Prato, abbiamo subito l’interruzione delle attività ma adesso stiamo lavorando alla ripartenza con le attività di formazione per giovani artisti e curatori, con la possibilità aggiuntiva della didattica anche da remoto. Inoltre è importante che l’arte non solo sia connessa con tutti gli altri campi dell’esistenza ma si faccia fautrice della loro interazione, con il Laboratorio del futuro, nato da un’idea di Fabio Cavallucci, stiamo discutendo degli sviluppi dei principali temi del nostro tempo, cercando di far incontrare intellettuali e persone comuni su tematiche spesso distorte dai media e per questo utilizziamo anche il web.
Virginia Zanetti: Artista e docente, vive a Prato. Laurea in pittura con lode all’Accademia di belle arti di Firenze, si specializza in didattica dell’arte. Lavora sia in luoghi non convenzionali sia in istituzioni italiane e estere per la cultura e l’arte contemporanea come il Man di Nuoro, il CCC Strozzina di Firenze, il CAC Pecci di Prato, il Mac di Lissone in Italia, la Kunsthalle di Berna, l’Istituto di cultura italiano di New Delhi e di Zurigo. Ha vinto premi come il Premio Movin Up 2015 del MIBACT e il Concorso internazionale per artisti per la realizzazione di opere d’arte permanenti per Palazzo di Giustizia di Firenze nel 2017, il Primo Premio Maccaferri per la fotografia, Artefiera 2019 e Smartup Optima 2019, Napoli. Il suo lavoro ed i suoi testi sono presenti in pubblicazioni come A Cielo Aperto e Breve storia della curatela di H.U.Obrist, postmediabooks, Milano, su riviste di settore come Artribune, Espoarte, Exhibart, Flash Art o quotidiani come La Lettura del Corriere della Sera o Repubblica.
Cofondatrice di Estuario project space di Prato e del Laboratorio del Futuro, piattaforma di discussione in cui intellettuali di varie aree culturali si incontrano e dibattono insieme ai cittadini i temi principali del nostro tempo. La sua galleria di riferimento è Traffic Gallery, Bergamo (http://trafficgallery.org/virginia-zanetti/).
www.virginia-zanetti.com