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di LUISA RABBIA

When Did Your American Dream Die?”. Chiedeva un’email inviata da El Museo del Barrio lo scorso giugno nel pieno delle proteste a sostegno del Black Lives Matter.
Il mio sogno americano, quello che mi ha portata a vivere a New York City 20 anni fa, si è ammalato durante l’elezione di Trump ed è deceduto qualche mese fa. Fino ad allora mi ero illusa di vivere in una società multiculturale e multirazziale, in cui le battaglie per i diritti umani di cui l’America si era fatta portavoce nel corso degli anni avevano per la maggior parte sradicato i segni del suo passato. Tanti amici dicevano che il razzismo esisteva ancora ma non potevo crederci, perché è facile trovare scuse per quello che non si vive sulla propria pelle. E non è bello perdere un sogno.

Luisa Rabbia, Chorus, 2020, olio su tela, 260×114 cm. Courtesy Peter Blum Gallery, NYC. Foto Jason Wyche

Sono diventata americana durante la presidenza di Obama, dopo 14 anni negli Stati Uniti. A quel tempo, infatuata di un ragazzo caraibico, non ho avuto alcuna esperienza di razzismo quando stavamo insieme e lui proteggeva il mio idillio dicendomi che non ne aveva avute neppure lui. Non so come riuscissimo a difendere la nostra illusione così ostinatamente ma in fondo eravamo entrambi sognatori, perché erano proprio le nostre speranze che ci avevano portato qui. L’America, per me, rappresentava quel luogo in cui si lottava per un futuro migliore, in cui chiunque avrebbe potuto esprimere le proprie sessualità, identità e cultura indipendentemente da etnia o sesso.
Durante i primi 16 anni qui, i miei amici americani hanno cercato di farmi aprire gli occhi ma io resistevo, facilitata anche dall’ambiente multietnico di New York City, e insistevo a giustificare i casi di discriminazione sui giornali come malintesi. Il mio attuale compagno, bianco e cresciuto nel sud degli Stati Uniti, si porta nel cuore il peso del peccato americano, il razzismo, che cerca di capire e risolvere attraverso relazioni, libri, film e arte. Attraverso la sua esperienza e sensibilità, mi ha mostrato che il razzismo qui è sistemico (solo qui?), ma nulla mi ha disillusa così bruscamente come gli ultimi quattro anni in questo Paese. Ho imparato a scorgere il razzismo attraverso letture, film, amicizie, proteste e, tristemente, la cronaca di ogni giorno.
Dopo le manifestazioni in strada in risposta all’omicidio di George Floyd, all’orribile senso di tradimento si è però unita la necessità di continuare a sperare, perché senza speranza non si ha energia per cambiare nulla. Poiché tutto è connesso, potremo parlare di progresso solo quando saremo tutti rispettati, potremo parlare di libertà solo quando saremo tutti liberi. Nel corso degli anni ci siamo divisi in gruppi di colore, genere e identità sessuale per imparare ad ascoltarci e dare voce ad ognuno, minoranze incluse. È importante ascoltare chi dice che la propria vita non è rispettata, perché il fatto che non succeda a noi non significa che il problema non esista. Significa solo che siamo privilegiati.

Luisa Rabbia, Nameless, 2019. Matite colorate, pastelli, acrilico e olio su tela, 114 x 244 cm. Courtesy Peter Blum Gallery, NYC. Foto Dario Lasagni

Nel mio lavoro mi interessa evocare l’appartenenza di tutti ad un universo fatto di passato, in cui le azioni di ognuno, anche le più piccole, contino nel presente e determinano il futuro. Lavoro applicando impronte nel colore bagnato, sovrapponendo strati di pittura nella quale incido e rimuovo materia, in un processo di addizione e sottrazione che paragono alla vita, al passare del tempo. Il quadro I Am Rainbow, in mostra nella mia personale From Mitosis to Rainbow alla Peter Blum Gallery di NYC (fino al 9 gennaio 2021), l’ho dipinto durante le recenti manifestazioni di divisione e conflitto sociale. Gli arcobaleni, in tante culture, sono simbolo di speranza in tempi migliori, di diversità sessuale, accettazione, rispetto e diritti civili. In alcune culture sono anche ponti fra la nostra vita e l’aldilà.

Luisa Rabbia, veduta dell’installazione della mostra From Mitosis to Rainbow, Peter Blum Gallery, NYC. Foto Dario Lasagni

Il titolo del quadro rende tutti responsabili e parte dell’arcobaleno. Ma I Am Rainbow riflette anche sul fatto che noi non siamo una forma stabile e in quanto tale cambiamo e ci trasformiamo nel corso del tempo. Non mi riferisco solo alla possibilità che da spirito diventiamo materia per poi ritornare spirito, ma anche alle trasformazioni che accadono nel corso della nostra vita. Potenzialmente possiamo essere qualsiasi cosa, conteniamo moltitudini.

Brooklyn, Novembre, 2020

Luisa Rabbia

Luisa Rabbia (1970) vive e lavora a Brooklyn, NY. Ha studiato al Liceo Artistico e all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino. Alla sua prima esposizione nel 1991 sono seguite molte mostre nazionali, internazionali e borse di studio per esperienze all’estero che l’hanno portata a Bangkok (1999, 2000), Londra e New York (1997). Nel 2000, in seguito ad un invito dell’ISCP di NYC, si è trasferita a vivere negli Stati Uniti. Questo cambio culturale ha influenzato molto la crescita del suo lavoro. L’attenzione al mondo interiore che ha caratterizzato i suoi lavori giovanili si è estesa alla relazione fra il micro e macrocosmo attraverso l’uso del disegno. Linee, tracce e impronte si intrecciano sulla superficie dei suoi quadri sollevando riflessioni sull’interconnessione fra l’esperienza e la responsabilità personale, e quella collettiva.
Fra le mostre personali ricordiamo quelle presso: Collezione Maramotti, Reggio Emilia (2017); Fundación PROA, Buenos Aires, Argentina (2010); Fondazione Merz, Torino (2010); Fondazione Querini Stampalia, Venezia (2009); Isabella Stewart Gardner Museum, Boston, MA(2008). Fra le collettive: Magazzino Italian Art Foundation, Cold Spring, NY (2020); Manifesta 12, Palermo (2018); Lismore Castle, Ireland (2016); Harvard University, Cambridge, MA (2013); Museo del Novecento, Milano (2012); XV Quadriennale, Roma (2008); Museo MAXXI, Roma (2007); Museo di arte contemporanea, Shanghai (2006).
La quarta mostra personale di Luisa Rabbia alla Peter Blum Gallery di NYC, dal titolo From Mitosis to Rainbow ha inaugurato il 7 novembre e sarà aperta fino al 9 gennaio 2021.
www.luisarabbia.com

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