MODENA | Galleria Civica | 20 Giugno – 19 Ottobre 2014
di ILENIA MOSCHINI
Ha inaugurato lo scorso giugno, all’interno della Palazzina dei Giardini di Modena, la mostra Michelangelo e il Novecento, sezione modenese dell’evento promosso dalla Fondazione Casa Buonarroti di Firenze e dalla Galleria Civica della città emiliana in occasione del 450° anniversario della morte del celebre artista. Entrambe le esposizioni si pongono come un’occasione per comprendere quanto sia stata influente la figura e l’opera di Michelangelo sulle arti visive del XX secolo e se nella sede fiorentina sono state raccolte opere che vanno dagli inizi del Novecento fino agli anni Settanta, prestando attenzione in particolare ai centenari della morte e della nascita dell’artista (leggi qui la recensione della sezione fiorentina), qui, a Modena, si indagano le ricadute che alcune opere iconiche del maestro del Rinascimento hanno avuto sulla ricerca artistica più strettamente contemporanea.
Il percorso espositivo si apre con Merciful Dream (Pietà V) di Jan Fabre, riproduzione in scala 1:1 e con il medesimo materiale, il marmo bianco di Carrara, della pietà michelangiolesca del 1499; l’artista fiammingo ha però sostituito il volto della Vergine con un teschio e il corpo di Cristo morente con il suo autoritratto mentre tiene nella mano destra un cervello. Secondo Fabre, questo organo è la parte più importante del nostro corpo e viene utilizzato nell’opera per rappresentare il sentimento doloroso di compassione tra madre e figlio; inoltre, la figura maschile è percorsa da insetti che rimandano sì allo stato di decomposizione, ma servono qui come simboli di metamorfosi, tema questo che si ricollega a quello della vita, della morte e della resurrezione.
Nella sala attigua troviamo la rielaborazione che Yves Klein ha fatto de Lo schiavo morente; la piccola statua in gesso è dipinta con la tonalità blu che l’artista francese scelse come uno dei temi centrali della sua poetica e ciò conferisce all’opera in questione un carattere etereo che la trasporta in una dimensione trascendente e ne amplifica il portato concettuale. Segue la stanza dedicata ad alcuni lavori di Robert Mapplethorpe; osservando le fotografie dell’artista americano emerge chiaramente come quest’ultimo si sia ispirato a Michelangelo nella scelta di corpi muscolosi e statuari ritratti in pose plastiche ed è per questo motivo che nella stessa sala è stato collocato un disegno originale a inchiostro del maestro toscano che raffigura un torso maschile.
Anche Kendell Geers riprende un’opera celebre di Michelangelo, il David, realizzandolo però in polistirolo e ricoprendolo di nastro da cantieri bianco e rosso come a voler segnalare il pericolo di svuotamento di senso in cui incorrono i capolavori della storia dell’arte, spesso ridotti a oggetti kitsch e di consumo. Lo stesso può dirsi per Audience di Thomas Struth, noto per i suoi scatti che registrano le dinamiche di osservazione dei turisti nei musei più conosciuti del mondo (in questo caso i visitatori della Galleria dell’Accademia di Firenze, dove sono conservate il maggior numero di sculture di Michelangelo) e si pongono perciò come strumento di riflessione sulla fruizione delle opere d’arte e il processo di mercificazione e feticizzazione delle stesse.
L’ultima sezione della mostra è dedicata alla restituzione dell’opera di Michelangelo attraverso la fotografia; qui troviamo il Mosè di San Pietro in Vincoli a Roma fotografato da Ico Parisi nel 1958, l’immagine della Pietà Rondanini di Gabriele Basilico e la serie di scatti in bianco e nero realizzati da Aurelio Amendola. Grazie all’uso calibrato del chiaroscuro e il ricorso a tagli ravvicinati che liberano la visione dal principio della frontalità, quest’ultimo ci riconsegna i particolari e le texture del marmo delle statue realizzate da Michelangelo nella Sagrestia Nuova della Basilica di San Lorenzo a Firenze. Infine, il cortometraggio girato da Antonioni nel 2004 nel quale il regista, immerso in un’atmosfera interrogativa e di riflessione, è protagonista, attraverso la continua alternanza di piani e la ripresa in soggettiva, di un dialogo muto ma di grande intensità con il Mosè.
In conclusione, è bene sottolineare che le scelte curatoriali (riguardo sia le opere, sia l’allestimento) non derivano da futili citazioni e formalismi pleonastici; al contrario, esse danno origine a un dialogo vero e proprio tra Michelangelo e gli artisti contemporanei, testimoniando come il suo influsso abbia attraversato tempi e linguaggi per giungere e penetrare nella cultura visuale odierna.
Michelangelo e il Novecento
a cura di Emanuela Ferretti, Marco Pierini, Pietro Ruschi
Galleria Civica
Palazzina dei Giardini
corso Canalgrande 103, Modena
20 Giugno – 19 Ottobre 2014
Info: 059 2032911/2032940
www.galleriacivicadimodena.it