MILANO | Officine dell’Immagine | 25 ottobre – 22 dicembre 2018
di MATTEO GALBIATI
Officine dell’Immagine prosegue la sua ricognizione sulle nuove proposte della scena artistica internazionale guardando a quelle “altre” realtà – vicine e lontane – in cui si stanno muovendo ed affermando le ricerche di giovani protagonisti del panorama contemporaneo le cui poetiche e le cui istanze stanno efficacemente imponendo il valore dei loro contenuti. Il lavoro eccellente di scouting condotto dalla galleria permette al pubblico milanese di potersi confrontare con le considerazioni da loro avanzate e sollecitate che, prescindendo le soluzioni tecniche linguistiche, non tralasciano mai un diretto, sentito e pronunciato impegno attorno a temi sociali ed esistenziali. Spesso, nelle scelte dello spazio milanese, i principi dell’estetica si legano indissolubilmente ai valori dell’etica, caratteristica questa che valorizza ulteriormente l’indirizzo intrapreso e seguito nel tempo dalla galleria.
Con la mostra intitolata Cut Away il focus di attenzione è rivolto all’Africa e ci propone, con presenze tutte al femminile, le variegate esperienze della marocchina Safaa Erruas (1976) e delle sudafricane Lungiswa Gqunta (1990) e Bronwyn Katz (1993): con un intrigante allestimento, con molti interventi site-specifc, questo progetto fa dialogare espressività che, pur diverse per scelte tecniche e stilistiche, arrivano a toccare in tutte e tre comuni e condivisi punti di convergenza tematica. Il pronunciamento non dichiarato immediatamente, ma sempre lasciato alla libera allusione ed interpretazione, porta lo sguardo ad interrogarsi su un insieme di oggetti, sostanze e forme che, dalle esperienze comuni e accertate, si spostano poi verso un’interpretazione più sottile e densa di significati. Pizzi, fili, tessuti, filastrocche, manifesti, carta, reti metalliche e oggetti ri-trovati sono la metafora silenziosa di esistenze lontane, perdute, forse irrimediabilmente spezzate la cui memoria, se ripresa, le riscatta dalla dimenticanza o dalla trascuratezza. Quello che traspare, nella loro assenza, è la memoria di corpi e di vicende umane, incarnate in “cose” che, nella soluzione finale dell’opera, decifrano le esperienze di quelle anime che li hanno, nel tempo e per un tempo preciso, impiegati. Nella trasformazione in opera d’arte, si riescono a spostare gli equilibri delle abitudini passate e trascorse nelle loro storie su piani di sensibilità che trasmettono altri messaggi di più ampio valore nel tempo presente della visione.
Le tre artiste non mancano certo – pur nella minimale scelta formale – di essere incisive, scuotendo lo sguardo di ciascun visitatore sollecitato in principi che non assecondano la retorica scontata di contenuti ovvi e oltrepassano il senso limitante di geografie prestabilite. Il peso intimo e l’anima intrinseca delle cose trasgredisce la loro stessa natura e svela l’orizzonte definibile e possibile di altre verità.
Erruas, tra lame e ricami, tra vetrini taglienti e intrecci di fili, ci propone il suo gioco visivo che scorre tra opposte sensazioni: si passa da una delicata seduzione e da un forte richiamo ad una sofferenza dolorosa alla contrita rassegnazione dell’incertezza e del pericolo costante. Le sue opere miscelano un’equilibrata contaminazione di sentimenti che favoriscono uno stato di incertezza tale da pensare al tema della vulnerabilità dell’esistere, alla violazione del tempo vitale, all’insicurezza dell’esistenza umana. Gqunta con i suoi lavori scruta, attraverso lacerti e brevi testimonianze, il tessuto sociale in cui vive, attingendo dalle sue condizioni compone immagini scarne, ma dirette; con un racconto immediato sa attivare una rivincita e un riscatto morale attraverso lo sguardo di chi le osserva che, senza scadere nel moralismo, si anima nell’interiorità. Oggetti comuni stravolgono il loro uso e diventano incombenti e minacciose presenze con cui far confliggere le nostre afflizioni e i nostri dolori. Anche nelle opere di Katz, infine, si fa leva sull’emotività del ricordo di esperienze vissute: in oggetti simbolici, come letti e materassi, nonostante l’incessante corruzione del tempo, l’artista sa definire come la sedimentazione di storie non può essere annullata totalmente dall’azione del tempo e, di conseguenza, nella materia si stratificano le tracce dei trascorsi di chi ha usato quelle “cose” e, per rimando, di chi le osserva, intrecciando in questo modo le vite di uomini diversi.
Dall’Africa alla mondo, le poetiche di queste giovani artiste suscitano un fermento emozionale che non può che esaudirsi nella bellezza della condivisione e della partecipazione, perché la peculiare ragione del loro sguardo sta proprio nella loro sincera e diretta sensibilità che oltrepassa i confini di culture e di popoli e ci abbraccia tutti quanti in un insieme unico.
Safaa Erruas, Lungiswa Gqunta, Bronwyn Katz. Cut Away
a cura di Silvia Cirelli
catalogo vanillaedizioni
25 ottobre – 22 dicembre 2018
Officine dell’Immagine
via Carlo Vittadini, Milano
Orari: da martedì a sabato 11.00-19.00; lunedì e festivi su appuntamento
Ingresso libero
Info: +39 02 91638758
info@officinedellimmagine.com
www.officinedellimmagine.it