ROMA | GNAM | 12 marzo – 7 giugno 2015
di Luca Bochicchio
La scultura ceramica va in scena alla GNAM
Neppure un anno fa (il 28 giugno 2014) veniva inaugurata al MIC di Faenza una mostra che può giustamente definirsi epocale per aver studiato e presentato al pubblico un’epoca esaltante per l’arte ceramica italiana: il secondo ‘900 (leggi l’intervista a Claudia Casali). Da qualche anno a questa parte la rivista Espoarte, insieme a chi scrive, ha deciso di seguire e in parte documentare il dibattito che in Italia sta animando quel composito organismo fatto di artisti e istituzioni che esprimono valori attuali dell’arte e della società attraverso la ceramica. La mostra La ceramica che cambia del MIC, la Biennale d’Arte Ceramica Contemporanea di Frascati e, ancora in corso, la mostra Scultura Ceramica Contemporanea in Italia, presentata alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, costituiscono a nostro avviso i vertici di un movimento espositivo che sta coinvolgendo in modo crescente, da nord a sud, diverse istituzioni pubbliche e gallerie private italiane.
La mostra della GNAM, tuttavia, si distingue dagli altri validi e diversamente importanti eventi – citati e non – per il semplice e non secondario fatto di essere ospitata e promossa dalla prima Istituzione pubblica del Paese per l’arte contemporanea. Anche per questo è comprensibile la soddisfazione di Nino Caruso, curatore insieme a Mariastella Margozzi della mostra inaugurata con successo di pubblico l’11 marzo scorso, e visitabile fino al 7 giugno 2015. Caruso (Tripoli 1928) non soltanto è artista ceramista riconosciuto a livello internazionale, ma è stimato e rispettato tra gli artisti che in Italia lavorano con la ceramica fin dagli anni ’50. Il suo intervento come curatore (e artista protagonista) di questa esposizione riflette un pensiero alimentato dalla coerenza e dalla fiducia nel medium ceramico e, allo stesso tempo, dalla determinazione a sanare un deficit di attenzione critica subito da tutta una generazione di scultori ceramisti. A questo proposito, riassumendo il pensiero di Caruso, espresso in catalogo (Castelvecchi Lit Edizioni) e nelle dichiarazioni rilasciate il giorno dell’inaugurazione, si può intendere questa mostra anche come una sorta di atto dovuto verso quei suoi colleghi la cui opera non era ancora stata riconosciuta e valorizzata dalla massima istituzione artistica italiana. Fra questi figurano Pino Castagna, Goffredo Gaeta, Luigi Gismondo, Nedda Guidi, Giuseppe Lucietti, Alessio Tasca, Panos Tsolakos e molti altri già scomparsi come Attilio Antibo (Savona 1930-2009), Federico Bonaldi (Bassano del Grappa 1933-2012), Salvatore Cipolla (Mirabella Imbaccari, Catania 1933-Sesto Fiorentino 2006), Salvatore Meli (Comiso 1929-Roma 2011), Pompeo Pianezzola (Nove 1925-Marostica 2012), Nanni Valentini (Sant’Angelo in Vado, Pesaro 1932-Roma 1985), Carlo Zauli (Faenza 1926-2002) e il più giovane Alfonso Leoni (Faenza 1941-1980). Mentre scrivo questo articolo, mi giunge la notizia della scomparsa di un altro “grande” presente in mostra: Carlos Carlé era nato a Oncativo, nella provincia argentina di Cordoba, nel 1928, e dagli anni ’60 viveva a Albisola e Savona.
Come si può notare anche solo da questo breve elenco, i territori di provenienza e l’età anagrafica dei maestri dicono molto circa il taglio critico della mostra. Caruso ha precisato trattarsi di autori posti agli estremi del palcoscenico dell’arte contemporanea, secondo una duplice prospettiva: da un lato essi sono tenuti in gran considerazione all’estero (soprattutto in Nord Europa, Nord America ed estremo Oriente) o nei territori italiani di antica tradizione ceramica, dall’altro vengono toccati marginalmente dal mercato e dalla critica d’arte ufficiali nazionali. Questo scarto della critica italiana sarebbe maturato nel corso degli anni ’60, dopo cioè il pieno riconoscimento dell’opera (totalmente o solo in parte ceramica) di artisti noti e apprezzati negli anni ’40 e ’50 come Martini, Marini, Fontana, Leoncillo, Fabbri, Jorn, Matta, Scanavino, Sassu, etc. etc.
I fattori G e T
Il fattore generazionale costituisce dunque una chiave curatoriale della mostra, dichiarata da Margozzi e Caruso insieme a quella della processualità o tecnica operativa.
Sono tre le generazioni a confronto: quella appena citata, formatasi negli anni ’50; quella di mezzo che va, anagraficamente e all’incirca (e mi scuso per questa zona grigia, imprecisa per gli stessi curatori e del tutto convenzionale) da Lee Babel (Heilbronn 1940) a Claudio Cipolletti (Grottolella 1965); e quella più giovane, che comprende gli artisti nati tra la fine degli anni ’60 e i primi ’80 (questi ultimi, se non sbaglio, assenti dalla rassegna). Oltre all’omaggio a chi “ha già dato” in termini di vita, linguaggio e tecnica, vi è dichiarato un genuino interesse per coloro i quali “da qui in poi faranno”. Se Caruso, da ceramista, parla di vero e proprio passaggio di testimone generazionale, Margozzi punta la lente sulle “potenzialità” di molti giovani che affrontano la materia con spirito di innovazione, senza trascurare la qualità formale e tecnica.
Da quest’ultimo punto in particolare l’analisi critica deve snodarsi necessariamente su due vie parallele: la prima nettamente positiva, la seconda segnata da qualche ombra, che si cercherà di illuminare per quanto possibile. Anzitutto i meriti della mostra risiedono proprio nella qualità intrinseca dei lavori esposti. Per un materiale tanto vivo quanto ampiamente utilizzato da migliaia di hobbisti in Italia e nel mondo, è fondamentale ottenere un palcoscenico nazionale, di altissimo livello, sul quale dare lustro alle proprie eccellenze. Tanto più se l’audience è, potenzialmente, un vasto pubblico museale non necessariamente avvezzo ai linguaggi della ceramica. L’occasione non è stata tradita, tanto che è possibile osservare alla GNAM un elevato numero di opere (oltre a Leoncillo, 64 artisti* con due/tre opere ciascuno) che incarnano i massimi livelli espressivi e la massima pulizia tecnica possibili, ad oggi, in Italia, utilizzando i processi della cottura della terra. Va pure data ragione ai curatori quando affermano, in catalogo, che negli anni ’50 quei giovani che oggi rappresentano la più anziana generazione in mostra “sceglievano – sull’esempio dei Maestri prima citati – il materiale ceramico come medium per la loro ricerca artistica, essenzialmente volta a liberare la produzione ceramica dal prevalente ruolo utilitaristico e decorativo e a consolidarla in un linguaggio pienamente autonomo”. L’affermazione che “grazie al loro lavoro costante nei decenni… l’arte ceramica, come scultura, si è affacciata alla contemporaneità e ha trovato nelle generazioni successive testimonianze di grande rilievo”, viene confermata da molti giovani e giovanissimi che oggi, mentre ottengono successi nazionali e internazionali, riconoscono proprio nei Caruso, Tasca, Zauli, etc. etc. i propri punti di riferimento iniziali.
Anche l’allestimento mira a sottolineare questa continuità temporale fra il lavoro degli artisti più maturi e quello delle successive generazioni. Un percorso non diacronico ma sincronico vede infatti la netta prevalenza di opere create fra anni ’90 e 2000, con rare eccezioni rappresentate, ad esempio, da pezzi del 1952 (Vaso di Salvatore Meli), del 1957 (Maternità di Salvatore Cipolla) o del 1962 (Foglio di Nedda Guidi). Questa direttrice espositiva temporale si è scontrata con l’interpretazione di molti osservatori, i quali hanno mal inteso o frainteso lo statement di Caruso che stabilirebbe l’inizio cronologico della mostra “dagli anni ’50”. È opportuno chiarire, a mio avviso, che si tratta di un parametro di partenza soggettivo e, ancora una volta, generazionale, utile ad inquadrare gli artisti che hanno iniziato a lavorare in quegli anni, guardando ai maestri come Leoncillo (al quale è stata dedicata la sala d’apertura, in omaggio ai suoi primi cento anni, sulla quale bisognerebbe scrivere una recensione a sé). Rispetto all’esposizione da poco conclusa al Museo Internazionale delle Ceramiche (1 febbraio 2015), la GNAM si proietta quindi in avanti di almeno un decennio, tralasciando opere e artisti circoscritti al periodo storico degli anni ’50 (i già citati Fontana, Melotti, Fabbri, Jorn, etc. etc.) ma estendendo lo sguardo oltre il 2000, per coinvolgere nel confronto alcuni fra gli emergenti di oggi.
Aspetti della scultura ceramica italiana
Presentare opere di circa tre generazioni di artisti, realizzate per lo più nell’arco dell’ultimo trentennio, può effettivamente rispondere a un titolo determinativo, onnicomprensivo ed epocale come La scultura ceramica contemporanea in Italia. Tuttavia lascia un po’ perplessi non trovare rappresentate, in una mostra che certamente epocale è, alcune importanti manifestazioni della scultura ceramica che avrebbero potuto integrare quella “non esaustività” dichiarata e premessa dai curatori stessi. Non si rileva qui soltanto un problema di artisti presenti o assenti, quanto di parzialità critica che, pur se legittima, in una mostra di tale livello (in quella sede e con quel titolo) poteva e doveva farsi carico dell’esaustività quanto meno in termini di espressioni e tendenze della scultura ceramica contemporanea italiana. E quel che è più divertente e interessante, a mio avviso, è che questa estensione non avrebbe stravolto l’impianto generale della mostra, ma l’avrebbe addirittura proiettata in uno scenario critico totalmente inedito, fino ad oggi, in Italia. L’arco espressivo della scultura ceramica italiana include tipologie e operatività che alla GNAM sono state tralasciate in virtù di uno spartiacque tecnico-processuale che, oltre a lasciare il tempo che trova a questo punto della storia, purtroppo non rende giustizia alla situazione italiana nel panorama delle ricerche internazionali. Ad esempio, non vi sono opere di artisti affermati che hanno lavorato o lavorano anche con media diversi dalla ceramica. Analogamente assenti le espressioni che implicano uno stretto rapporto di collaborazione tra un artista e un artigiano, tra lo scultore e la bottega ceramica. Ma, come vedremo fra breve, anche alcuni autori simbolo della scultura ceramica contemporanea tout-court non sono purtroppo presenti.
Riconducendo le contemporanee manifestazioni della scultura ceramica ai tre archetipi di vaso, architettura e scultura, Caruso e Margozzi spiegano in catalogo che “la scelta degli scultori partecipanti si è concentrata su coloro che vivono in prima persona nell’officina delle proprie creazioni, a diretto contatto con l’opera nell’unicità del suo processo generativo”. Pertanto, mentre è assolutamente positivo il fatto di presentare a un ampio pubblico (e ci auguriamo anche al mercato) opere di scultori che, in molti casi, sono poco conosciuti al di fuori del circuito espositivo prettamente ceramico, è negativa l’esclusione non tanto di autori (mi si passi il termine) “minori”, ma di artisti che nelle tre generazioni rappresentate in mostra costituiscono eccellenze indiscusse della scultura ceramica italiana. Senza tenere conto delle suddette chiavi curatoriali, mediali e tecnico-processuali, sarebbe infatti difficile comprendere l’assenza di Giuseppe Spagnulo (Grottaglie 1936), Luigi Ontani (Vergato, Bologna 1943) e Mimmo Paladino (Paduli 1948). Ma si pensi anche ad artisti affermati, identificabili e identificati in Italia e all’estero proprio con la scultura ceramica, come Luigi Mainolfi (Avellino 1948), Sandro Lorenzini (Savona 1948), Giorgio Laveri (Savona 1953), Giacinto Cerone (Melfi 1957) o Bertozzi & Casoni (rispettivamente 1957 e 1961). Anche fra quella che viene definita la nuova generazione spicca (è il caso di dirlo) l’assenza di artisti che in questi ultimi anni stanno ottenendo importanti riconoscimenti internazionali e nazionali, proprio come rivendicato da Caruso per la propria generazione. Si pensi, solo per fare degli esempi lampanti, a Giuseppe Ducrot (Roma 1966), Monika Grycko (Varsavia 1969, residente da anni a Faenza), Andrea Salvatori (Faenza 1975), Paolo Polloniato (Nove 1979), Nero/Alessandro Neretti (Faenza 1980). Altri ancora stanno emergendo su scala nazionale con linguaggi sperimentali, calati pienamente nel solco della tradizione ceramica di appartenenza; penso a Michele Giangrande (Bari 1979), Serena Zanardi (Genova 1978), Giorgio Di Palma (Grottaglie 1981) e Davide Monaldi (San Benedetto del Tronto 1983). Se si considera che Monaldi e Ducrot erano contemporaneamente presenti a Roma con due personali allo Studio Sales e al MACRO, e che anche la Galleria Sinopia (sempre a Roma) ha presentato una mostra di artisti ceramisti, molti dei quali presenti alla GNAM, si intuisce come a Roma sia in atto una tendenza che risponde al crescente interesse per questa arte, diffuso in tutto il Paese.
Non di medium… ma di poetica e di sguardo
Tirando le somme, la sensazione è che l’esposizione alla GNAM partecipi pienamente al rinnovato clima di curiosità e dinamismo che sta investendo l’arte ceramica italiana. Ciò che in mostra si è faticato a includere, per diverse e solo in parte comprensibili ragioni, in catalogo è stato sviscerato (oltre che dai curatori) dai testi di Luciano Marziano, Claudia Casali, Stefania Petrillo, Daniela Fonti e Giuliana Ericani, a dimostrazione di un percorso di studio iniziato molti mesi fa, grazie anche all’impegno di Maria Vittoria Marini Clarelli, che ha lasciato la direzione della GNAM a poche settimane dall’inaugurazione e che ha creduto fortemente in questo progetto.
Fra la soddisfazione generale si avverte anche un certo rammarico, dovuto alla consapevolezza che, per l’esclusione di pochi, sia sfumata un’importante occasione per racchiudere in un unico, potente, autorevole evento tutte le eccellenze della scultura ceramica italiana. Un maggiore sforzo in questo senso avrebbe elevato ancor più il valore del progetto, ponendolo inevitabilmente in dialogo con le coeve manifestazioni internazionali di questo taglio.
In mostra sono presenti (oltre a Leoncillo) ben 64 artisti, in larga parte di ottimo livello. La qualità formale e poetica non manca e vi si possono trovare felici assonanze e soluzioni espressive a tratti stupefacenti. Molti degli autori in mostra si definiscono con orgoglio ceramisti, in quanto per essi il processo tecnico è prioritario sul dato di senso o di espressione poetica. Tuttavia la storia dell’arte ci insegna che, da sola, questa visione non basta a formare una cultura visiva condivisa. La stessa Claudia Casali lo esemplifica solidamente nel testo in catalogo: “creatività non è in arte (e nello specifico in ceramica) sinonimo di sterile tecnicismo legato alla terra e alla cottura, è rappresentazione mentale, pensiero, iconografia, stile, ovvero poesia… La ceramica è alchimia nell’interazione degli elementi aria, acqua, terra, fuoco, senza alcun dubbio, ma non dobbiamo fare di questa interazione il parametro di valutazione critica e storico-artistica di un’opera fittile”.
Proprio le questioni del medium e della tecnica dimostrano oggi la loro sterilità se usati come margine critico. È vero che, nella storia dell’arte contemporanea, la ceramica ha subito come pochi altri mezzi un difetto di attenzione. Il solo altro medium altrettanto emarginato dal canone è stato quello elettronico e informatico. Paradossalmente, mentre quest’ultimo è recente e artificiale la ceramica è un mezzo naturale fra i più antichi a disposizione dell’uomo. Bisogna ammettere però che se per i media elettronici la diffidenza è venuta principalmente dal mondo della storia dell’arte canonica, nel caso della ceramica il sospetto è stato senz’altro biunivoco, e questo non ha certo incoraggiato quell’integrazione ad oggi sempre più concreta e auspicata.
Per questo motivo, tornando alla mostra, è sbagliato affermare che i lavori di Nicola Boccini, Silvia Celeste Calcagno o Antonella Cimatti sono interessanti e attuali perché integrano ceramica e “nuovi media”, come la luce artificiale, il suono o la fotografia (strumenti già impiegati dagli artisti da circa un secolo). I loro lavori vanno valutati per la forza espressiva e per la poesia che trasmettono. Pur essendo state sottorappresentate tendenze molto attuali nella scultura ceramica di oggi – come il post-reale, il concettuale, l’uso e la modificazione di stampi tradizionali, l’ibridazione con il video e il design, il neo-primitivismo, la citazione e l’appropriazione – gli artisti appena citati, così come Guido Mariani, Luigi Belli, SPROUT o Tonina Cecchetti, ricorrono alla contaminazione con oggetti o campi semantici alteri, stimolando sfere psicologiche profonde al di là del medium e della tecnica utilizzati. D’altro canto Jasmine Pignatelli (alla quale si deve anche un impegno critico concreto per la promozione della ceramica nell’arte contemporanea), ha trasformato degli elementari moduli scultorei in un’installazione ambientata, che tramite il colore e la disposizione nello spazio insinua una riflessione fisica e metafisica sulla realtà microcosmica. Si potrebbero citare molti altri esempi, tante sono le positive suggestioni che derivano da una mostra fino ad oggi rara per il nostro Paese.
Detto questo, la scelta di accogliere il pubblico con la straordinaria forza della scultura di Leoncillo, mettendo in dialogo circolare i capolavori dagli anni ’30 ai ’60, è stata geniale e genuina per un museo pubblico che vanta simili pezzi fra il suo patrimonio. Leoncillo si erge su tutto e tutti, e la sua tangibile eredità deve invitare quanti intendano occuparsi di simili aspetti dell’arte a non reiterare a loro volta l’errore denunciato e subito dalla generazione di Caruso: escludere altre tendenze creative, in nome di una presunta purezza e ortodossia espressiva o tecnica.
Così come al termine dell’intervista a Jasmine Pignatelli per BACC (leggi l’intervista) attendevamo di valutare la mostra della GNAM, oggi concludiamo questo “contributo critico al dibattito sulla ceramica contemporanea” rimandando alla mostra sulla scultura ceramica europea CERAMIX, da ottobre al Bonnefanten Museum di Maastricht, itinerante nel 2016 a Sèvres e Parigi.
* Oltre a Leoncillo, gli artisti in mostra alla GNAM: Attilio Antibo, Federico Bonaldi, Riccardo Biavati, Nicola Boccini, Luigi Belli, Lee Babel, Carlos Carlè, Nino Caruso, Andrea Caruso, Pino Castagna, Salvatore Cipolla, Eraldo Chiucchiù, Elettra Cipriani, Claudio Cipolletti, Silvia Celeste Calcagno, Antonella Cimatti, Tonina Cecchetti, Giorgio Crisafi, Fausto Cheng, Guido De Zan, Fabrizio Dusi, Mirco de Nicolò, Tristano di Robilant, Yvonne Ekman, Candido Fior, Marino Ficola, Marco Ferri, Nedda Guidi, Emidio Galassi, Antonio Grieco, Goffredo Gaeta, Luigi Gismondo, Alfredo Gioventù, Annalisa Guerri, Alfonso Leoni, Adriano Leverone, Massimo Luccioli, Giuseppe Lucietti, Luciano Laghi, Salvatore Meli, Riccardo Monachesi, Guido Mariani, Alberto Mingotti, Mirna Manni, Rita Miranda, Simone Negri, Pompeo Pianezzola, Jasmine Pignatelli, Fiorenza Pancino, Martha Pachon Rodriguez, Paolo Porelli, Luigi Pero, Graziano Pompili, Aldo Rontini, Enrico Stropparo, Giancarlo Sciannella, Ivo Sassi, Gabriella Sacchi, SPROUT (Denis Imberti e Stefano Tasca), Alessio Tasca, Pano Tsolakos, Nanni Valentini, Cristiana Vignatelli Bruni, Carlo Zauli
LA SCULTURA CERAMICA CONTEMPORANEA IN ITALIA
a cura di Mariastella Margozzi e Nino Caruso
12 marzo – 7 giugno 2014
GNAM GALLERIA NAZIONALE D’ARTE MODERNA e CONTEMPORANEA di ROMA
viale delle Belle Arti 131, Roma