CATANIA | GALLERIA MASSIMO LIGREGGI | #Report
Come il vento del nord che soffia sulla Sardegna agitando giorni pieni di luce e facendo più vivi i colori, così Nicolò Bruno (1989) nato a Milano, e che vive a Basilea in Svizzera, arriva con i suoi strumenti di pittore a Calasetta sull’isola di Sant’Antioco per una residenza artistica presso la Fondazione MACC. Qui viene sorpreso dal protocollo d’emergenza che limita la libera circolazione delle persone per l’emergenza sanitaria del contagio del Coronavirus e, durante la sua permanenza forzata in Sardegna, realizza una serie di dipinti, grandi e piccoli, su tela e su carta, nel modo che più gli è congeniale e cioè a partire dal suo archivio di fotografie e con un interesse specifico per la figura umana e per la dimensione affettiva e relazionale, tema a lui caro insieme al discorso sulle rappresentazioni non stereotipate dell’identità omosessuale, unendo a uno sguardo nostalgico accenti stavolta autobiografici. I dipinti realizzati in questa contingenza così particolare, legati tra loro da una coerente vocazione narrativa, vengono raccolti nella mostra Maestrale alla Galleria Massimo Ligreggi di Catania, accompagnati da un testo di Efisio Carbone.
Il punto di partenza è dunque un personale repertorio di immagini fotografiche, una documentazione visiva in forma di appunti utilizzata per raccontare momenti e scambi di un’intimità domestica e affettuosa, scene di una storia privata che si dischiude nella leggerezza di piccoli gesti per mostrarsi davanti allo sguardo altrui senza esibizionismo e senza imbarazzi. Tra passato e presente, Nicolò Bruno trasforma in appassionata materia della sua pittura l’amore, l’amicizia, l’intimità, la tenerezza, la delicatezza degli spazi chiusi delle case della quarantena in cui la vita continua con il suo rumoreggiare discreto, senza tonfi o strepiti chiassosi, senza scosse telluriche, ma seguendo i ritmi quotidiani fatti di lentezza e piccole accelerazioni che si intonano ai giri del respiro e al battito del cuore e intrecciano il piano del presente con i percorsi della memoria che le foto hanno fermato e la pittura amplifica, illumina ed esalta.
Con un’intuizione quasi sinestesica, tra forme, volumi e colori affiora una trama di suoni che fa vibrare con andamento variamente ritmico la partitura della mostra. Qui si fa sentire lo scatto di un paio di forbici che servono a tagliarsi i capelli in casa perché non si può uscire e tutte le attività commerciali sono chiuse, lì si avverte leggerissimo il fruscio di un lenzuolo appena scostato, più avanti risuona lo schiocco di un bacio. E poi la combustione lenta della punta di una sigaretta accesa in mezzo a una conversazione, il tintinnio sottile di un bicchiere di vino posato sul pavimento, i tasti di un cellulare, il ricordo di una canoa d’estate e il movimento preciso della vogata, lo schiaffo dell’acqua sul viso, il fruscio delle piante agitate dal vento. Il miele dei giorni che si fa amaro nell’elegia di una relazione che finisce e nuovo miele, più dolce, per un innamoramento nuovo.
Degli scatti fotografici di partenza, rubati o posati, pazientemente raccolti e collazionati, resta l’idea di una continuità nel tempo e nello spazio: sono tracce di un racconto frantumato in singoli istanti da ricomporre o da lasciare sospesi nella dimensione di un’evocazione o di una dimenticanza, fili narrativi sovrapposti e incrociati nel disordine concitato delle storie che si scrivono da sole. L’archivio disordinato di una vita qualunque si dilata e si lascia trasfigurare in una traduzione pittorica che di questa complessità è riscrittura e ripensamento, messa in posa e teatro, tradimento e immaginazione. Il colore ha un ruolo fondamentale nella ricerca di Nicolò Bruno. L’alfabeto cromatico risponde a combinazioni antinaturalistiche, frutto di decantazioni spesso lunghe e di una mediazione ben calibrata tra progettazione e impulso, tra istinto e calcolo, un processo nel quale prevalgono le macchie larghe e le campiture di colore e il segno ha un ruolo essenziale mentre non c’è interesse per il peso e lo spessore della materia.
L’impulso che guida il pennello è quello di assecondare con le forme la necessità di comunicare gli accadimenti come se ogni volta che l’osservatore guardasse il dipinto questi dovessero essere attivati dal suo guardo, una vocazione alla narrazione che è il rinnovarsi di un incantesimo o forse l’esorcismo che scongiuri una inevitabile caducità. Il contenuto è materia appassionata così come è impressiva la forma e coinvolgente l’eloquio, perché il fruitore non è indifferente per la pittura di Bruno, ma la vivifica facendo proprio il sentimento che il pittore ha voluto raccontare e conservare. È, questo minimo romanzo di un giro di esistenze al confine tra adolescenze prolungate e maturità in punta di piedi, fatto di tempi sospesi in cui non si capisce se l’azione finita o se stia per cominciare, il tentativo di affidare nel caleidoscopio dell’arte alla dimensione privata un potere simbolico, che si fa carico anche di un discorso politico e sociale. Un approccio quasi completamente inedito in Italia nella pittura per la sincera componente sentimentale e l’autenticità del racconto del mondo emotivo di un giovane uomo che ama un altro uomo, che scardina stereotipi che mostrano tutti i loro limiti nel tentativo di rendere visibili modelli altri di vita, relazione e rappresentazione, esistenti nella realtà ma spesso assenti sul piano del discorso condiviso. Con la sua ricerca Nicolò Bruno riesce a trasformare la sua esperienza individuale in flusso pittorico presente e potente che, uscendo dal particolare, si fa abitare anche dagli altri in un terreno comune di condivisione del sentimento che è più di un’empatia: è il manifesto di un rinnovato realismo, sentimentale, giocoso, magico, immaginifico e saturo di colore, come il vento che gonfia un ricordo d’estate e scompagina tutto, pregiudizi compresi.
Nicolò Bruno. Maestrale
testo di Efisio Carbone
Fino all’11 ottobre 2020
Galleria Massimo Ligreggi
Via Indaco 23, Catania
Info: www.massimoligreggi.it