LISSONE (MB) | MAC Museo d’Arte Contemporanea | 10 maggio – 15 giugno 2014
di MATTEO GALBIATI
Siamo stati abituati, negli anni che ne hanno affermato il successo, a riscontrare un costante stato evolutivo nella ricerca di Nicola Samorì (1977) artista che ci ha guidati a vivificare una pittura figurale – in cui l’impronta del passato rimane sempre memore di segni e reminiscenze tangibili – che professa, in una decadenza fisica e strutturale, una fragilità non trattenuta dell’immagine che evoca e che riesce sempre a rendersi attuale e contemporanea. La materia-colore diventa in lui sofferta, il velo cromatico si altera, si corruga, si lacera. Impossibile, quasi, per i suoi dipinti poter sopravvivere a se stessi, a rendersi eterni non solo nella memoria, ma anche nel tempo e nello spazio. Sembrano non durare, paiono non poter reggere l’immortalità che l’arte dovrebbe assicurare. Ammiriamo presenze che si stanno sfaldando, spezzando, che mostrano una dolorosa imminente, se non già sopraggiunta, fine.
Nelle sale del primo piano del museo brianzolo, dove è allestita questa sua mostra personale, coinvolgente e stimolante anche nell’allestimento che, non facile per opere, spazi e relazioni, qui riesce perfettamente, possiamo osservare il turbolento e contrastante approccio cui ci guida Samorì e che porta ad una visione scioccante di questi lavori. Visitando questo grande ambiente unico cogliamo una silenziosa atmosfera da wunderkammer tradita, dove l’arte è stata poco protetta, dove i dipinti si sono sciolti, scollati come una pelle trafitta, martirizzati da un’incuria superficiale e disattenta; dove anche le sculture – novità di linguaggio che in Nicola ritorna ad essere punto di partenza (aveva iniziato proprio dalla scultura) in cui vivificare il suo rapporto con la sostanza concreta e plastica – si spezzano, sfaldano, come cere colano liquefacendo la solidità della pietra. Guardiamo una lenta disgregazione che porta ad una cancellazione del lavoro dell’artista stesso, al suo segno che arretra celandosi dietro – e dentro – pieghe e accartocciamenti, fratture e collisioni.
Eppure i simulacri di una figura ormai consunta e corrotta ci restituiscono ancora una sensazione forte, quasi pungente. Samorì, rendendo la materialità dell’opera cosa viva e biologica, riporta l’estetica della visione ad una vitalità nuova, mortale e quindi integralmente umana.
L’epifania dell’immagine – la sua palesazione nel mondo – pare durare poco per lasciare trasmigrare il valore dell’arte ad altri principi, ad altre qualità che non possono essere subordinate ad un’idea di bellezza sacrale e imperturbabile. L’esilio della bellezza assoluta ci conduce e rafforza, invece, verso l’idea – sotterranea e riverberante solo nello stupore e nell’emotività forte cui Samorì con grazia poetica ci guida – della non esistenza di estasi contemplative, ma della presenza del senso di un destino in cui la scala di virtù differisce e diventa esperienza concreta, fisica. Umana in questo senso.
I simulacri feriti, colpiti, corrugati di Nicola – davvero straordinaria la classicità anticlassica delle sculture! – perseguono questa via: affermano la verità piena di un’arte che non chiude o abbandona, non dismette e trascura, come potrebbe apparire, ma svela e rivela visioni più grandi che superano l’esistere stesso delle immagini.
Non ci rimane che ammirare il senso vero di una bellezza che resta calata nella sua dimensione squisitamente umana e quindi anche mortale. Vera perché imperfetta, imprecisa, ferita e vulnerabile. Vera perché mai ripetibile, mai unitaria o prestabilita.
Samorì, il cui rigore intellettuale, sapienza e capacità pittorica e scultorea – artistica in generale – sono indubbie e indiscutibili, non tradisce un intelligente e sofisticato meccanismo che rende partecipe lo sguardo, il nostro sguardo, senza avvilupparsi in formalismo né senza abbandonarsi alla maniera. Senza compromessi ci procura immagini che rimangono sempre sincere nella loro risoluta profondità.
Anche qui dove si fronteggiano, integrandosi reciprocamente, due tecniche diverse, dove la scultura e la pittura si concedono reciprocamente: il dipinto si accartoccia e si ispessisce divenendo scultoreo, la scultura si appiana, si dissolve riportando la materia ad un grado zero.
Nicola Samorì ripropone una verità che trionfa, nella sua realtà cruda e materiale, sulla pura vanità. Senza scendere nell’adulazione in questa mostra ci fa trovare avvolti da una sequenza di emozioni ancora tutte da accertare e comprendere fino in fondo. Una comprensione che, cruda, accetta e abilita persino la compromissione degenerativa dell’in-forme e la rigenerazione di un suo, speranzoso e lusinghiero, nuovo destino.
Nicola Samorì. Intus: cristalli di crisi
10 maggio – 15 giugno 2014
MAC Museo d’Arte Contemporanea
Viale Padania 6, Lissone (MB)
Orari: martedì, mercoledì, venerdì 15.00-19.00; giovedì 15.00-23.00; sabato e domenica 10.00-12.00 e 15.00-19.00
Ingresso libero
Info: +39 039 7397368; +39 039 2145174
museo@comune.lissone.mb.it
www.museolissone.it