BOLOGNA | PALAZZO FAVA | Fino al 25 luglio 2021
di ISABELLA FALBO
La pittura è una cosa che va guardata da ogni punto di vista
Nicola Samorì
Presentata da Genus Bononiae. Musei nella Città, nella splendida cornice rinascimentale di Palazzo Fava a Bologna, Sfregi è la prima mostra antologica in Italia di Nicola Samorì (Forlì, 1977).
Studiata ad hoc dall’artista per le sale del Palazzo, in stretto dialogo con il naturalismo anti-accademico dei fregi affrescati dai Carracci e allievi, nonché con alcune delle opere della collezione permanente della Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna, la mostra si presenta come un viaggio emozionante ed esaustivo nell’universo estetico e poetico di Nicola Samorì, dagli esordi fino alle realizzazioni più recenti.
Il percorso espositivo si compone di circa 80 opere tra le più rappresentative degli ultimi venti anni di produzione.
Tratto distintivo dell’approccio metodologico di Nicola Samorì è la sua costante sperimentazione tecnica, sia nella pittura sia nella scultura, con esiti inediti che aprono a riflessioni profonde in entrambi gli ambiti.
Partendo dalle origini, da un’affermazione di Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, la pittura dei primordi non voleva essere imitazione della natura, ma natura tout court. Sappiamo che questo primigenio sogno non è stato raggiunto e fu declinato a mimesi. Nicola Samorì, ben consapevole del potere della pittura, prosegue la strada di liberazione spianata da Marcel Duchamp e parte dalla mimesi – di opere del passato – solo ad un primo superficiale livello; ne sospende ogni giudizio per focalizzarsi invece sul “corpo” della pittura, sulla materialità dell’immagine, sulla dimensione organica della forma.
Ecco, quindi, che l’artista nel confronto con tutta la storia dell’arte, dalla “bella pittura” rinascimentale e barocca alle riflessioni provocate dalle Avanguardie e dallo Spazialismo di Lucio Fontana, attua la sua ricerca individuale.
Nella sala delle grottesche, al piano nobile del Palazzo, Samorì cala con assoluta naturalezza il monumentale affresco strappato dal titolo Valle umana (Malafonte), realizzato nel 2018. Punto di partenza di questo lavoro è un modello manierista: le scene dipinte da Agnolo Bronzino nella Cappella di Eleonora di Toledo, a Palazzo Vecchio a Firenze. I colori originali, edulcorati e brillanti, sono trasformati da Samorì quasi in monocromi; la massa di figure senza alcuna via di fuga sono colte nel momento in cui una macchia nera serpentiforme, al centro della rappresentazione, sembra le stia dissolvendo. Sulla parete opposta della stanza fa da contraltare un torso ligneo rappresentante il Cristo realizzato in anamorfosi.
Sempre al piano nobile del Palazzo, nella sala del fregio Le storie di Giasone, Samorì instaura tra i soggetti carracceschi e i protagonisti delle sue opere un confronto attivo, l’inevitabile cassa di risonanza con le pitture del Palazzo si accentua fino a coinvolgere nel dialogo anche lo spettatore: attorno ad una splendida Maddalena penitente di Antonio Canova della Collezione Carisbo, prostrata e con lo sguardo al suolo, i soggetti di Samorì volgono tutti il loro sguardo verso l’alto, ed addirittura, la freccia scoccata dal Cupido dei Carracci sembra trafiggere, lacerandola, la gola di Santa Caterina in Immortale, 2018. Qui, Samorì ci dona un’intensa prova della sua pratica sul “corpo” della pittura, in un sorprendente gioco di rimandi e corrispondenze, toccando addirittura il ready-made con il pennello che trafigge la gola della Santa.
Nicola Samorì attraverso lo sfregio, la lacerazione e la parziale distruzione dell’immagine, svela il codice stesso della pittura mettendone a nudo la sua densità vitale, la sua tattilità ed addirittura il suo odore. Le immagini di Samorì nascono con il pennello per poi essere sottoposte a squarci profondi, effettuati anche con le dita, attraverso un gesto perentorio, che non ammette ripensamenti, arrivando a mostrarci la “geologia” della pittura. In mostra esempi straordinari fra cui Anulante, 2018; Pittura, 2018 e A corde, 2019, in cui il disgregarsi della pittura la rende materia tattile e tangibile come innumerevoli e sottilissimi filamenti ottenuti tramite un meticoloso quanto eterodosso approccio metodologico.
In questa logica, Samorì attraverso la sua interazione con una delle forze della natura come la gravità, ci mostra anche la “pelle della pittura” o meglio, la pittura come pelle: in Lienzo, 2014 –raffigurante il Cristo deposto, dipinto su un antico tavolo da massaggio, opera presentata nel 2015 alla 56° Esposizione Internazionale d’Arte e qui allestita nelle sale del secondo piano del Palazzo – emerge, con grande potenza evocativa, l’analogia e l’equivalenza tra la pelle dell’olio e la pelle umana, dove in un gioco di rimandi, la superficie dipinta della pelle viene materialmente spinta in giù dall’Artista come un sudario.
La pittura di Samori può passare da una lacerazione profonda a dislivelli sottilissimi, come una foglia d’oro che copre la forma dipinta; ed ancora, la sua pittura può nascere da una lacerazione o caratteristica “geologica” del supporto sul quale è dipinta, che l’artista vede come una ferita alla quale ascrive tutto attorno il corpo della sua pittura, come se l’immagine esistesse da sempre e lui semplicemente la portasse alla luce. Paradigmatico: Ultimo sangue, 2019.
Lo sfregio dunque, in tutte le sue declinazioni, è per Samorì come un attivatore dell’immagine per farla apparire, o per renderla più viva.
Estremamente affascinante, dunque, questo “dialogo energetico” che l’artista instaura con i suoi supporti, come tavole o pietre che “riconosce” nell’immediatezza di un momento elettivo fra accumuli di scarti in depositi a Pietrasanta.
“La scrittura delle pietre” come elemento da tenere in considerazione per comprendere la genesi di molti lavori dell’artista, come ad esempio, Solstizio di inferno, 2019 o le magistrali nature morte allestite in una personale camera delle meraviglie nella sala al piano terreno con le Storie di Enea di Francesco Albani, i cui fiori sono ricreati sfruttando le macchie naturali della superficie minerale.
Solo un occhio voyeuristico può scorgere la dimensione performativa del creare di Nicola Samorì – che ben si scorge anche nella sua scultura diretta e veloce – poiché è privata, intima e preservata dallo stesso artista, tuttavia emerge, nella potenza di ogni singola opera.
Nicola Samorì. Sfregi
a cura di Alberto Zanchetta e Chiara Stefani
Promotore: Genus Bononiae. Musei nella Città
Fino al 25 luglio 2021
Palazzo Fava
via Manzoni 2, Bologna
Orari: tutti i giorni, 10.00-19.00. Giovedì, 12.00-21.00. Sabato e domenica prenotazione obbligatoria, da effettuarsi entro il venerdì. Biglietti acquistabili su www.genusbononiae.it oppure chiamando lo 051 19936343 o scrivendo a esposizioni@genusbononiae.it.
Info: +39 051 19936343
esposizioni@genusbononiae.it
www.genusbononiae.it