MILANO | PALAZZO REALE (Sala delle Cariatidi) | Fino al 31 gennaio 2021
di ILARIA BIGNOTTI
Ci sono vari modi per raccontare l’opera di un artista in una mostra monografica: ci si può concentrare sul percorso cronologico e sull’evoluzione del suo linguaggio, su un tema che diventa cruciale nel corso della ricerca, sulle sue relazioni con un ambiente, un movimento, un materiale… Ci sono mostre che paiono elegie, mostre che sono manifesti, mostre che sono epigrammi e altre che paiono romanzi.
Il percorso dedicato alla ricerca di un artista fondamentale, quale Pablo Atchugarry (Montevideo, 1954), ponte tra la storia dell’arte contemporanea latino-americana e quella italiana, attraverso il linguaggio scultoreo monumentale, potrebbe essere paragonato a un peana: un canto di battaglia, intrepido e vitalistico, avvolgente e passionale, uscito dalla bocca dello scultore che da oltre cinquant’anni lavora con la materia, in un corpo a corpo dove, a ben vedere, pare sempre più difficile distinguere l’uomo dalla pietra, o dal metallo, o anche dal legno.
Per questo, lo spazio d’ingresso della Sala delle Cariatidi è stato infatti trasformato in un vero e proprio studio, carico di materiali, di calcinacci, di basamenti e di strumenti del mestiere: emergono dal ritmo incalzante le opere che, in questo antro-atelier ricostruito, sono fusioni in bronzo verniciato nei colori del rosso, del turchese, e altre sculture, anche in legno di ulivo ultracentenario, salvato dal rogo e riportato dalla mano dell’artista a nuova vita.
Proprio questa vita, questo atto germinativo che con foga si riverbera sulle forme così tese verso l’alto, o arrovellate in evoluzioni che dalla densità della pietra aspirano alla leggerezza impalpabile della luce e del fuoco, è al centro dell’intero progetto espositivo, sin dal titolo: Vita della Materia.
Lo stesso Marco Meneguzzo, autore del testo critico, evidenzia come dietro a questa scelta vi sia la volontà, come nel termine “Battito” che era parimenti in lizza per il titolo espositivo, di ricordare “un cuore che batte, o anche il martello – da un chilo e ottocento grammi, fedele compagno di Pablo – che sbozza il marmo… l’importante è che al centro di tutto ci sia la “materia” e la “vita”, che è, sì, quella della materia, ma anche quella dell’artista”.
Imprescindibili l’uno – lo scultore – all’altra – la scultura – in una fusione che letta oggi, davanti a circa vent’anni di ricerca – tanti sono quelli che corrono tra le datazioni delle opere proposte a Palazzo Reale – pare assolutamente unica e irriducibile.
Del resto, il racconto della vita di questo scultore, sin da quando, dopo le prime esperienze nella pittura – una pittura già oltremodo plastica, a ben vedere – si concentra, come folgorato, sulla scultura e in special modo sul marmo – e chi scrive è anche alquanto orgogliosa di evidenziare le ripetute relazioni di Atchugarry non solo con la città di Lecco, dove ha sede anche lo straordinario gioiello museale da egli stesso costruito, con le sue opere e altri lavori di amici artisti e maestri che lo stesso Atchugarry ha nel tempo raccolto e offerto allo sguardo del pubblico, ma anche con la città di Brescia. È qui infatti, tra le cave del marmo di Botticino, che lo scultore, giovanissimo, terminò la sua prima scultura in marmo, Lumière, nel 1979; ed è a Brescia che si dipartono le radici della madre dello scultore, Maria Cristina Bonomi, che assieme al padre lo esortarono, sin da adolescente, a non ripudiare, ma anzi a credere nella scultura, nell’arte, nella vita per l’arte.
E di questa vita sono carichi tutti i germogli scultorei, in Marmo statuario di Carrara, in Marmo rosa del Portogallo, in Marmo grigio Bardiglio, in alabastro: oltre 40, possenti eppure leggerissimi, sapientemente disposti, che fioriscono, come in un ideale “Giardino all’italiana”, seguendo le forme e le prospettive architettoniche e ornamentali della grande sala, in una straordinaria e coinvolgente “mise en abîme” delle relazioni formali tra l’antico, il classico, e il moderno senza tempo della scultura di questo grande artista.
Un peana, un inno a non smettere mai di amare, con la materia dura o friabile, il tempo e lo spazio, la luce e l’ombra della vita.
Di questo amore per la vita e l’arte è anche, e non va dimenticato, testimonianza l’attività di Pablo Atchugarry quale promotore e sostenitore dei giovani artisti e degli scambi tra artisti di diverse geografie culturali, grazie all’impresa della Fondazione che porta il suo nome, nata nel 2007 a Manantiales (Punta del Este) in Uruguay e da sempre distintasi per il sostegno della ricerca e della sperimentazione artistica.
Di questa energia del dare oltre che del ricevere, trasuda la mostra a Palazzo Reale. Una mostra che nutre, che dà gioia, che ci dice di credere ancora all’arte e alla sua potenza generatrice.
Ne avevamo bisogno.
Pablo Atchugarry. Vita della materia
a cura di Marco Meneguzzo
una mostra Comune di Milano Cultura, Palazzo Reale
Fino al 31 gennaio 2021
Palazzo Reale, Sala delle Cariatidi, Milano
Ingresso gratuito