ROMA | FONDAZIONE FILIBERTO E BIANCA MENNA | FINO AL 10 DICEMBRE 2023
di MARIA VITTORIA PINOTTI
Quel che si cerca per edificazione della propria ricerca è l’avanzamento e così, quando l’artista Nataly Maier (1957, Monaco di Baviera) si è dovuta confrontare con una materia inconsueta, qual’è la terracotta, ha inteso preferire uno sviluppo coerente ed una messa in forma inedita, ragionata e curiosa. A tal proposito, la mostra presentata dal Lavatoio Contumaciale e dal Tomav Experience, con il mediapartner Espoarte, intitolata Sullasoglia, a cura di Antonello Tolve ed in programmazione presso la Fondazione Filiberto e Bianca Menna di Roma, dal 14 ottobre al 10 dicembre 2023, raccoglie un cospicuo gruppo di opere prodotte dalla Maier nel periodo di residenza ad Albisola Superiore, a compimento della vincita, in relazione alla sezione pittura, della settima edizione del premio Arteam Cup. L’esposizione si caratterizza per un doppio registro che apre un’appagata parentesi sul modo di lavorare la terracotta, volta a stringere alleanze tra le diverse tecniche manipolatorie, inaspettatamente unite da spirazioni primitive. Eppure non è da sottovalutare l’elemento più ordinario del progetto, il chiaro riferimento alla ricerca di Giorgio Morandi, reinterpretato dall’artista senza alcun ambagio. Tale influenza artistica ha verosimilmente condotto la Maier verso un lucidissimo primitivismo, schiuso in un ventaglio di diramazioni che risiedono nell’inesplorato e candido cuore della materia.
Nonostante emerga fortemente un processo di deduttiva decostruzione che porta l’artista a lavorare su passati cicli di ricerca, quella della Maier si riconferma una indagine basata sull’assenza del dominio della rappresentazione, davvero incentrata sul colore, le forme e le diverse corrispondenze. Non paia assurdo, allora, immaginare le opere in mostra fantasiosamente collegate come dei vasi comunicanti, in cui la materia è dolcemente affondata dalle mani dell’artista, con ansia di conoscenza seppur priva di sopraffazione. Da qui si deduce come la Maier abbia compreso che l’essenza di un materiale può basarsi solamente sulla base di verità necessarie, interponendolo con la dovuta aggiunta, misurata si intende, manipolazione dell’elemento stesso. Ed ecco quindi che si stagliano, in un nucleo di pregio omogeneo e compatto, le opere ceramiche nettamente tagliate a metà, come dei punti cardinali di una unica forma. Quest’ultima scelta formale ritorna con convinzione ed in maniera preponderante in tutta l’esposizione, sancendo un’indagine di decostruzione della massa e facendo emergere inaspettatamente una continuità spaziale, formale e narrativa che si ritrova anche nell’allestimento proposto.
Difatti considerando la diversità dei linguaggi utilizzati, la mostra risulta variegata e ben definita allo stesso tempo, alla pari di un tracciato gregario rispetto alla parallela materia pittorica, la cui ricerca dell’artista è oramai nota al pubblico. Tanto avviene perché dagli studi della Maier emerge una misurata ed equilibrata intransigenza verso i confini pittorici, fotografici, ed in specie radiografici, sì da donare una visuale complessiva, per cui il valore ultimo delle opere risulta la sfumatura dell’argomento prescelto. Per tale ragione la vera realtà delle forme è di fatto opaca e soffusamente brillante, così da assumere una doppiezza di significato che l’artista restituisce in un perenne cangiante gioco di ombre, valorizzando proprio i limiti come vuole la ricerca Morandiana. Perciò le opere che ne derivano sono costitutivamente aliene da ogni aggressività, caratterizzandosi, invece, da studi velatamente e dolcemente esposti in cui l’aspetto primitivo emerge come una ispirazione autentica, verginale, incondizionata e pura. Per questa ragione sembra che l’artista paia osservare le cose con occhi in trasparenza e con il libero cuore, da cui si genera un’attenzione verso il sentimento dell’imperfezione volto ad ascoltare il battito dell’ordinario, per consegnarci, di contro, una visione dei volumi con spirito leggero, se non leggiadro.
Tuttavia, come già ricordato, anche se si deve registrare una rispettosa e sincera osservazione su Giorgio Morandi, similarità talvolta evidente, l’interesse verso la logica delle cose semplici era già un vivo sentore nella scelta della Maier, soprattutto nella sua estremizzazione pittorica, con porzioni di colore laterali accuratamente calibrate. Cosicché l’artista esegue una abduzione da tale mezzo che rimane assai utile ai fini concreti, dirottandosi verso nuovi progressi sui valori dell’equilibrio e della forma materica della terracotta incisa di netto, sì da stimolare nuovi visioni e campi di possibilità. A sottolineare tale intuizione è la consapevolezza dell’artista per cui i materiali hanno un’anima: da ciò deriva l’esigenza di indagarli tramite raggi X, non per una esattezza della rappresentazione e neanche al fine di una nota edonistica, piuttosto perché è conscia che dietro questa apparente semplicità v’è il formicolare di una forte complessità che intende fissare in modo duraturo.
Eppure, l’inaspettato fine della mostra è quello di condurci alla scoperta di una grammatica scultorea primitiva, nell’intenzione di mirare alla sua semplificazione, per tale ragione nelle opere in rassegna i dettagli scemano, quasi sfumando gradualmente e la purezza delle linee rivela un senso di determinatezza, marcando, allo stesso tempo, l’essenza delle forme e del vuoto che li racchiude. Proprio a tale scopo la fotografia è chiamata a mostrare i particolari, in specie nelle mani della Maier, l’arte plastica restituisce le forme con i mezzi più diretti e semplici possibili. Prova ne sia l’opera in mostra che è raffigurazione di un graffito di natura morta la cui bidimensionalità paradossalmente esala più delle altre la densità dello spazio. Dunque, il carattere primitivo, per cui la manipolazione è volontariamente consumata e debolmente elaborata, cifra l’imperativo dei tracciati espositivi, dimodoché l’artista valorizzi fino allo stremo la forma, le sue ombre e la lucida anima arcaica, quasi atemporale delle sue apprezzabili ed apprezzate reali mozioni di ricerca.
Nataly Maier. Sulla soglia
a cura di Antonello Tolve
14 ottobre – 10 dicembre 2023
Fondazione Filiberto e Bianca Menna
Via dei Monti di Pietralata 16, Roma
Orari di apertura: dal lunedì al giovedì, o su appuntamento
Info: +39 089 254707
+39 340 1608136
www.fondazionemenna.it