ROMA | Contemporary Cluster | 28 gennaio – 15 aprile 2017
Intervista a MUSTAFA SABBAGH di Isabella Falbo
«Da nomade quale sono, nel corpo e nel pensiero, è nella mia natura esecrare le comfort zones»
Mustafa Sabbagh
Contemporary Cluster è il nuovo spazio interdisciplinare diretto da Giacomo Guidi dedicato all’arte, al suono, alla gioielleria, al design, al food ed alla didattica, in cui i progetti e le processualità creative si coniugano attraverso il dialogo trasversale dei vari linguaggi, dove l’Arte non è considerata come un puro atto contemplativo, ma come un autentico atto di comprensione.
Dal Bauhaus alla Factory di Andy Warhol, l’oggettualizzazione dell’opera d’arte con l’intento di farla entrare nella vita quotidiana non è una novità, così come l’approccio interdisciplinare e l’idea di Opera d’Arte Totale che, dal Rinascimento a Fluxus, arriva fino ai giorni nostri; la novità è l’individuazione di uno spazio fisico in cui sviluppare a 360 gradi, attraverso mostre e attività, una sperimentazione trasversale della contemporaneità.
Reduce dal successo della sua prima mostra antologica al Museo ZAC – Zisa Zona Arti Contemporanee – a Palermo, Mustafa Sabbagh (Amman, 1961) ha di recente contribuito alla variazione del percorso espositivo a Palazzo dei Diamanti a Ferrara con l’opera inedita Venus in frame (2017), che ha preso il posto della tela di Sandro Botticelli Venere Pudica durante il prolungamento della mostra dedicata all’Orlando Furioso, ed ha presentato il progetto dal respiro museale Made in Italy – Handle with care nel solo show presso lo stand della Galleria Marcolini, ad Arte Fiera 2017.
Sabbagh sceglie oggi di esporre presso la fluxhall intermediale di Contemporary Cluster, a Roma, la sua celebre serie fotografica Onore al nero, sviluppata in due anni dal 2014 al 2016, e contribuire al “progetto anarchico” – come lo ha definito l’artista stesso – di Guidi, perché «Gli artisti non devono crearsi dei muri e delle sicurezze; non mi interessano le vittorie a tavolino, mi interessa tracciare nuovi solchi».
La sfida che hai affrontato a Contemporary Cluster è il superamento del concetto di mostra classica: perché ti ha interessato il progetto di Giacomo Guidi?
Il progetto di Giacomo Guidi traccia nuove strade nel fare arte del panorama italiano. Il vero rischio non è mai quello di fallire, quanto quello di essere retoricamente noiosi. Con Giacomo non ho mai subìto la noia della perfezione; ciò che è stato concepito e nutrito non è stata una mostra, ma un flusso artistico messo in atto su tutti i sensi, con tutti i sensi. Un artista che non si sfida, e non sfida il suo tempo, è semplicemente un vanaglorioso.
Andare oltre l’opera, allora, per ritrovare la quintessenza dell’atto artistico: non basta conoscere nozionisticamente la storia dell’arte, il nostro compito è quello di saperne cogliere la profondità del gesto. La lezione rinascimentale era quella di artisti che educavano all’arte intervenendo all’interno dei maggiori luoghi di aggregazione del loro tempo: quelli di culto, chiese e cattedrali. Nella contemporaneità il culto è il consumo, vissuto nelle cattedrali laiche dei locali notturni. Portare l’arte dove le persone si aggregano, diffondere il virus della cultura nei loro luoghi di culto, permetterne il consumo per educare i loro sensi. Niente di nuovo, se rifletti profondamente. È rinasci – mentale.
Come tu hai dichiarato, «Quando l’estetica si sposa con l’etica si raggiunge il sublime», ed ancora, «Le rivoluzioni si fanno in smoking»; il tema del progetto che hai presentato è “la ferita” fisica, sociale e culturale, attraverso cui hai sviluppato tematiche come la pena di morte, la coercizione e l’immigrazione nel tuo stile inconfondibile. Come hai affrontato la sfida al limite estetico?
Semplicemente, come tu stessa citi nella mia dichiarazione, l’estetica non è un limite, ma la più bella forma che un artista possa dare alla sostanza. L’estetica senza etica è edonismo, ma l’etica senza estetica spesso è retorica. È l’unione delle due che fa l’Arte, come i Maestri nella sua storia insegnano. Il vero limite è ridurre l’estetica al compiacimento: il dogma del piacere vuoto non mi appartiene.
Nella logica del dialogo intermediale di Contemporary Cluster, è estremamente interessante il modo in cui hai reificato temi attuali quali l’immigrazione, la pena di morte, la coercizione – fisica e mentale. Ce ne vuoi parlare?
L’esperienza artistica è qualcosa di ben più ampio rispetto ad una semplice mostra di opere fotografiche. Quello realizzato a Contemporary Cluster è stato un atto di cinica/clinica riflessione sulla società: una società ferita, con grande bisogno di anticorpi. Chi, più di un artista (dunque, di un Idiota…), può iniettare il virus salvifico della Bellezza? Cerco il pericolo come il mio più grande stimolo, e per mettermi in pericolo ho abbracciato un progetto totale, sinestetico e iperestesico – che si sentisse, si toccasse, s’indossasse, si odorasse, ci mettesse di fronte alle nostre paure. Di conseguenza, a partire da una ferita che abbiamo il dovere di guardare per cercare di guarire, e con il supporto di eccellenze per ogni settore professionale di appartenenza – come vuole il concetto di Cluster, e della clusterizzazione – ho realizzato oggetti di uso comune, per scardinare i luoghi comuni, dalla forte estetica (la forma) potenziati da una altrettanto forte etica (ciò che simboleggiano).
Un profumo distillato a partire dal sudore di operai immigrati finiti in pronto soccorso, racchiuso in una fiala, da iniettare in una siringa al suo fianco: cortocircuito dell’immigrazione come attrazione, accoglienza, da indossare sulla propria pelle. Una sedia elettrica le cui cinghie di cuoio, coercitive, possano essere sovvertite da strumenti di morte a gioco di piacere, da Thanatos ad Eros: è la mia presa di posizione contro la pena di morte, una ferita morale prima che legislativa.
Un collare ortopedico rivestito in leggerissime lamine di piombo e magnificato attraverso un cammeo-opera unica, ed un anello, da estrarre con una pinza chirurgica, modellato come un cerotto d’argento e d’oro, per magnificare le proprie ferite.
Una traccia audio, da me composta, che rendesse sinfonia il disturbo, la dissonanza, la distorsione, il dolore.
Infine, attraverso la mia lingua madre – una videoinstallazione e due opere fotografiche inedite – ho sentito forte il mio bisogno di rendere omaggio a Pasolini, ennesima enorme ferita culturale mai sanata, sulla sabbia di quel mare nero che mi appartiene, a Ostia, esattamente là dove lo abbiamo perso, perdendo ancora una volta la nostra umanità.
La compagnia performativa Nèon Teatro ti ha dedicato una pièce teatrale: in che modo ti stai approcciando anche al teatro?
Il teatro è uno dei linguaggi dell’arte: Nèon Teatro fa arte scardinando la concezione classica del movimento dell’attore sul palco, vista l’eccezionalità (nel senso più alto) dei performers appartenenti alla compagnia. Entrambi partiamo da un apparente senso di disagio per rivelarne ciò che è: è Arte, ed è una chiamata alle armi. Quella di Nèon Teatro è stata una dedica regalatami grazie a ciò che hanno ritrovato nelle mie opere come un comune sentire, raccontato attraverso due forme differenti nel linguaggio ma identiche nella matrice, artistica e umana. Profondamente grato a loro, ho composto delle tracce audio originali e lavorato sui backdrops di Invasioni per abbracciarli, ed abbracciare un’umanità meravigliosa da danzare, da guardare, da ascoltare. Dalla quale è nostro dovere lasciarci, finalmente, invadere.
[contemporary cluster #02 feat. mustafa sabbagh]
Scent design: Luca Maffei per afm – atelier fragranze milano [naso]
Francesca Gotti [packaging design]
Giacomo Bonaiti [packaging, glebanite]
Tommaso Cecchi De Rossi [packaging, cuoio]
Jewel design: Paolo Mangano
Furniture design: Retropose
Sound design: Claudio Coccoluto
Photo: courtesy Simone Passeri
Video: director Simone Passeri – music DubBlack Experience – Composed and produced by Claudio Coccoluto
28 gennaio – 15 aprile 2017
CONTEMPORARY CLUSTER – Roma
Info: +39 393 8059116
www.contemporarycluster.com