GALLARATE (VA) | Museo MA*GA | 12 marzo – 16 luglio 2017
Intervista a MARCELLO MORANDINI di Deianira Amico
Nell’amata città d’adozione, Varese, vive Marcello Morandini. La sua casa è una dichiarazione di poetica: una “forme à habiter” modulata sui colori del bianco e del nero cari all’artista. «Probabilmente il senso più vero della conoscenza di ogni forma della geometria è proprio quella di abitarla. Viviamo ogni giorno nelle forme, è giusto pretendere che quello che ci circonda sia concepito nel miglior modo possibile», afferma Morandini. Mentre parla, delinea con la penna una forma circolare, da cui ne dipartono altre, esattamente modulari. «Non sono un designer che si diverte a fare l’artista, ma il contrario. Il design che realizzo fa parte di una ricerca personale che parte dalle forme delle cose che utilizziamo tutti i giorni, dall’estetico al funzionale e viceversa, le due cose sono molto legate».
Come nasce un’opera d’arte, architettura o design?
Partiamo da una forma conosciuta, ad esempio una scala, che ha una sua funzione. Se a questa struttura geometrica applichiamo un movimento a spirale, ad esempio facendo ruotare di 45 gradi l’ultimo gradino della scala – un parallelepipedo – otteniamo una forma nuova. Facendo ruotare il secondo gradino, un’altra ancora. Una forma che si credeva acquisita, perché abitualmente sotto il nostro sguardo, non è vero che sia finita ma può dare infinite forme, la nostra fantasia e i nostri occhi potrebbero ovunque proporcene sempre di sorprendenti. Quando una forma si fa conoscere nel suo intimo questa può essere sviluppata come fatto abitativo, didattico, cromatico. La ricerca su una forma contribuisce a dare concretezza a quello che vediamo – anche se poco percepibile – e può esserci solo se esiste il desiderio di conoscere la struttura di ciò che ci circonda, ad esempio una scala.
Da sempre utilizza solo il bianco e il nero.
I colori bianco e nero sono come una grafia su un foglio, per leggere e per capire non è necessario nessun altro valore cromatico. La forma così può raccontare la sua logica e la sua bellezza.
Qual è il suo rapporto con la materia?
Ho sempre amato conoscere con quali materie era possibile tradurre in modo logico il mio lavoro. Il cartoncino è stato tra i primi materiali che ho utilizzato per realizzare modelli tridimensionali. Dopo le prime forme a cartoncino, ho cominciato ad usare il legno, dove riconosco una mia ricerca di poesia e di cultura delle cose naturali. Nel plexiglass, tuttavia, ho trovato il materiale che meglio rispondeva all’operazione logica insita nel mio lavoro.
Il museo MA*GA di Gallarate ospita un’ampia mostra a lei dedicata: 200 opere tra disegni, sculture, progetti di architettura, rendering e modelli e prodotti di design, realizzati dagli inizi degli anni Sessanta a oggi. “Non una retrospettiva ma un’esposizione da sfogliare”, ha dichiarato.
Mi piace l’idea di una mostra da vedere lentamente, una mostra da leggere. L’esposizione al MA*GA è a tutti gli effetti un’antologica, dove sono presentati opere d’arte, sculture, architetture e design realizzati a partire dagli anni ’60, un percorso che si sviluppa cronologicamente e per temi. Molta arte ed architettura, con poche opere di design, che raccontano sin dai miei esordi la continuità di un progetto di ricerca di forme nel campo dell’arte. Abbiamo voluto inoltre esporre la mia storia non solo con documenti d’archivio e fotografie, ma dando al visitatore la possibilità di leggere parte dell’autobiografia che sto scrivendo, dove racconto dei miei incontri e delle mostre più importanti, dagli inizi alla Biennale di Venezia – a 28 anni, solo quattro anni dopo aver iniziato la mia attività artistica, rappresentavo l’Italia – fino al mio trasferimento in Germania, dove ho trovato la possibilità di lavorare senza pressioni e politicizzazioni, e le grandi mostre museali che mi hanno visto protagonista. Tutto il lavoro di questi anni mi fa pensare che posso fare molto anche per la valorizzazione di quello che ho fatto. Le opere spesso vengono giudicate solo per un valore estetico, invece hanno un valore molto più complesso; indagarne la struttura può dare molto in diversi campi.
Quali sono stati gli incontri per lei più importanti negli anni delle avanguardie ottiche e cinetico-programmatiche?
Bruno Munari è stato un grande maestro. Ha insegnato come si possono vedere le cose. Io ho avuto contatti in particolare con Gianni Colombo, Paolo Scheggi e Getulio Alviani. Con loro ho fatto un po’ di strada per conoscere il mondo dell’arte. Tuttavia l’unico gruppo di cui abbia fatto parte è stato l’Arbeitskreis: ogni anno si elaborava un progetto su un tema specifico e questo diventava una piattaforma di confronto tra le ricerche di ognuno. Altri incontri sono stati per me fondamentali: quelli nati con l’Associazione Artisti di Varese, di cui sono Presidente da anni, e soprattutto quelli con gli studenti, avendo insegnato in Germania ed in Austria, oltre che a Brera. Fare l’insegnante è un grande arricchimento ed un problema di generosità nel dare e nel ricevere.
Cosa ne pensa della situazione attuale e del rinnovato interesse per le ricerche geometriche?
Non vedo delle scuole di pensiero o movimenti che possano giustificare attrattività da parte dei giovani. Vedo lavori intelligenti e sparsi ma non coerentemente inseriti in un contesto, come è stato in passato per l’Arte Povera e la Transavanguardia. Per quanto riguarda la mia generazione molti si sono ritirati, molti si ripetono e molti si sono confusi. Chi mi piaceva di più era Gianni Colombo che continuamente cercava emozioni nel campo dello spazio e della geometria, per il resto vedo una continua ripetizione: solo ricordi. Per me il pensiero di ricerca è attivo ogni giorno. Tutto quello che c’è in mostra è una preparazione per quello che devo ancora fare: non si tratta di fare una forma nuova, ma di trovare un senso diverso che aggiunga nuovo valore a quello che ho fatto finora.
In occasione dell’inaugurazione della mostra è stata presentata la Fondazione Marcello Morandini. Come nasce, quali sono gli obiettivi e come si inserisce nel contesto culturale cittadino?
La Fondazione nasce dalla fortunata coincidenza di un contributo di due collezionisti americani che hanno voluto facessi un mio museo. La Fondazione ospiterà le mie opere, esposte a rotazione nei due piani dello spazio, e promuoverà esposizioni internazionali, attività e conferenze nella direzione della ricerca geometrica. Questo 2017 lavorerò ad un mio catalogo ragionato, integrato dalla mia autobiografia, con l’elenco generale delle mie opere, completato da documenti e progetti, fotografie storiche, pubblicazioni, esposizioni e quanto sarà necessario alla conoscenza migliore e completa del mio lavoro.
Intervista tratta da Espoarte #96
Marcello Morandini
A cura di Marco Meneguzzo e Emma Zanella
12 marzo – 16 luglio 2017
Museo MA*GA
via E. De Magri 1, Gallarate (VA)
Info: www.museomaga.it