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NAPOLI | Museo Cappella Sansevero | fino al 17 marzo 2025
NAPOLI | Galleria Alfonso Artiaco | fino all’8 marzo 2025

di ANTONELLO TOLVE

Il duplice progetto di Darren Almond che si articola, a Napoli, tra gli incomparabili spazi del Museo Cappella Sansevero e la Galleria Alfonso Artiaco, è come un appuntamento al quale essere puntuali per leggere non solo il potere d’un pensiero che riavvolge il tempo con una temperatura riflessiva prossima all’origine, ma anche per avvertire la forza d’un gesto capace di riattualizzare – rievocare, rivitalizzare, richiamare, rinnovare – qualunque momento del passato.

Negli spazi della grandiosa Cappella, ad accogliere il visitatore sono sei morbide e limpide tele del 2024, tutte della stessa misura, ma tre verticali (200x153x3) e tre orizzontali (153x200x3), che, collocate su piedistalli lignei a forma di triangolo scaleno, creano una vibrazione, una scansione ritmica, quasi una sorta di danza liturgica attorno al Cristo velato (1753), opera realizzata da un allora appena trentatreenne Giuseppe Sammartino («una statua di marmo scolpita a grandezza naturale, rappresentante Nostro Signore Gesù Cristo morto, coperto da un sudario trasparente realizzato dallo stesso blocco della statua», a detta del suo committente Raimondo di Sangro). Ognuna di queste tele – una settima del medesimo ciclo si trova, da Artiaco, ad apertura, nella prima sala – è realizzata con la tecnica del dye-transfer (un processo di stampa fotografica a colori popolare tra gli anni Venti e Cinquanta del secolo scorso) e elabora un primo scenario su cui l’artista esercita, poi, delle pressioni del pennello. Il grande stupore che erompe nel guardare e studiare queste tele, nasce dall’apprendere che le immagini fotografiche da cui parte l’artista, così riccamente colorate, così spiegazzate come tanti panneggi d’apparente antica fattura, così mossi e aderenti ai tastes che si irradiano nella Cappella Sansevero, sono state scattate da Darren Almond a Londra, durante una visita al grande studio-appartamento di Lucian Freud (nel Kensington, a ovest di Hyde Park), divenuto oggi luogo di culto per molti artisti, studiosi e amanti d’arte.

Darren Almond, Fringilla Coelebs, 2024, dye transfer e acrilico su tela, 153x200x3 cm, ph. Peter Mallet.

Attratto dagli stracci sporchi di colore (molti dei quali ammassati per terra di fianco al termosifone, altri sparsi lungo l’area perimetrale dello studio) che Freud usava per pulire i pennelli, Almond decide infatti di fotografarli, di registrarli, di trattenere la presenza di un’assenza per imprimerla appunto su tela e colpirla, successivamente, con pennellate magistrali – dolci e incisive – che sembrano assecondare panneggiamenti, far nascere stupefacenti drappeggi barocchi, spericolati dinamismi materici. «Stoffe inanimate, macchiate di vernice, ma in qualche modo vive, movimentate dalle pieghe come onde che si rincorrono», scrive Artiaco nel testo che accompagna la mostra. «Le fotografie, stampate su grandi tele, sono state ridipinte dall’artista con pennellate e sfumature trasformando questo fluttuare in veri e propri paesaggi. Il colore steso da Darren Almond diventa così una sorta di sudario adagiato sui resti dell’attività pittorica di Lucian Freud, un segno di riconoscenza ed ammirazione verso uno dei più grandi maestri della pittura internazionale».

Darren Almond, Passer Domesticus, 2024, dye transfer e acrilico su tela, 153x200x3 cm, ph. Peter Mallet.

Se la pittura è cosa della cultura (cosa mentale, apostrofava Leonardo), ecco però che i titoli dati da Almond a queste sue opere, sono cose di natura, cose che vengono dal mondo dell’ornitologia (Leptotila Verreauxi, Passer Domesticus, Turdus Philomelos, Fringilla Coelebs, Zenaida Asiatica e Columba Palumbus): e forse questo è il tratto profondo che collega RAGS, la mostra alla Cappella Sansevero, a Songbirds and Willow, quella in Galleria Alfonso Artiaco, dove troviamo dei veri e propri apoftegmi visivi della natura e d’un mondo in cui la ciclicità del tempo scorre senza sosta. Qui, accanto a quella settima tela che fa da contrappunto (Columba, 2024) e da apertura, c’è, sempre nella prima sala, un segno religioso, un sacramento, The Eucharist (2024), seguito, nel secondo ambiente, da un trio avvolgente, cromaticamente croccante e cremoso: Coracias Garrulus (2024), Linavia Cannabina (2024) e Alauda Arvensis (2024). Dopo queste opere che nascono, anche loro, dall’attenzione mostrata per gli stracci dell’atelier freudiano (queste opere sembrano paesaggi grandiosi in cui smarrirsi), si passa ad altre cose: e precisamente alle atmosfere naturali che offrono le stagioni nel definire lo scorrere del tempo e nel mostrare l’incessante miracolo della rinascita.

Darren Almond, Songbirds and Willows, exhibition view, Galleria Alfonso Artiaco (Napoli 2025), ph. Grafiluce.

I sei splendidi Willowbank (2024) che troviamo nella grande sala che affaccia verso Sant’Angelo a Nilo e in quella (entrando) alla sua sinistra, non sono soltanto, come ci indicano i titoli, dei banchi di salici accarezzati dalle mani del vento, ma anche, mi pare, gelide folate invernali che ritornano e la cui pioggerellina a volte taglia l’aria con rasoiate di luce sottile (quasi a creare delle velature acquose): quanta attenzione dà l’artista alla luce!

Darren Almond, Songbirds and Willows, exhibition view, Galleria Alfonso Artiaco (Napoli 2025), ph. Grafiluce.

Nell’ultima stazione di questo disarmante itinerario si ha poi l’impressione, con i dieci Untitled (Willow), anche questi del 2024, di entrare in un ambiente primaverile, verzicante e scintillante, dai tratti pungenti che richiamano certe profumate, astratte leggerezze asiatiche, profuse in particolare negli inchiostri e nella xilografia: giapponese, cinese o anche coreana. L’oro, l’argento e il bronzo che caratterizzano queste dieci tele, sembrano riempire lo spazio di scintillii, di briosi brillii, di brusii, di rifrazioni luminose, esattamente le stesse che si percepiscono sugli specchi d’acqua dolce, nei pressi d’uno stagno o d’un lago, dove gli alberi (anche questi sono salici) si affacciano per guardare i propri desideri. «I wanted to make an exhibition that started in the spring, and I kind of was drawn to that idea of this rebirth again, or rebirth within nature. And I have this very vivid memory of being a small boy, and of learning of fish in a pond. And being really stuck in awe at the kind of beauty of this willow tree that was hanging over the riverside. And it’s the quality of light that you get bouncing off the surface of the water. And this kind of strong silhouette, this graphic, these graphic lines coming down, almost touching the surface. Now, it became appropriate for me to start to use metals because of the inherent material qualities that they have and how they respond and reflect light and situate you in the present. So I was making this step away from a media, being photography and lens based work, which primordially deals with memory, and I wanted to somehow start to make work that was anchored in the present tense. And I thought that these metals, by the very nature and how theyore activated by any light in a room, the change in light of the room, the metal seem to go looking for the light. And then you find these reflections and the reflection actually takes place within you. And this, I thought, was quite an interesting relationship to investigate».

Darren Almond, Songbirds and Willows, exhibition view, Galleria Alfonso Artiaco (Napoli 2025), ph. Grafiluce.

Questa doppia mostra, davvero un progetto speciale, nasce da una studio visit di Alfonso e sua figlia Ilaria all’artista dove, su una scrivania, il catalogo della Cappella Sansevero – acquistato da Almond in occasione della sua quinta personale in galleria (In Temple Grounds, 16/11/2019-04/01/2020), durante i cui allestimenti, ogni giorno, andava a contemplare il Cristo velato – è diventato illato lumine che ha infiammato la scena. «Mentre Alfonso Artiaco, la scorsa primavera, mi parlava delle visite di Darren Almond allo studio del pittore Lucian Freud e dei cumuli di panni che lo riempivano, mi domandavo dove volesse arrivare con quel racconto. Poi mi ha mostrato un video di una stanza con al centro un corpo coperto da un lenzuolo bianco e grandi tele alle pareti», ricorda Maria Alessandra Masucci, direttrice del Museo Cappella Sansevero. Ancora oggi, non riesco a rintracciare il percorso che la mente, o l’istinto, ha suggerito a Darren Almond per condurlo dagli stracci dello studio di Lucian Freud al velo del Cristo di Giuseppe Sanmartino, ma già di fronte al video ho sentito che quelle tele stavano riecheggiando il messaggio che Raimondo di Sangro, VII principe di Sansevero, ha lasciato scolpito nel suo testamento di marmo».

Darren Almond, RAGS

22 gennaio – 17 marzo 2025

Museo Cappella Sansevero
Via Francesco De Sanctis 19/21, Napoli

Info: museosansevero.it

 

Darren Almond, SONGBIRDS AND WILLOWS

21 gennaio – 8 marzo 2025

Galleria Alfonso Artiaco, Napoli
Piazzetta Nilo 7, Napoli

Info: alfonsoartiaco.com

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