VICENZA | Atipografia | 9 giugno – 17 luglio 2016
Intervista a MIRKO BARICCHI di Chiara Canali
È in corso a Vicenza, presso la storica tipografia di fine Ottocento, Atipografia, la mostra di Mirko Baricchi, parte di una programmazione annuale dedicata al tema dell’epochè, ovvero alla sospensione del giudizio. Questo tema era stato precedentemente analizzato da Denis Riva con Carte sospese e da Elisa Bertaglia ed Enrica Casentini con Erranza.
In questa occasione Mirko Baricchi espone una decina di grandi opere realizzate a tecnica mista su carta nel 2016, unitamente ad alcune tele in formato 30×40 cm, afferenti ad un ciclo dedicato alla natura morta e al paesaggio, oltre al video De Rerum (2015), realizzato in collaborazione con Uovo Quadrato, che presenta alcuni elementi ricorrenti nella poetica di Baricchi.
Hai voluto intitolare la tua mostra presso Atipografia Arché. Ben prima del nome chiamato termine che nella filosofia antica si riferisce a quella sostanza primordiale da cui derivano tutte le cose, quella “forza che determina il divenire [il mutare] del mondo, ossia è il “principio” che, governando il mondo, lo produce e lo fa tornare a sé” (E. Severino). Rapportato alla tua produzione artistica, l’Arché contraddistingue il principio creativo delle tue opere, che nascono in maniera quasi autonoma, o automatica, lasciando interagire lo spazio libero della carta con gli agenti atmosferici e con i pigmenti del colore. In un secondo momento interviene la gestualità controllata del segno che si inserisce nella trama visiva. Come interagiscono queste due fasi espressive all’interno del tuo mestiere di pittore?
Il divenire. Non pretendo nulla tantomeno di far retorica sul “principio” di tutte le cose, ma c’è un gesto che contraddistingue i miei ultimi 30 anni, un gesto necessario. Questo gesto è dapprima un lallare di neonato, poi una balbuzie che si fa più robusta da gracile, ogni volta che mi metto in discussione.
Le carte, è vero, si fanno belle sotto la pioggia, si rendono trasparenti e sedimentate d’impronte brevi, ma poi ecco il gesto, il piacere bellissimo del dipingere. Mi sorprende sempre. Credimi.
Negli ultimi due anni hai progressivamente sospeso l’utilizzo della tela a favore della carta come supporto che permette una stratificazione continua di elementi che vanno a costituire un racconto, una narrazione. La profondità e la stratificazione del pensiero non si trasmette più attraverso la matericità della pittura bensì tramite la liquidità, la trasparenza e l’opacità delle stesure successive… C’è stata una evoluzione, un ripensamento, nel tuo modo di fare pittura?
No. Nessun ripensamento, semmai, direi, che è inevitabile finire dove finisco. Come si può evitare? La matericità dell’intera superficie che abbraccia tutto l’aspetto del fare pittura ormai non la riconosco da tempo ma ciò non toglie che la materia a volte nella sua pasta sensuale mi compra e mi conquista, a piccoli tratti. Tutto qua.
In questa mostra sei però ritornato anche alla stesura su tela, attraverso momenti anche en plein air che costituiscono delle occasioni di riflessione su dettagli naturali, anche paesaggistici, a latere del corpo a corpo pittorico su carta.
Quali sono i tuoi riferimenti visivi e concettuali di questa pratica, anche in rapporto alla scena artistica contemporanea?
Si. Che meraviglia Chiara cara. Prendere il cavalletto, un cappello, e cercarsi un posto in mezzo a una vigna, un piccolo sgabello. Colline, una veduta. Magari piccola pioggia. Il gesto del corpo, l’ampiezza, intendo, è tutt’altra cosa, il polso, non la spalla. Mi sorprende Luc Tuymans e Andreas Erikssson, più che altro. E Morandi, tanto.
Dalle tue parole si evincono due termini che ti stanno profondamente a cuore: la luce e la materia. In che modo queste due dimensioni espressive interagiscono nella ideazione e composizione dell’opera?
La luce agisce in modo determinante nel pensiero del fare, di ciò che potrebbe. La materia avvilisce a volte e spesso tramite la prassi del concreto la luce, intesa come immagine primitiva, mentale. Comunque sono in rapporto reciproco fondamentale.
In che modo lo spazio denso di memorie e di vita anteriore dell’Atipografia ha influenzato la genesi e la proposizione di questi tuoi lavori?
Lo spazio? Poco, è stata una gran fortuna che alla fine le mie Opere interagissero così bene con queste mura pregne di storia e cicatrici di vita. Solo fortuna.
In un contesto meno frizzante e vivace, dal punto di vista espositivo e museale, come il triveneto, l’esperienza di Atipografia credi possa costituire un’opportunità per diffondere e valorizzare l’arte e gli artisti contemporanei?
Atipografia è sopratutto la passione vera delle persone che la costituiscono. Queste persone sono davvero una grande opportunità. Parola mia.
Mirko Baricchi
ARCHÈ. Ben prima del nome chiamato
Direzione artistica: Elena Dal Molin
9 giugno – 17 luglio 2016
Atipografia
Viale Campo Marzio 26, Arzignano (VI)
Info: +39 0444 1240019
info@atipografia.it
www.atipografia.it