VITULANO (BN) | Casa Turese | Fino al 15 giugno 2016
Intervista a MICHELE ATTIANESE di Beatrice Salvatore
Superfici cromatiche lisce, atmosfere rarefatte e sospese, come istantanee della quotidianità, attraversate da patine simili alle sgranature delle vecchie pellicole ─ una sorta di filtro della memoria ─, i dipinti di Michele Attianese, in mostra fino al 30 aprile presso Casa Turese, Vitulano (BN), sono come finestre su un mondo fatto di piccole azioni, attimi e luoghi marginali che appaiono svuotati e inabitati, senza più umanità. I lavori sono quasi monocromi, chiaroscuri resi con velature di grigi, con toni di verdi o gialli improvvisi. Percorriamo in macchina la strada, lentamente, e intanto rivolgo a Michele qualche domanda, come fossimo nel suo studio a parlare del suo lavoro per capire come sempre mi piace fare, quello che muove lo sguardo, cosa c’è “dietro” un pezzo finito e portato poi in esposizione.
Hai scelto la figurazione nei tuoi lavori e i tuoi soggetti sono individui isolati che compiono azioni minime o immagini di folle o ancora di architetture urbane spesso abbandonate. Qual è il mondo che racconti?
Il mondo che racconto sono io, le mie esperienze, i luoghi e gli spazi che in qualche modo mi interessano. Attraverso la pittura cerco di capire più approfonditamente perchè quel luogo o quei soggetti mi attraggono, capisco spesso che il desiderio da cui scaturisce l’elaborazione di un’opera è dato dalla voglia di raccontare e approfondire un immaginario in me già presente e stratificato. Come deja vu che innescano un ulteriore approfondimento su se stessi.
Nel tuo linguaggio pittorico, usi spesso delle patine o delle macchie, da cosa scaturisce questa scelta?
In realtà le macchie sono il risultato di un percorso di contaminazione tecnica, in cui spesso il risultato si muove sul crinale dell’imprevisto, della scoperta. Credo infatti che la pittura sia un viaggio che a volte, quando si è fortunati, sveli sorprese inaspettate durante il percorso.
Quali sono gli artisti che ami e che hanno influenzato il tuo lavoro?
Tutti gli artisti influenzano il mio lavoro, soprattutto quando non ne sono consapevole. Credo che a livello inconscio ci sia un’elaborazione forte e prolifica che emerge quando il processo è maturo e la cosa affascinante è che il processo non è mai lo stesso. Gli artisti creano stimoli importanti anche per gli altri artisti non solo per il pubblico. Lasciare contaminare il proprio lavoro con riflessioni provenienti da altre opere credo sia un bene, bisogna essere sensibili e ricevere con lo spirito giusto, la propria cultura e con il proprio linguaggio ovviamente. L’opera d’arte è un dono per tutti.
Vedo, soprattutto negli ultimi lavori, quasi in contrasto al resto della figurazione, una linea netta e bianca che attraversa la superficie. Da cosa nasce questo segno?
Nel mio lavoro è stata sempre presente una componente per così dire “grafica”. L’esigenza dell’apposizione del segno bianco è emersa a poco a poco durante gli ultimi due/tre anni di lavoro, in realtà credo che il segno sia un catalizzatore, un elemento che mescoli le carte e inneschi una lettura del lavoro a più livelli e questo mi interessa molto.
Tu hai una formazione da architetto, ma hai scelto come medium privilegiato la pittura. Mi racconti questa evoluzione e in che modo il tuo sguardo ne è influenzato?
Ho sempre avuto grande curiosità per le cose che non capivo e che in qualche modo volevo approfondire, aver studiato architettura e soprattuto averlo fatto a Napoli, mi ha dato la consapevolezza che per capire le cose bisogna aprirsi, essere “foglio bianco”. La pittura secondo me ha una capacità di riflessione “a più livelli”, credo che da questo punto di vista sia un medium ancora “sperimentale” che mi attrae molto e influenza il mio sentire e vivere la vita molto profondamente.
Come dipingi? Hai un momento che preferisci, hai davanti alla tela o alla tavola già l’idea dell’impianto che vuoi realizzare, mi racconti come evolve un tuo quadro?
In realtà dipingo sempre, nel senso che penso sempre alla pittura, pensare è una parte fondamentale del mio lavoro, comporre nella propria testa è gia un primo passo importante. Spesso uno sguardo, una foto o una visione collimano con l’idea fluttuante che si ha dentro, si innesca un processo di lavoro che porta a far diventare l’idea solida. Il risultato è sempre scostante dall’idea iniziale, ma grazie a questo processo di elaborazione, sovrapposizione e stratificazione risulta arricchito di nuovi contenuti.
Michele Attianese. Periphery
a cura di Marcella Ferro
27 febbraio – 15 giugno 2016
Casa Turese
Via Fuschi di Sopra 64/87/89, Vitulano (BN)
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