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GALATINA (LE) | GIGI RIGLIACO GALLERY | #Review

di FRANCESCO PAOLO DEL RE

Ruiate, trovate alla Massimo Ruiu: le definiscono così scherzosamente i suoi amici, con il beneplacito sornione dell’artista. In realtà non sono semplici trovate a effetto, piuttosto arguti giochi intellettuali basati su polisemie spiazzanti, cortocircuiti interpretativi ed esasperazione di luoghi comuni. Si presentano in forma di installazioni, sculture, assemblaggi, oggetti modificati e dipinti per i quali Ruiu adopera materiali disparati, dal sale agli apparecchi radiofonici, dai tappeti ai libri, dai pallini da caccia alle chiocciole. È tutta arte a Km 0, come recita il titolo della corposa mostra personale orchestrata nell’ampio spazio espositivo ancora fresco di inaugurazione di Gigi Rigliaco a Galatina in provincia di Lecce, che dal centro si è spostato in periferia per aumentare volumi e metrature.

Massimo Ruiu, Un brutto tiro, 2013

Con la volontà precisa di contrastare una diffusa esterofilia tipicamente provinciale, forse una peculiarità tutta italiana che vede nelle esperienze artistiche importate più che nelle ricerche autoctone una qualche garanzia di innovazione e di sicura appetibilità per il fatto stesso di arrivare da fuori, Massimo Ruiu fa della località della sua arte un punto d’onore e una dichiarazione programmatica per dimostrare che un’arte di prossimità, se esercitata con rigore metodologico, profondità poetica e spirito cosmopolita, può parlare appropriatamente un linguaggio contemporaneo e intercettare le domande del presente in modo incalzante, fascinoso e arguto.
Mezzo pugliese e mezzo romano, eppure con un cognome sardo, Ruiu ha uno studio sia nella Capitale che a Galatina in Salento, a una distanza di cinque chilometri dalla galleria. È proprio su questa vicinanza che si misura l’attitudine ironica del titolo, preso da un’opera del 2019, la prima ad accogliere il visitatore nel percorso espositivo: una pietra miliare resa mobile grazie all’inserimento sotto di essa di quattro ruote, che contraddice la sua fissità riposizionando di volta in volta il proprio punto di riferimento rispetto all’orizzonte mobile di un viaggio perenne.
Lo smascheramento della relatività delle coordinate geografiche e dei sistemi interpretativi che ci situano nello spazio, nel tempo e dentro un sistema di segni di volta in volta suscettibili di fraintendimenti è spesso argomento della riflessione artistica di Massimo Ruiu. Così, in un continuo entrare e uscire dall’autobiografia che si fa universo e sentire condiviso, il punto zero delle misurazioni topografiche si presta a essere portatile, ancorandosi ogni volta in un posto nuovo, mescolando la poesia con il linguaggio pop. Se l’opinione pubblica, sull’onda lunga dell’attenzione ai cambiamenti climatici e a un rinnovato atteggiamento etico dell’uomo rispetto allo sfruttamento delle risorse naturali, predilige i prodotti provenienti da filiere sempre più corte e a impatto ambientale sempre più contenuto, allo stesso modo l’arte di Ruiu rimette in discussione le distanze e rigetta esotismi ed effetti speciali, prediligendo affetti minimi e suggestioni povere, nella spoliazione delle forme e anche nella semplicità dei materiali.

Massimo Ruiu, La memoria del mare, 2020

È un’arte che punta sempre a Sud, quella di Ruiu. Il Sud è il punto cardinale del suo cammino artistico, orienta la bussola del cuore ed evoca narrazioni amniotiche che non perdono mai una sapidità mediterranea, laddove l’ironia spesso si mischia alla nostalgia con un sentimento baroccheggiante che viene rigidamente controllato da un rigore formale esercitato con sapienza.

Come nelle narrazioni ancestrali che di Sud e nel Sud baluginano, il mare è il sottofondo e la memoria è quella del mare, ossificata in cristalli di sale, non più onde, che si accumulano in montagne da scalare. Una fatica che appare quasi mitologica; si trovano a compierla uomini nudi sorpresi in un eterno vagare. Gli acquerelli incontrano la materia salina che si dà senza trasformazioni, nella sua grezza semplicità, attribuendo alla pittura un portato scultoreo e oggettuale, così come la fotografia per Ruiu è pittorica e spaziale, capace di dire i buchi dello sguardo e il fallimento della visione.

Persino il tempo è un promemoria che si fa scultura da tavolo, un osso da annodare come facevano le nonne con i fazzoletti, e tra memento mori e arsure saline il mito echeggia con potenza in particolare in un lavoro fotografico del 2000 che reinventa un’impossibile sirena di gusto quasi dedominicisiano nell’incontro tra un pesce e un teschio umano: un Frankenstein che può riprendere, appena un attimo, vita con un occhio ittico che riempie l’orbita vuota del trapassato, nel moto ondivago di una comunicazione che dice di morti e rinascite, di tradimenti e perdoni.

Massimo Ruiu, Promemori

Sud di echi e narrazioni, per Ruiu. Sud di orizzonti da osservare, misurare, raddrizzare. Il passaggio del tempo calcola l’unica variabile possibile, l’umano, in un identico mare osservato e fotografato nel 2005 a distanza di sette minuti, presentato in un dittico di sacrale impotenza. È sempre lo stesso mare quello da cui si parte o si torna, con un pensiero che abbraccia le vicende dei primi sbarchi di profughi dall’Albania, eco di fughe smemorate e presagio di innumerevoli migrazioni ulteriori, su un Adriatico interrogato come un oracolo, attraverso un vecchio apparecchio radiofonico che cerca risposte sintonizzandosi soltanto su onde di frequenza morte e riecheggianti di disturbi fantasmatici.

La ricerca di una misura rivela il suo limite ma, nonostante questa fallacia, si assesta in una condizione di equilibrio: è Il mio livello, installazione del 2020 che viene presentata per la prima volta in occasione di questa mostra, il livello di un vecchio banco di scuola il cui piano verdemare si inclina per una piccola pila di libri provenienti dalla biblioteca dell’artista che sollevano una delle sue gambe, restituendo orizzontalità a un mare fotografato e incorniciato nella sua stortura che posato sul piano ritrova la sua riconoscibilità. Orizzonte inclinato, orizzonte da raddrizzare, in una parabola personale che si apre a riconoscimenti più ampi, di respiro generale.

Massimo Ruiu, Il mio livello, 2020

Percorsi di crescita, libri che fuori della metafora sono puntello e gradino per tentare un’elevazione, nella dialettica di un equilibrio sbilenco frutto di aggiustamenti e compensazioni, in un orizzonte linguistico che si scrive e si riscrive incessantemente, immersi nel quale anche le parole che usiamo si fanno veste, velo, per svelare o rivelare significati impliciti, paradossi estetici, vizi di cortesie posticce di un politicamente corretto che troppo perdona.

Lo spirito caustico di Massimo Ruiu si esercita dunque come spinta critica, come dichiarazione della nudità del re, e la scena delle cose dell’arte è il suo campo di azione privilegiato. Così, rendendo concreto un modo di dire, che da figura del linguaggio diventa modo di fare, ecco il Velo pietoso, dispositivo mobile di sovvertimento estetico, che nelle intenzioni dell’artista chiunque può usare per ridefinire, commentare ed emendare quello che si pone nel cerchio dello sguardo, semplicemente poggiandolo e in questo modo denunciando più che coprire.

Massimo Ruiu, Velo pietoso

Il gioco della trasparenza del velo è lo stesso del mare, di quel mare simulato e dissimulato da Ruiu imitando le forme degli azulejos su cui si dipingono pesci parlanti che sono testimoni di un abisso di possibilità e di fallimenti, di un mare-tomba dove riposano muti quanti non sono riusciti a oltrepassare, di quel mare che si fa intrappolare in una pellicola plastica che una carrucola solleva intrappolando una Razzanera.

Massimo Ruiu

I pesci che popolano le visioni di Massimo Ruiu sono simulacri di storie sospese, nascoste, non dette, destini falliti o riemersi che nell’affioramento innescano dialoghi impossibili nelle pieghe del tempo, nei non-luoghi della memoria o del cuore.

La presenza della morte, la sottigliezza del velo che separa le regioni del conoscibile e dell’inconosciuto, è una costante di questa ricerca linguistica e metalinguistica, che nell’al di là anche del linguaggio stesso trova spesso un compimento, una procrastinazione, un aggiustamento semantico ed esperienziale.

Vive di ossimori l’arte di Ruiu, come nel Brutto tiro dei pallini da caccia usati per decorare o come nelle chiocciole che sembrano inerti e invece sono protagoniste di intelligenti atti di eco-vandalismo. Tale infatti è quello operato all’esterno dello spazio espositivo, dove l’artista scrive Suca sovrapponendo i gusci delle lumache all’insegna della galleria.

Massimo Ruiu, Suca 

Messo al tappeto, per il colpo ultimo della Nera Signora, Massimo Ruiu è sempre lì, come il pugile gigante del 2019 formato da porzioni di tappeti di origine diverse ricuciti insieme, già visto in mostra al Museo delle Genti d’Abruzzo di Pescara, che campeggia al centro dello spazio espositivo di Rigliaco, anti-monumento della caduta e dello sprofondo. I visitatori lo calpestano, ci camminano sopra in un esorcismo sulla paura che è anche un discorso sull’oppressione e sulla liberazione.

Massimo Ruiu, Boxer gigante finito al tappeto calpestabile

 

La lettura sociale dell’arte di Ruiu si fa qui più palese, con un sorriso agrodolce, come nel cortocircuito linguistico del libro Le mie prigioni di Silvio Pellico serrato da un lucchetto che non si può aprire, o nella potente scultura La questione meridionale, definibile probabilmente un ready-made riscritto. Semplicemente, un cucchiaio infilzato su un piedistallo trasferisce un criterio di ordinamento cartografico su un dispositivo metaforico e immagina che il manico sia il Nord e la concavità della posata sia il Sud.

Massimo Ruiu, La questione meridionale

La mostra, sapientemente curata da Carmelo Cipriani che del lavoro di Ruiu è profondo conoscitore, suggella la vittoria da parte dell’artista dell’edizione 2019 del Premio di Pittura “Giuseppe Casciaro” con una selezione di opere rappresentative di vari momenti della ricerca ruiana, affiancati secondo criteri tematici e non cronologici, per mostrare una comune sintonia, un filo rosso che lega tutto al di là delle scelte espressive di volta in volta operate.

Parallelamente alla mostra in galleria, il Palazzo della Cultura di Galatina ospita invece un focus sulle Ombre Assolute, presentando otto opere appartenenti a un ciclo sviluppato negli ultimi vent’anni basato su un felice equivoco della percezione, che aggiunge materia laddove l’artista opera una sottrazione, opera al nero costruita sull’inganno dell’occhio.

Massimo Ruiu dalla serie, Ombre assoluta

 

Massimo Ruiu. Km 0
a cura di Carmelo Cipriani

Mostra chiusa il 2 novembre 2020

Gigi Rigliaco Gallery
Via Adige 32, Galatina (LE)

Info: +39 329 6872838
artgallery.rigliaco@virgilio.it
www.artandarsgallery.com

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