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FIRENZE | PALAZZO STROZZI | FINO AL 20 GENNAIO 2019

di Paola Valenti

“Nessuna dimora stabile, movimento permanente, contatto diretto, relazione locale, autoselezione, superare i limiti, correre rischi, energia mobile, nessuna prova, nessun finale prestabilito, nessuna replica, vulnerabilità estesa, esposizione al caso, reazioni primarie”: sono queste dichiarazioni, espresse nel manifesto Art Vital e riportate su un pannello nel cortile di Palazzo Strozzi, ad aprire la mostra antologica di Marina Abramović a Firenze, visitabile fino al 20 gennaio 2019. La stesura del manifesto risale al 1977, a due anni dall’inizio dell’intensa relazione sentimentale, intellettuale e professionale che ha unito la performer montenegrina all’artista tedesco Ulay: i concetti in esso espressi creano il tessuto connettivo tra le opere allestite nei locali della Strozzina (dove ha inizio il percorso di visita, introdotto da una sezione dedicata agli esordi della Abramović, con lavori disegnativi e pittorici poco noti al grande pubblico) e nelle prime stanze al piano nobile di Palazzo Strozzi, dove sono documentate – attraverso fotografie, proiezioni video a monitor o a parete, allestimenti dei “set” delle azioni e reenactment affidati a giovani collaboratori – alcune tra le più celebri performance svolte dall’artista da sola o in coppia con il compagno.

Marina Abramović Rhythm 0 1974, slide show, tavolo con 72 oggetti della performance, pannello di testo, cm 80 x 400 x 80. New York, Abramović LLC
Courtesy of Marina Abramović Archives e Lisson Gallery, London, MAC/2017/025. Marina Abramović by SIAE 2018

Sono azioni che appartengono, per lo più, alle serie Rhythm (Abramović) e Relation (Abramović e Ulay) e che esplorano il terreno delle relazioni interpersonali con modalità del tutto inedite all’epoca della loro realizzazione (tra la seconda metà degli anni Settanta e la prima degli anni Ottanta) e capaci, ancora oggi, di fare emergere la conflittualità e in molti casi la violenza che lo pervade: i documenti audiovisivi mostrano il pubblico che umilia la giovane artista e infierisce sul suo corpo usando su di lei e contro di lei settantadue oggetti disposti su un lungo tavolo, tra i quali, come è noto, una pistola e alcuni proiettili (Rhythm 0, Napoli, Studio Morra, 1974); restituiscono le immagini di Marina e Ulay che, dirigendosi nudi l’una verso l’altro, si scontrano con sempre maggiore veemenza (Relation in Space, Venezia, Biennale internazionale d’arte, 1976) e quelle dei due costretti dai loro capelli intrecciati a sedici ore di immobilità, schiena contro schiena (Relation in Time, Bologna, Studio G, 1977).

Ulay/Marina Abramović Rest Energy 1980, video 16mm trasferito su supporto digitale (colore, sonoro), 4’04”. Amsterdam, LIMA Foundation. Courtesy of Marina Abramović Archives e LIMA,
MAC/2017/034. Credit: © Ulay/Marina Abramović.
Courtesy of Marina Abramović Archives. Marina Abramović by SIAE 2018

La mostra fiorentina documenta altre azioni condotte dai due artisti nella seconda metà degli anni Settanta, tra le quali si distinguono per la loro perturbante intensità Breathing In/Breathing Out (diciannove minuti trascorsi rimanendo inginocchiati, con le bocche serrate una contro l’altra a inalare ed espirare l’ossigeno trasformato in anidride carbonica, Belgrado, SKC, 1977); Light/Dark (un ritmo crescente generato dal reciproco colpirsi sul viso, con l’idea di esplorare la sonorità dei corpi); Rest Energy (la “rappresentazione più estrema possibile della fiducia”, per usare una definizione di Abramović, affidata a un arco tenuto da entrambi in tensione, con una freccia stretta tra le dita di Ulay e puntata contro il cuore di Marina).
Fino a questo punto, l’intento di Abramović di fare di The Cleaner una occasione per riflettere “sulla propria vita, di cui – come in una casa – si tiene solo quello che serve” (come scrive il curatore, Arturo Galansino, nel saggio che apre il catalogo della mostra) si rende chiaramente intellegibile e la selezione delle opere risulta assai efficace nel mostrare – come sopra anticipato – la sostanziale coerenza dell’operato dei due artisti con i principi da loro espressi nel manifesto Art Vital. Con i lavori di coppia della prima metà degli anni Ottanta, connessi ai viaggi che li hanno portati in angoli remoti del mondo alla scoperta di nuove culture e alla ricerca di nuove spiritualità, tale coerenza inizia progressivamente a sfumare e anche l’intento di “fare pulizia” per lasciar solo l’essenziale appare meno mirato: le sale espositive si popolano di oggetti collegati alle ventidue performance della serie Nightsea Crossing, a loro volta immortalate in gigantografie a colori che stemperano il portato filosofico, concettuale ed emotivo delle azioni in una raffinata estetica fatta di stupende ambientazioni, precise simmetrie e ricercati rapporti cromatici. Ma è la documentazione video relativa a The Lovers a segnare il momento culmine del percorso espositivo (così come della vicenda biografica di Abramović), dal punto di vista sia artistico sia emozionale: il 30 marzo 1988 i due artisti danno avvio alla titanica impresa che li vedrà impegnati a percorrere la Muraglia Cinese, partendo lei dall’estremo orientale e lui da quello occidentale, originariamente con lo scopo di incontrarsi a metà strada e celebrare la loro unione con un matrimonio.

Marina Abramović The Artist is Present 2010
installazione video a 7 canali (colore, senza sonoro) New York, Abramović LLC. Courtesy of Marina
Abramović Archives e Sean Kelly, New York,
MAC/2017/071. Credit: Photography by Marco Anelli. Courtesy of Marina Abramović Archives Marina Abramović by SIAE 2018

Coloro che visitano la mostra accompagnati dall’(ottima) audioguida che usa a commento delle varie opere brani estrapolati dall’ultima autobiografia di Abramović Walk Through Walls (ed. it. Attraversare i muri, Bompiani, 2018), apprendono dalla voce dell’artista come il momento dell’incontro si fosse risolto, per lei, in un doppio tradimento, quello delle promesse di un amante, ormai non più intenzionato a portare avanti un rapporto sentimentale, e quello delle basi del loro sodalizio artistico: nel racconto di Marina, infatti, Ulay si sarebbe fermato ad aspettarla in un punto ritenuto particolarmente fotogenico, distruggendo l’idea che stava alla base di quella performance, e più in generale della parte più autentica del loro lavoro, per motivi estetici. In realtà, accorgersi solo a quel punto del ruolo assunto dalla componente estetica era un po’ come gridare “il re è nudo”: questa incoerenza introduce alla terza e ultima parte della mostra dove le contraddizioni rispetto agli assunti di partenza esplodono e dove le prescrizioni di Art Vital vengono quasi tutte disattese: con l’eccezione dell’indimenticabile Balkan Baroque, la performance/installazione che, durante la Biennale di Venezia del 1997, ha visto l’artista impegnata per sei ore al giorno e per quattro giorni consecutivi a lavare ossa bovine insanguinate per denunciare la tragedia della guerra nei Balcani, le opere scelte per quest’ultima sezione documentano la recente attività di una artista straordinaria che, raggiunto ormai il meritato successo, pone al centro del proprio lavoro se stessa non in quanto “corpo politico” (con i molteplici significati che tale definizione ha assunto nel corso della sua lunga carriera) bensì in quanto protagonista della scena artistica internazionale, seguendo una traiettoria che culmina nell’oramai celebre performance The Artist is Present, che ha visto l’artista impegnata a ricevere su di sé per 736 ore lo sguardo di 1675 visitatori del MoMA di New York.

Marina Abramović Balkan Baroque (Bones)
1997, video a un canale (b/n, sonoro), 9’42”. New York, Abramović LLC. Courtesy of Marina
Abramović Archives e LIMA © Marina Abramović.
Marina Abramović by SIAE 2018

Alla luce di ciò, viene naturale volgere in domanda la seconda parte del titolo di questa recensione e chiedersi se ciò che Marina Abramović ha deciso di conservare dopo aver messo in funzione il meccanismo di The Cleaner sia davvero la parte essenziale e più rappresentativa di sé e del suo percorso artistico: probabilmente è così ma, usando la metafora della casa a lei tanto cara, si esce dalla mostra di Firenze con l’impressione di avere visitato le case di due persone diverse.

Marina Abramović. The Cleaner
a cura di Arturo Galansino (Fondazione Palazzo Strozzi, Firenze), Lena Essling (Moderna Museet, Stoccolma), con Tine Colstrup (Louisiana Museum of Modern Art, Humlebæk) e Susanne Kleine (Bundeskunsthalle, Bonn)

21 settembre 2018 – 20 gennaio 2019

Palazzo Strozzi
P.zza Strozzi, Firenze

Orari: tutti i giorni inclusi i festivi 10.00-20.00 | giovedì 10.00-23.00

Info: +39 055 2645155
info@palazzostrozzi.org
www.palazzostrozzi.org

 

 

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