REGGIO EMILIA | COLLEZIONE MARAMOTTI | 14 APRILE – 28 LUGLIO 2019
Intervista a MARGHERITA MOSCARDINI di Chiara Serri
Nella Pattern Room della Collezione Maramotti, stanza completamente vetrata in cui venivano realizzati prototipi di abbigliamento, Margherita Moscardini riproduce un vero e proprio showroom, all’interno del quale è possibile visionare 61 modelli di fontana, “illustrati” (ma anche trasfigurati) a pigmento puro su carta a partire da strutture realmente esistenti, censite all’interno del campo per rifugiati di Za’atari, in Giordania. Accanto alle carte, la stanza ospita anche una planimetria del campo, un video e un tavolo di lavoro che introducono il visitatore ad un progetto di grande respiro – The Fountains of Za’atari – che, dopo la presentazione nel 2018 alla Fondazione Pastificio Cerere di Roma, si attiva per la prima volta a Reggio Emilia come dispositivo completo. La fontana numero 32, grazie all’impegno della Collezione Maramotti, è diventata infatti opera pubblica, collocata all’interno del Parco Alcide Cervi. Per volontà dell’artista, la fontana potrà presto beneficiare di una giurisdizione speciale con elementi di extra-territorialità, pur poggiando sul suolo nazionale. Com’è possibile tradurre in termini plastici la condizione di chi è senza stato? Ecco una possibile risposta…
The Fountains of Za’atari è un progetto articolato, che si è sviluppato in diverse fasi. In quali anni se ne può rintracciare l’origine?
Tra il 2015 e il 2016 il mio interesse su come cambiano le città si è spontaneamente legato alle emergenze del presente, dalla crisi dei rifugiati a quella dello stato nazione in Europa. La distruzione della Siria e la diaspora siriana esprimevano l’inadeguatezza del nostro modello di cittadinanza e la possibilità di immaginarne un altro, fondato sulla condizione di chi è senza Stato e ha a che fare direttamente con la città, anziché con la territorialità nazionale.
Da qui la scoperta del campo per rifugiati di Za’atari…
Quando ho scoperto il campo per rifugiati di Za’atari, non ho scoperto soltanto una città nata e cresciuta dal deserto in pochi mesi, ma ho scoperto anche le idee e le proposte di molti esperti, convinti che i campi per i rifugiati debbano essere ripensati come città che durano. La durata media di un campo è stimata attorno ai 17 anni. I campi palestinesi di Amman, ad esempio, oppure quelli in Libano, esistono da oltre 50 anni. Eppure continuano a essere pensati come temporanei. L’emergenza di chi è costretto a spostamenti di massa può essere un’opportunità per creare modelli urbani virtuosi da esportare, dove nuovi sistemi e metodologie possono essere sperimentati, in termini di sanità, istruzione, ambiente materiale, economia e governance. Ogni epoca ha offerto il proprio modello urbano. Se la mobilità e gli spostamenti forzati di massa sono il paradigma del tempo presente, possono i campi per rifugiati diventare le città del futuro e addirittura nuovi modelli di cittadinanza? Za’atari è un campo che funziona, che ha sperimentato modelli all’avanguardia di distribuzione degli aiuti, di servizi e infrastrutture. Ha un’economia interna vivace, ma resta un campo con il suo costruito informale.
Tra il 2017 e il 2018, insieme alla giornalista Marta Bellingreri e all’ingegnere Abu Tammam Al Khedeiwi Al Nabilsi, hai realizzato un censimento dei cortili con fontana a Za’atari, per estensione la quarta città della Giordania. Come mai la tua attenzione si è concentrata proprio sulla fontana? Quali sono i significati culturali e simbolici ad essa sottesi?
Non ho particolare interesse nelle fontane. Esse tuttavia esprimono il desiderio (e il diritto) dei residenti di sentirsi a casa, sebbene la gran parte di loro, almeno fino allo scorso anno, volesse tornare in Siria. All’inizio i residenti del campo di Za’atari ricevevano una tenda destinata all’intero nucleo familiare; poi la tenda è stata sostituita con un caravan, che le famiglie, su iniziativa privata, hanno iniziato a spostare e aggiungere attorno ad un vuoto. Il caravan da casa è diventato stanza, replicando in qualche modo il modello della casa araba tradizionale. I cortili (con spesso al centro la fontana) sono tante cose assieme. Esprimono il bisogno di permanenza. Sono tra i pochi elementi costruiti di cemento all’interno del campo, dove i materiali della “permanenza” sono vietati (anche gli alberi, all’inizio) perché tutto deve restare temporaneo. Nell’architettura tradizionale della casa araba il cortile è un elemento centrale, uno spazio semi-pubblico che connette la dimensione privata della casa con la città, il mondo. Tradizionalmente, hanno diverse funzioni: sono dispositivi di regolazione della temperatura e luoghi che riflettono i precetti religiosi e i costumi. Sono piazze private, dove di sera la famiglia si riunisce con gli ospiti.
Quale “chiave” hai usato per raccontare il campo?
I cortili sono i monumenti privati della città di Za’atari, e questa è la chiave che ho usato per narrare il campo. Il cortile è anche un vuoto, che nella Gerusalemme biblica, ad esempio, esprimeva un altro modo di intendere la cittadinanza (rif. Donatella Di Cesare, Stranieri Residenti, Bollati Boringhieri, 2017): essere straniero e residente allo stesso tempo, diversamente dalla spartizione moderna dello Stato nazione fondato sul principio della territorialità. Infine, i cortili sono al tempo stesso dei vuoti, degli spazi e delle sculture. Essendo costruiti dai residenti stessi, ho riconosciuto la potenzialità di usarli come sculture da vendere e riprodurre internazionalmente, qualificando il siriano residente come progettista a cui è destinato il pagamento dei diritti d’autore, nell’ottica di implementare l’economia del campo. Infine, riprodurre i cortili in scala 1:1, come sculture con una speciale giurisdizione, significa materializzare quel vuoto in termini giuridici. Significa materializzare la condizione di chi è senza Stato così come i principi di un’idea differente di cittadinanza.
In che modo le pubbliche amministrazioni e i musei possono sostenere il progetto?
Comprando uno dei 61 modelli di cortile con fontana per riprodurlo, come scultura, in uno spazio pubblico locale. L’istituzione che acquista si impegna a pagare le royalties al progettista originario e a convertire la scultura in oggetto e spazio di immunità.
Un importante strumento per l’acquisto sarà proprio il catalogo in via di pubblicazione. Come sarà strutturato?
Sarà una pubblicazione in due volumi. Il primo, una guida non autorizzata alla città campo di Za’atari, che viene illustrata attraverso i suoi monumenti privati (i cortili con fontana). La guida è anche un catalogo commerciale dei modelli di cortile, uno strumento per venderli a istituzioni europee. Il secondo volume contiene contributi teorici e una ricerca formulata da giuristi per servire la conversione delle sculture in spazi con caratteristiche di extra-territorialità. La pubblicazione è quindi uno strumento commerciale, giuridico e teorico destinato a città e istituzioni europee interessate a prendere parte al progetto.
Perché è fondamentale che le fontane che verranno costruite e installate in Europa vadano a beneficiare di un regime di extra-territorialità?
Per prendere le distanze, come oggetti e spazi praticabili, dalla sovranità territoriale dello stato su cui poggiano. Con decisione fuori dal simbolo, pietre di fondazione di un’altra città, che è al tempo stesso un altro modo di intendere la cittadinanza.
La fontana che hai inaugurato al Parco Alcide Cervi di Reggio Emilia è stata capovolta. La vasca diventa dunque la base, il sostegno per l’intera struttura…
Sì, se nel campo il cortile faceva da basamento per la vasca della fontana, in Europa i rapporti si invertono e la fontana funziona da piedistallo per la piattaforma del cortile, comunicando la sua separazione dalla terra e la sua qualità di spazio praticabile.
Anche un altro tuo importante progetto – 1XUnknown 1942-2018, to Fortress Europe with Love – nasceva dalla mappatura di un territorio, all’interno del quale rintracciavi i bunker che costituivano l’Atlantic Wall, il sistema di fortificazioni edificato dalla Germania di Hitler durante la Seconda guerra mondiale. In questo lavoro si possono leggere pressanti rimandi all’attualità…
Le 15000 fortificazioni dell’Atlantic Wall (1942-1944), costruite lungo la costa atlantica europea tra i Pirenei e la Norvegia, furono volute da Hitler per difendere la Fortezza Europa dall’esercito americano. Un progetto demenziale che rimase incompiuto e che oggi mostra i propri resti. Stati e imperi che alzano muri si sentono in pericolo. Sappiamo bene che solo il popolo che si apre, si sposta e si nutre delle differenze ha le qualità per diventare grande.
Pur trattando temi di grande attualità, non sei un’attivista. Quale credi che debba essere il ruolo dell’artista oggi?
Non “trattare temi di grande attualità” ma soffrire adeguatamente il proprio tempo per costruirne uno migliore; intendere il proprio lavoro come un dispositivo che agisce con forza dentro le urgenze del presente.
Da un lato realizzi progetti che richiedono grandi risorse, non solo economiche, ma anche personali ed intellettuali, dall’altro sei apprezzata e seguita da importanti fondazioni e realtà museali. Qual è il tuo rapporto con il mercato? Di quali economie vive il tuo lavoro?
Me ne servo per finanziare una parte del mio lavoro e per il mio sostentamento, perché nel mio caso l’arte è anche un mestiere. Credo tuttavia che ci siano progetti che debbano andare oltre il mercato dell’arte. The Fountains of Za’atari è uno di questi, è uno strumento commerciale che usa i canali del mercato dell’arte a beneficio dell’economia del campo di Za’atari, ma che io come autore non commercializzo. Finora The Fountains of Za’atari è stato finanziato dal Ministero dei Beni e le Attività Culturali italiano (2017-2018) e dalla Collezione Maramotti di Reggio Emilia (2018-2019)
Quella della Collezione Maramotti è una tappa importante per The Fountains of Za’atari, che si è attivato per la prima volta come dispositivo completo. Quali saranno i prossimi appuntamenti? Qualche anticipazione?
Sì, la Collezione Maramotti ha permesso la finalizzazione e l’attivazione completa del progetto. Spero si confermino le condizioni per presentare The Fountains of Za’atari in Sicilia, Israele e Germania il prossimo anno.
Margherita Moscardini, The Fountains of Za’atari
14 aprile – 28 luglio 2019
Collezione Maramotti
Via Fratelli Cervi 66, Reggio Emilia
Info: +39 0522 382484
info@collezionemaramotti.org
www.collezionemaramotti.org