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MILANO | Nuova Galleria Morone | Fino al 24 marzo 2012

Intervista a MARCO GRIMALDI e MATTEO MONTANI di MATTEO GALBIATI

Ci affascina sempre incontrare artisti che, nonostante adottino strumenti considerati tradizionali nell’identificare il percorso compiuto dalla loro ricerca, riescono ad affermare con precisione la coerenza e la maturità della propria poesia. Stupisce ancor di più quando, come accennato, rendono l’espressione della pittura – tecnica che nella contemporaneità viene bollata come obsoleta o, peggio, che da altri viene invece svilita da un’interpretazione figlia di un accademismo deplorevole – un mezzo emotivo tanto personale quanto innovativo. La pittura riesce in loro a far deflagrare immagini che catturano l’attenzione e la ricognizione di chi l’osserva in modo istintivo e naturale. Il caso è evidente nella mostra I luoghi dell’immagine, che riunisce, sotto l’attenta regia curatoriale di Davide Sarchioni, le opere di due giovani artisti i cui differenti orizzonti immaginifici si trovano in logico raffronto: Marco Grimaldi e Matteo Montani. Incontriamo i due artisti per un breve dialogo. Una doppia intervista per una particolarissima mostra a due voci:

Matteo Galbiati: La vostra è una pittura aniconica, ma al contempo pare essere così dichiaratamente rappresentante? Cosa volete raffigurare?
Marco Grimaldi: Ciò che mi interessa è la magia della pittura e la sua forza evocatrice. Il problema non è in ciò che io posso rappresentare oppure no, il punto sta nella forza che riesco ad imprimere al quadro, inteso come corpo che si pone nello spazio. Per me questa è un’esigenza vitale.
Matteo Montani: Credo che nella nostra pittura si possa riscontrare la peculiarità di essere apparizione. Sono momenti epifanici nei quali l’artista è il mezzo ed è nel “mezzo”. Traduce immagini e forme primigenie, ma non estranee e dunque riconoscibili, anche se non riconducibili immediatamente ad un dato figurale. Un commento che sento spesso sulle mie opere è che lo spettatore vi riconosce qualcosa che gli appartiene profondamente, anche se è la prima volta che le vede.

Il vostro modo di dipingere si concentra prevalentemente su un’immagine cromatica che pare cangiante. Le cromie si fanno sostanza in continua evoluzione, in divenire costante. Quanto vi interessa la mutevolezza in fieri delle vostre opere?
MG
Quando inizio un lavoro voglio che si senta il passaggio del tempo, ogni barra dipinta, pur avendo una sua storia e una sua luce, deve mettersi in rapporto con tutta la struttura compositiva, anche se, alla fine non so se riesco ad imprimere questo passaggio al quadro oppure no… Dopo, a freddo, riguardando il lavoro scopro questa lieve e continua evoluzione di “situazioni”. Solo allora capisco che il quadro c’è!
MM Come sottolinei tu queste opere vivono di una forza interna riconducibile al concetto di Naturans. Sono opere che hanno bisogno di un processo mimetico con la natura, non nel suo fine di essere riconoscibile quanto natura, bensì proprio nell’esigenza di essere lavorate in modo “naturale”. A volte ho bisogno di muovere il quadro in quattro direzioni: lateralmente, ascensionalmente e discendentemente, come avviene ad esempio per il ciclo dell’acqua…

Possiamo dire che quell’immagine in voi abbia un aspetto trasfigurante più che rappresentante?
MG
Sono d’accordo, per quanto mi riguarda direi proprio di sì!
MM
La trasfigurazione avviene nel momento in cui si sente questa necessità, questo forte impulso della forma che cerca di incarnarsi in un’immagine. Non è detto che ciò debba per forza accadere in maniera netta. La cosa fondamentale è la tensione al processo.

Cosa rappresenta per voi il colore?
MG Il colore è una materia che ogni volta devo riuscire a far parlare. La questione non si pone infatti unicamente sul colore come entità, ma se riesco a farlo parlare, a farlo esprimere.
MM
Questa per me è una domanda difficilissima! Un giorno avrei detto luce, oggi dico semplicemente materia…Ma non è dato al visitatore della mostra o al lettore dell’articolo sapere perché!

Qual è il luogo dell’immagine cui si allude nel titolo?
MG
È, per me, un habitat. In questo momento lo sento come un luogo di rifugio, il più sicuro che io conosca…
MM
È un riverbero di una frequenza che sta tra l’artista e il mondo. Il paesaggio inteso come “melodia delle cose”1

Siete pittori che si “sporcano” le mani col colore. Come lo lavorate, come conseguite la magia dello spazio che aprite con questo?
MG Scelgo accuratamente le tele, ma soprattutto le preparazioni di fondo a seconda di quello che sto per dipingere. Dopo gli studi che disegno su carta, cerco quello che mi interessa. È la fase più bella: prendo i disegni, li sovrappongo, li accosto, li ritaglio fino a quando non trovo ciò che cerco. Alla fine di questo procedimento riporto sulla tela la composizione e comincio a dipingerla, sempre prendendomi tutto il tempo necessario. Più che dipingere cerco di dialogare con quello che quotidianamente mi trovo di fronte.
MM Ci si affida alla sua potenza; si cerca il momento opportuno per fermare tutto prima che sparisca. Ma anche il contrario: ritrovare la strada dopo il naufragio. In ogni caso alla fine il pavimento dello studio è sempre off-limits!

Vi siete confrontati in occasione della preparazione della mostra?
MG Purtroppo no, però il lavoro di Matteo Montani lo conosco da tempo. Quando Davide Sarchioni mi ha proposto questo confronto ho accettato con molto entusiasmo.
MM No, ma quando mi è stata proposta il fatto che fosse con Marco Grimaldi per me è stato determinante. Sono in una fase del lavoro nella quale stanno succedendo molte cose e sono piuttosto restio ad esporre in questo momento, ma quando mi è stato proposto questo dialogo ho subito accettato, perché sapevo che le opere di Marco avrebbero risuonato con le mie e viceversa.

Cosa pensate di questa occasione in cui vi siete accostati in dialogo serrato?
MG Penso che il risultato sia davvero buono. Questo grazie anche a Diego e Marco della galleria che hanno capito le nostre esigenze espositive interpretandole in modo, credo, perfetto.
MM Credo che sia il frutto di un lavoro fatto con molta determinazione e con cognizione di causa sia dal curatore che dai galleristi. Non è una mostra pretestuosa: è un progetto che è stato curato con passione.

Cosa vi colpisce del lavoro dell’altro?
MG Il silenzio profondo…
MM Che anche nelle sue opere s’avverte distintamente la restituzione di qualcosa che ci appartiene profondamente.

Marco Grimaldi & Matteo Montani. I luoghi dell’immagine
a cura di Davide Sarchioni

Nuova Galleria Morone
Via Nerino 3, Milano

Fino al 24 marzo 2012

Info: +39 02 72001994 – info@nuovagalleriamorone.com
www.nuovagalleriamorone.com

1 Cfr. Rainer M. Rilke, Appunti sulla melodia delle cose, Passigli, 2006

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