BOLOGNA | Gallleriapiù | 25 settembre – 19 dicembre 2020
Intervista a MARCO CERONI di Isabella Falbo
Brand identity per una mostra d’arte: SLAG, personale di Marco Ceroni alla Gallleriapiù di Bologna, mette in discussione il confine tra opera d’arte e design e la differenziazione tra estetica e funzionalità. Lo spazio espositivo da asettico white cube diventa per tutta la durata della mostra un Temporary Store aperto a tutti, che ammicca al mondo della musica e della moda street wear.
Abbiamo incontrato Marco in occasione dell’inaugurazione, è stato un piacere conoscerlo ed entrare nel suo mondo.
Marco, con la tua pratica artistica desideri parlare ad un pubblico ampio, arrivare anche ai ragazzini o a coloro che non entrerebbero mai in una galleria d’arte perché nell’immaginario collettivo è un mondo snob: facendo collassare tutte le barriere e crollare le narrazioni sociali con la tua mostra SLAG alla Gallleriapiù di Bologna centri l’obiettivo ricreando un ambiente immersivo estremamente interessante e coinvolgente. Come è nato il progetto?
SLAG ha preso forma in maniera spontanea e naturale e pezzo dopo pezzo si è delineato sempre meglio. Ogni passaggio è stato fondamentale, partendo dalla residenza presso il Museo Carlo Zauli, dove ho realizzato tutte le sculture. In SLAG volevo sentirmi il più libero possibile nella costruzione di un progetto ibrido dove mondi ed immaginari differenti flirtassero fra di loro. Volevo portare in superficie molte componenti della mia ricerca e della mia vita e per fare questo nel miglior modo possibile avevo bisogno di una bella crew.
Amplificare e collaborare potrebbero essere due parole chiave del tuo lavoro: SLAG ad esempio è il risultato di un processo collettivo, in cui hai coinvolto diversi membri della tua “tribù”, che insieme a te si sono espressi dando vita ad un “superlavoro”. Trovo sia molto intelligente questa modalità, ci vuoi parlare di loro?
Ho pensato a persone che spaccano, ognuno nel proprio campo, e ho proposto loro di collaborare a questo progetto. Tutti hanno dato il meglio! Molti erano amici di vecchia data e altri, dopo esserci conosciuti, sono diventati dei fratelli.
Giorgio Bartocci, artista visivo che si muove in molteplici contesti, ha realizzato un intervento pittorico site specific sulle pareti della galleria a quattro mani con Stefano Serretta, anche lui artista e amico. Lavorare con loro all’interno della galleria è stato un momento carico di energia: le mie sculture trovavano finalmente il loro habitat tra i lettering e i loop disegnati da Stefano e la pittura liquida e lisergica di Giorgio. Per citare Stefano: “questo featuring è filato giù liscio come l’Absolut”. Toni Brugnoli ha immortalato le mie opere e i miei lavori attraverso il suo tipico sguardo crudo e metropolitano: ci siamo incontrati il 14 di agosto in una rovente Milano ed è nata una narrazione esplosiva. Gabriele Colia, che ho conosciuto grazie a questo progetto, ha creato l’immagine grafica del progetto immergendosi pienamente nel mio mondo; Veronica Santi con la sua forza e sensibilità visiva ha realizzato un video, che racconta il behind the scene di SLAG, finalizzato al lancio di questi nuovi lavori.
Elementi ricorrenti nella tua pratica artistica sono componenti esistenti di motorini, ri-assemblati e trasformati in sculture totemiche, in maschere che richiamano daimones, ecc… Hai definito SLAG “un attacco alla realtà dove il panico cerca di arrampicarsi alla superficie delle cose”. Una vibrazione di potere sembra far attivare questa sorta di mascelle. SLAG evoca un altro daimon? Il dio Pan?
Non tirerei in mezzo Pan: non vorrei farlo incazzare. Sicuramente in alcuni miei lavori l’elemento totemico è molto presente, penso a CULT (2019): quelle carene di scooter diventavano delle figure conturbanti tra bestiale e demoniaco. In SLAG (2020), invece, sento meno presente questa componente: qui la forma di una carena di Booster viene riprodotta in ceramica e modificata tramite innesti che richiamano più il mondo organico, creando così una collezione di sculture in bilico tra scorie e resti animali. Dentro ad un residuo del quotidiano si apre una spaccatura per far emergere un altro mondo: questo può essere brutale e aggressivo, ma per me è un mondo di possibilità dove si aprono anche nuove forme di vita e di convivialità urbana. Mi diverte che tutti chiamino queste sculture bocche, mandibole, mascelle: sembra emergere un certo tipo di linguaggio fatto di slang e di codici che solo alcuni possono comprendere.
Di recente ti sei confrontato con la ceramica, tutti i pezzi in mostra sono sculture uniche, in edizione limitata, che hai realizzato durante il tuo periodo di residenza al Museo Carlo Zauli. Come è stato confrontarti per la prima volta con questo medium, dopo la performance e i mixed media?
Mi sono approcciato a questo materiale in una maniera molto spontanea, cercando di farlo aderire al mio mondo e non viceversa. Con la ceramica ti si apre uno spazio di possibilità immenso in cui ti puoi perdere: percepisco qualcosa di pericoloso al suo interno. Grazie all’aiuto della Maestra ceramista Aida Bertozzi ho preso confidenza con il materiale e penso di aver compiuto alcuni passi importanti all’interno della mia ricerca proprio grazie alla ceramica. Se penso all’opera LACOSTE (2020) vedo proprio questo.
Fino al 19 dicembre LACOSTE, l’opera presente nella tua personale SQUAME al Museo Carlo Zauli di Faenza, abiterà la prima sala di SLAG da Galleriapiù. Ci racconti come un residuo di copertone squarciato, che hai trovato al bordo di una strada, possa trasformarsi in una coda di coccodrillo di ceramica?
Penso sia importante per la lettura dell’opera specificare che non ho trovato materialmente un copertone squarciato a bordo strada. Non c’è stato, a differenza della maggior parte dei miei lavori, nessun prelevamento dalla realtà. In questa scultura manca un appiglio al quotidiano fisico e riconoscibile perché la realtà qui viene totalmente trasfigurata. Un copertone squarciato a bordo strada lo incontriamo tutti: ed è stato da quella stessa visione che ha preso vita la mia opera. Un’autostrada non potrebbe essere un fiume paludoso dove affiorano parti di rettili? In fondo dovremmo esserci abituati all’idea che domani potremmo svegliarci in un mondo completamente diverso da quello di oggi.
Nel 2016 Artribune magazine ti ha dedicato la copertina del n. 31, è un’immagine forte, paradigmatica del tuo approccio alla vita e all’arte: afferrare con i denti l’ambiente urbano, introiettarlo a livello viscerale per riproporlo trasformato e ricreato da te in un continuo cortocircuito. Siamo nel pieno di un cambiamento epocale: si dice che presto avremo un palcoscenico nuovo sul quale agire, che continueranno a sgretolarsi le certezze sociali mentre in parallelo rifiorirà la forza e la bellezza della natura. Tu che appari così “urban” che rapporto hai con la natura?
Mi trovo sicuramente più a mio agio in un sentiero metropolitano che in uno di montagna. Io vedo l’ambiente urbano come qualcosa di naturale. D’altronde siamo anche noi parte della “natura”, non siamo qualcosa di separato. Abbiamo sempre costruito cercando di definire il nostro ambiente risultando quindi una specie molto invasiva: siamo parassiti e la natura ce lo sta facendo capire. Non credo che la bellezza sia una specifica della natura, ma credo piuttosto in una sua indifferenza: la vita andrà avanti ad ogni costo e noi non siamo indispensabili. Il palcoscenico è questo.
Marco Ceroni_SLAG
25 settembre – 19 dicembre 2020
Gallleriapiù
Via del Porto 48 a/b, Bologna
Orari: martedì/venerdì dalle 14.30 alle 19.30, sabato dalle 14.00 alle 19.00
Info: +39 0513179675
info@galleriapiu.com
http://www.gallleriapiu.com/