ROMA | Piomonti Arte Contemporanea | 30 gennaio – 28 febbraio 2015
Intervista a MANUELA BEDESCHI di Matteo Galbiati
Ha inaugurato da qualche settimana la mostra Manuela Bedeschi. L2U0C1E5 che ha portato nella storica galleria romana di Pio Monti Arte Contemporanea una serie di opere recenti di Manuela Bedeschi.
I colori e le luci dei suoi lavori trasmettono l’impronta di una sensibilità attenta e intrigante che, con pochi elementi che si riassumono in un segno luminoso dispiegato nell’ambiente, arrivano a toccare in modo inevitabile lo sguardo di chi li osserva catalizzandone il desiderio di scoperta e lettura. Non ci si può sottrarre all’evidenza di questa luce-forma. Proprio in occasione di questa personale a Roma abbiamo incontrato l’artista per questa breve intervista:
Il 2015 si apre con la tua personale in una galleria storica di Roma come Piomonti Arte Contemporanea, come è nato questo progetto?
Pio Monti è un nome storico e noto a tutti, ma non c’era una conoscenza diretta. L’occasione è nata dalla mia amicizia con Francesca Valente, la curatrice della mostra, coraggiosa direttrice di vari istituti di cultura negli Stati Uniti, lei me lo ha presentato durante un mio soggiorno a Roma, città che amo molto e che frequento da sempre per motivi familiari. Conoscere Pio è stato assolutamente travolgente, la sua scoppiettante immaginazione è sempre in azione, dire “una ne fa e cento ne pensa” è poco, stargli dietro è avventuroso, ma imperdibile! Grazie a lui ho conosciuto anche Simonetta Lux, che ha aggiunto un’importante nota a quanto scritto da Francesca Valente.
Quest’anno l’UNESCO ha proclamato l’Anno Internazionale della Luce. Credo sia una delle ragioni che ti hanno spinta a pensare a questo progetto. Rispetto alla celebrazione internazionale cosa vuoi mettere in evidenza? Hai attuato scelte mirate in merito?
No, questa coincidenza è stata del tutto fortuita: la mostra era decisa, ma è slittata al 2015 per vari motivi, e sentire che c’era l’aggancio con questo messaggio internazionale è stato uno stimolo in più a realizzare il tutto. Io personalmente non posso aggiungere nulla al mio lavoro che già si basa tutto sulla luce.
Per te la preparazione di una mostra richiede una gestione molto lunga, non ti limiti mai ad esporre opere di repertorio, ma pensi sempre a qualcosa di specifico per il luogo. Quali sono le opere site-specific che presenti e che valore hanno in questo contesto?
Sì è vero, il mio rapporto stretto con “il luogo” in cui espongo è sempre determinante, e questa volta, dopo ripetute visite per “viverlo”, ho capito che la sua collocazione, cioè l’affaccio unico e suggestivo della galleria sulla splendida Piazza Mattei, con la Fontana delle Tartarughe e i palazzi attorno saturi della loro storia, era una condizione che non potevo eludere. Dovevo assolutamente mettermi in dialogo con l’esterno, per questo ho realizzato un grande lavoro a muro proprio sulla parete principale e frontale alla vetrina, in modo che la sua vista, dall’esterno, fosse assicurata anche per il passante, osservatore casuale. Abbiamo notato poi che la maggior parte di loro sono indotti ad entrare, a testimonianza che si era creato un buon dialogo con “il fuori” della galleria.
Luce e colore un binomio strettamente compenetrante di senso che, in te, ha una radice forte nella tua precedente pratica pittorica. Con la luce dipingi l’ambiente e l’opera si dilata all’esterno. Come riesci a calibrare questa natura sfuggente del tuo lavoro?
Mi è difficile rispondere, credo che sia il contrario, cioè che sia la luce stessa a calibrare il mio intervento, sia nell’uso del neon che dà luce, ma è anche elemento protagonista lui stesso, in quanto tubo di vetro colorato o non, è materia con cui si disegna una forma che crea linee. Ma anche con la luce a led che uso per retro-illuminare: non si vede come elemento concreto, ma serve a dare significati e sensazioni che la sola materia non trasmette.
Con una ricerca tanto ridotta ai minimi termini dove possiamo rintracciare l’anima poetica della tua complessa ed articolata personalità e del suo ricco e fecondo pensiero?
Il mio percorso è stato lungo e diversificato, ma tutto è evoluto in me in modo naturale, come esigenza naturale di fare quel che stavo facendo, anche se diverso da quello del periodo precedente. In questo sono stata aiutata dalla non necessità di rendermi facilmente commerciale, cosa che ho sempre rifiutato categoricamente. Ma ancora adesso sento, saltuariamente, il bisogno di lavorare su soggetti del passato, il “luogo” come “casa” e i suoi oggetti. O il “luogo mentale”. Quello che tu chiami “anima poetica” io non lo so distinguere nei vari periodi del mio lavoro: forse prima era il bisogno di recuperare vecchi materiali per dare loro una nuova vita e che raccontasse anche quella passata, ora è più il bisogno di segnare i momenti con linee precise. Non so. Sono sempre io. Credo sia strettamente legato alla vita che cambia.
Penso che molti avranno, spesso, apparentato le tue opere alle ricerche minimali e concettuali degli Anni Sessanta. Come rispondi a questo accostamento, in cosa ti avvicini e in cosa sei distante?
Non so darti coordinate precise, non le so individuare. Credo che tutti noi che lavoriamo nel campo delle cosiddette arti visive, passiamo la vita a guardare in continuazione: i libri, la stampa, il cinema, le mostre e i musei, ci metto anche la televisione che, a volte, sa essere interessantissima. E poi, la lettura, che ti fa vedere quello che la tua mente vuole e sa. Personalmente mi pare di aver sempre avuto una specie di bulimia da visione allargata, un bisogno di incamerare. Fin da bambina frequentavo la Biennale di Venezia, era una visita obbligatoria nelle giornate piovose durante le nostre vacanze estive al lido. Ricordo momenti di pausa verso metà percorso, nel piccolo cortile opera di Carlo Scarpa, e la quiete che si percepiva in quel tipo di spazio che univa rigore architettonico e amore per la natura. Ricordo ancora la perplessità di mia madre per le “scatolette” di Manzoni e il mio pensare che “doveva esserci un significato” se erano lì e noi ci fermavamo a pensarci, forse il significato stava nel domandarselo? Poi alle scuole medie un’insegnante illuminata mi ha spiegato come leggere un quadro di Turcato che avevamo in casa: un’illuminazione. Credo proprio di aver cominciato così, guardando e facendomi delle domande, e quello che ho guardato in seguito era quello che presentava il momento, facendomi naturalmente scegliere una linea predominante sul resto. Sicuramente posso essere accomunata a varie ricerche artistiche, ma mi sono sempre sentita libera da incasellamenti o debiti. Per esempio, guardando un po’ indietro, amo molto i Preraffaelliti, il Simbolismo e l’Art Decò. Se devo fare dei nomi dico per primi Segantini e Friedrich. In effetti, mi sento vicina ai decadenti in genere!
Le tue opere agiscono alla visione per un incastro di opposte percezioni sensibili: sono in bilico tra bidimensionalità e tridimensionalità; tra apparire e scomparire; tra monumentalità circoscritta e dispersione nell’infinito. Come bilanci queste forze “divergenti”?
Ho sempre dato ragione a chi dice che la vita è fatta sì, di bianchi e neri, ma anche di tanti grigi… Tutto può convivere, soprattutto se lo si riconduce a motivi mentali, che non hanno regole scientifiche da rispettare, ma sono liberi e indipendenti… Per fortuna. Luci ed ombre mi appartengono, sono una stessa cosa, una deriva dall’altra. Si bilanciano da sole.
Così pure monumentalità e dimensione minima, oppure piano e tridimensionalità. Come dici tu, sono forze divergenti, ma ci pensano da sole a bilanciarsi, io devo solo metterle in luce… letteralmente!
Rispetto alla scelta cromatica invece? Come scegli e accosti i colori?
Fondamentalmente prediligo i colori vitali, caldi, colori del sole e del sangue. Qualche volta ho bisogno di usare quelli della natura, i verdi e gli azzurri di prati, acqua e cieli. Abitualmente uso il monocromo, scegliendo una tonalità per volta anche se, ultimamente, sto facendo qualche incursione nel “colorato”. Anche negli accostamenti non ho regole fisse, a volte un colore solo, altre la gamma dei caldi o dei freddi, altre cerco il contrasto.
Nei lavori a parete cosa resta del “quadro” e del suo mistero?
Sono assolutamente convinta che rimanga proprio tutto.
Quale riscontro hai avuto in queste prime settimane di apertura?
La risposta è stata ottima, Roma mi ha accolta generosamente. Forse, anche grazie all’attenzione posta sulla luce da questo Anno Internazionale proposto dall’UNESCO, si riesce a parlarne con serietà ed impegno.
Sei instancabile e infaticabile, immagino starai già lavorando a nuove idee. I prossimi progetti? Sempre che si possano anticipare…!
Come sai io preferisco sempre parlarne a cose fatte!
Manuela Bedeschi. L2U0C1E5
a cura di Francesca Valente
con un testo di Simonetta Lux
30 gennaio – 28 febbraio 2015
Pio Monti Arte Contemporanea
Piazza Mattei 18, Roma
Orari: lunedì 15.00-20.00; da martedì a sabato 11.00-20.00
Info: +39 06 68210744
permariemonti@gmail.com
www.piomonti.com