TORINO | Museo Nazionale del Cinema – Mole Antonelliana | 6 aprile 2022 – 16 gennaio 2023
di MICHELE BRAMANTE
Alla Mole di Antonelli, icona architettonica della volontà di potenza per Nietzsche, il Museo del Cinema celebra Dario Argento, originale interprete del genere thriller, che ha saputo spingere oltre le convenzioni, e dell’horror, con cui Argento esplora morti da incubo, creando mondi di finzione soprannaturale coerenti quanto le logiche enigmatiche del giallo. Dario Argento – The Exhibit, dal 6 aprile 2022 al 16 gennaio 2023, corona il legame indissolubile tra il regista e la città di Torino, scelta come sfondo di delitti e deliri in tanti suoi film.
Nell’atrio della Mole la gigantografia di un coltello infilzato nel pavimento sanguinante separa due schermi su cui scorrono frammenti tratti dalle pellicole più celebri, un collage continuo di volti terrorizzati, luci inquietanti, rasoiate al collo, accompagnati dalle colonne sonore che hanno avuto un ruolo fondamentale nel successo delle scene, dal lirismo onirico di Ennio Morricone all’incalzante rock progressivo dei Goblin. Impossibile dimenticare le note ipnotiche di Profondo Rosso.
Assassini e morte sono il motivo attorno a cui ruota tutta la cinematografia di Argento. Il tema dell’omicidio scatta dai moventi primitivi del piacere e della sopravvivenza. In tutte le sceneggiature è evidente un compiacimento immaginifico per il sangue e la violenza efferata. Il sadismo è presente, anche se indirettamente, nelle manie del serial killer di Opera, ma perfino i demoni sono perversi e teatrali quando torturano per uccidere. All’istinto di conservazione è legata la morte, sempre certa, del carnefice, crudele e plateale quanto quella delle sue vittime, in modo da ricomporre il senso di giustizia dello spettatore, scaricarne la tensione e ripristinare la quiete nell’ordine normale della salvezza.
L’unica eccezione all’assioma omicida è la commedia storica Le cinque giornate. La digressione non è un caso, Argento ha condito di caratteri grotteschi e simpatici alcune tra le trame thriller più famose. Basti ricordare il personaggio di Diomede (per gli amici Dio), interpretato da Bud Spencer, o il postino malmenato per errore in 4 mosche di velluto grigio. L’intrigo di questo film si scioglie grazie a una tecnica quasi fantascientifica, rilevando l’ultima immagine rimasta impressa sulla retina della vittima. Il congegno principale del thriller è sottile e sofisticato, i sospetti sono continuamente deviati e lo svelamento dell’identità del maniaco rimane una sorpresa a cui nessun indizio avrebbe portato. Solo a posteriori l’assassino rivelerà il movente psicologico, l’infanzia vissuta nella confusione di genere tra maschile e femminile, forzata dai genitori e introiettata fino all’impulso omicida, consegnando il film al filone psicopatologico di ascendenza hitchcockiana. Nel precedente Il gatto a nove code (il personaggio da commedia è il barbiere) c’è quasi una dichiarazione programmatica: “un gatto a nove code […]. Se noi riuscissimo ad afferrare una sola di queste code, avremmo la soluzione dell’enigma”. L’enigma si moltiplica in più raggi, ognuno dei quali potrebbe dare la soluzione. Anche qui, però, tra false ipotesi, omicidi che interrompono le piste investigative e smarrimenti di indizi, il giallo rimane logicamente insoluto, e il colpevole si rivelerà d’improvviso. La causa della sua follia omicida viene ascritta a un difetto genetico, chiamato sindrome XYY, che la criminologia scientifica nascente collegava al comportamento violento.
I due film completano la Trilogia degli animali iniziata con l’esordio alla regia di Argento ne L’uccello dalle piume di cristallo del 1970.
La forzatura del genere diventa caratterizzante per il regista. Dopo gli innesti di commedia e fantascienza, il thriller di Profondo rosso apre spiragli alla dimensione onirica. L’assassinio più famoso della sua cinematografia si consuma nella piazza C.L.N. di Torino, davanti a un magnifico bar ispirato ai dipinti di Edward Hopper, la cui clientela quasi immobile compone un surreale tableau vivant pittorico. Al principio del film i due protagonisti conversano davanti al bar della confusione tra realtà e immaginazione e del relativismo della verità.
Anche in Suspiria alcune scenografie sono dichiaratamente pittoriche. Il musicista cieco muore in un’inquietante piazza neoclassica, attraversata da un vuoto carico di presagi come le architetture di de Chirico. Ad ucciderlo sono le zanne del suo mansueto cane guida, impazzito di aggressività per un sortilegio malefico lanciato dalla scuola di danza, che si rivelerà un covo di streghe. La protagonista, una ballerina in cerca di spiegazioni per gli strani eventi che avvengono nella scuola, chiede informazioni a due studiosi, con un dialogo che funzionerà come una sorta di dichiarazione cinematografica dello stesso regista. L’amico psichiatra della ragazza, dopo aver espresso un parere da scienziato scettico, la presenta a un esperto di stregoneria: un brano di metacinema che annuncia il passaggio dal positivismo psicanalitico dello psicothriller al paranormale dell’horror. Da qui in poi Argento alternerà la sua produzione tra i due generi, riuscendo, nei migliori film, a unire la suspense dell’investigazione razionale con lo straniamento irreale.
Dopo Suspiria, il trittico stregonesco continua con Inferno e si conclude 30 anni dopo con La terza madre. Solo l’ultimo è costruito su cliché che lo rendono un horror piuttosto debole. Inferno recupera l’espressionismo cromatico del maestro Mario Bava e perfino le sue atmosfere gotiche. In Suspiria il colorismo si unisce al virtuosismo decorativo che ricorda certe ossessioni visive di Kubrick.
A parte qualche finezza classica del lessico argentiano (il guanto nero dell’assassino, i close-up sugli occhi), alcuni elementi costanti rendono inconfondibile il suo stile: la crudeltà esasperata, il dettaglio dimenticato che potrebbe risolvere il caso, lo straniero casualmente coinvolto che si appassiona all’investigazione rischiando se stesso, personaggi angelici o addirittura fatati in profonda comunicazione con la natura (Phenomena e il finale sorprendente – ancora una torsione del genere – di Opera) e, brillanti, le digressioni extranarrative, come il citato dialogo sulla verità, l’attenzione sull’omosessualità, sull’identità sessuale e l’ironia sul machismo, con una sfida a braccio di ferro vinta da una donna sul protagonista di Profondo rosso, punto nell’orgoglio.
La mostra racconta il cinema di Argento seguendo un inflessibile ordine cronologico, intervallato dai memorabilia dei suoi film. Con il proprio materiale Argento ha creato una struttura di rimandi interni, di autocitazioni, un universo personale di strategie filmiche e variazioni sul tema. Il rischio che ha dovuto affrontare è stato quello di essersi intrappolato nelle proprie invenzioni senza riuscire a trasgredire se stesso. Quando ha scelto di non cercare nuove varianti dalle proprie formule è caduto nell’esecuzione convenzionale. Il suo universo di invenzioni e strategie della tensione scenica rimane tuttavia una pagina originale e memorabile nella storia del cinema.
DARIO ARGENTO – The Exhibit
A cura di Domenico De Gaetano e Marcello Garofalo
Mostra realizzata con il patrocinio del MiC Ministero della Cultura
6 aprile 2022 – 16 gennaio 2023
Museo Nazionale del Cinema – Mole Antonelliana
Via Montebello 20, Torino
Per orari, biglietti, prenotazioni e modalità di accesso: www.museocinema.it