MAMIANO DI TRAVERSETOLO (PARMA) | Fondazione Magnani-Rocca | Fino al 3 luglio 2022
di ILARIA BIGNOTTI
La mostra Lucio Fontana. Autoritratto nasce da un dialogo avvenuto il 10 ottobre 1967 tra quello che già allora era considerato il maestro dello Spazialismo e la critica d’arte Carla Lonzi, la quale, come ricostruisce con acribia Gaspare Luigi Marcone, curatore dell’esposizione con Walter Guadagnini e Stefano Roffi, aveva inventato una “nuova modalità tecnico-operativa della ‘conversazione-registrazione’ […]” radicalizzando “con mezzi e atti nuovi l’idea di una critica ‘in presenza’ del maestro Roberto Longhi”.
Lonzi infatti aveva registrato questa lunga conversazione con Fontana, per poi trasferirla nel poderoso, e magistrale volume di interviste dal titolo Autoritratto. Accardi Alviani Castellani Consagra Fabro Fontana Kounellis Nigro Paolini Pascali Rotella Scarpitta Turcato Twombly, edito da De Donato, Bari, nel 1969.
Basterebbero questi dati per far capire l’importanza del progetto espositivo, ma anche la sua complessità: parlare (ancora, perché ancora c’è da parlare) dell’eredità visionaria di Lucio Fontana attraverso il dialogo con una figura straordinaria della nostra critica d’arte, militante e radicale, quale Carla Lonzi; e farlo attraverso una selezione di opere di straordinario livello, che ripercorrono la produzione del maestro dal 1931 al 1967, appunto, anno fatidico nel quale Fontana stesso, sollecitato dalle riflessioni – non possiamo proprio chiamarle domande in senso tradizionale – di Lonzi ammetteva di sentirsi letteralmente stupito di “questo fiorire, questa evoluzione così rapida e anche così omogenea di tutta questa gioventù che si è scatenata, si può dire, verso le ricerche nuove”.
Fontana, è noto, da sempre seguiva e sosteneva i giovani artisti del suo tempo: da Alberto Burri a Enrico Castellani, da Piero Manzoni – del quale oltre a una Linea possedeva un dipinto del 1956, Wildflowers – a Paolo Scheggi.
Artisti le cui opere, rimaste nella collezione del maestro, punteggiano la mostra, ripercorrendo la passione e l’attenzione che il maestro rivolgeva e coltivava per “il nuovo”: non solo quello epocale, i viaggi spaziali, i mezzi tecnologici, le prospettive e le proiezioni di un futuro che egli leggeva come stimolo e tensione a un assoluto che si doveva tradurre in una forma sempre più pura, sempre più radicale, sempre più sperimentale, ma anche quel nuovo che originava da artisti appena ventenni, avidi e desiderosi di provare a dire, con le proprie parole, queste trasformazioni nel loro farsi.
Per questo motivo, mi vien da evidenziare, in prima istanza questa mostra è da vedere e da elogiare. Perché è un insegnamento, attraverso la forza propulsiva delle opere di Lucio Fontana e degli artisti che egli stesso sosteneva, e attraverso lo scambio tra la parola e l’immagine, nel dialogo con Lonzi, di cui oggi abbiamo ancora profondamente bisogno, di condividere e discutere, confrontarsi e riconoscersi unici pur nella comune volontà di lasciare un segno nella storia.
Riconoscere lo scorrere del tempo, accogliere l’imprevisto ed elaborare anche il conflitto come energia generativa di nuove possibilità.
La mostra racchiude allora questo grande atto etico, un atto di fiducia dell’arte verso la vita, e viceversa: lo fa snodandosi nelle sale della Villa dei Capolavori, attraverso le circa cinquanta opere che la compongono, dalle sculture degli anni Trenta ai “Concetti spaziali” (“Buchi” e “Tagli”) dagli anni Quaranta ai Sessanta, oltre ai “Teatrini” e alle “Nature” bronzee di Fontana, tra le quali sono da segnalare New York 10 del 1962, dove pannelli di rame sono lacerati da tagli e graffiature che sbalzano la materia, rendendola incandescente metafora della luce sullo skyline della Grande Mela, anche, e La fine di Dio del 1963, che possiamo rievocare con le potentissime affermazioni del maestro quando dichiara a Lonzi che “Dio è invisibile, Dio è inconcepibile. […] allora, io faccio un gesto, credo in Dio, faccio un atto di fede”.
Il percorso si chiude con opere di Enrico Baj, Alberto Burri, Enrico Castellani, Luciano Fabro, Piero Manzoni, Giulio Paolini, Paolo Scheggi, parte della collezione del maestro, e si arricchisce delle serie fotografiche scattate da Ugo Mulas a Fontana, del quale sono esposte anche due opere appartenute al grande fotografo; di una di esse è esposta la documentazione fotografica dell’intera genesi, dal primo “buco” all’opera compiuta, un unicum sia nella storia del fotografo sia in quella dell’artista, narrato in catalogo da Walter Guadagnini.
Scorre, nella mostra, il pregevole file audio della conversazione originale e integrale tra Fontana e Lonzi, che diventa traccia narrante ed evocatrice di un percorso di grande intensità umana: una lezione di vita, a partire da un artista messo a nudo. Un autoritratto che il sistema dell’arte dovrebbe, umilmente, saper continuare a fare di sé.
Lucio Fontana. Autoritratto
a cura di Walter Guadagnini, Gaspare Luigi Marcone, Stefano Roffi
Fondazione Magnani-Rocca
via Fondazione Magnani-Rocca 4, Mamiano di Traversetolo (Parma)
Fino al 3 luglio 2022