BOLOGNA | CUBO, CENTRO UNIPOL BOLOGNA – SPAZIO ARTE | 10 APRILE – 27 MAGGIO 2017
Intervista a L’orMa di Matteo Galbiati
Ammirato in mostre e fiere, apprezzato vincitore lo scorso anno del Premio Euromobil Under 30 assegnatogli ad Arte Fiera Bologna (2016), dopo un averlo incontrato nel contesto dell’Arteam Cup 2016, abbiamo voluto approfondire con questa intervista la conoscenza di L’orMa (pseudonimo di Lorenzo Mariani).
Il giovane artista, che si muove, rinnovando sempre l’attenzione del suo sguardo, entro generi diversi, colpisce per quella sensibilità con cui, tra virtuosismo tecnico e poeticità espressiva, racconta di visioni in bilico tra una concessione piena della realtà e lo spostamento sull’ambiguità della virtualità del loro essere ed apparire. Lo abbiamo incontrato nella sua casa-studio milanese – ambiente di grande fascino, sospeso tra quotidianità di vita e alchimia creativa – e, conversando con lui, abbiamo raccolto il suo racconto, non senza qualche sorpresa…
Come si riassumono i passaggi e i cambiamenti delle tue opere? Che fasi attraversano?
Tutto il mio lavoro è da sempre stato “in evoluzione”, mi è dunque difficile individuare dei singoli passaggi o cambiamenti. Amo sperimentare tecniche nuove, studio costantemente manuali, affronto le tematiche a me care sperimentando di giorno in giorno l’espressività più congeniale e di conseguenza anche il lavoro si presenta sempre “nuovo”.
Quali temi segue la tua poetica?
In questi anni ho affrontato varie tematiche, spesso proposte da eventi o concorsi. Nel 2011 ho lavorato ad una scultura sul tema dell’alimentazione sostenibile di Expo 2015 (oggi visibile a Palazzo Lombardia, sede della Regione) e, sempre lo stesso anno, ho sviluppato un lavoro sul rischio default economico. Molte opere, inoltre, affrontano intimamente l’aspetto spirituale e religioso; dal 2014 mi sono concentrato sul tema dell’attuale coabitazione del mondo naturale con quello virtuale.
Ricerca e ricercatore sono parole che usi per qualificare il tuo lavoro. Perché sono tanto importanti? Cosa significano rispetto al tuo ruolo di artista?
Da quando sono bambino non ho mai smesso di sperimentare tecniche nuove e di utilizzarle per esprimere ciò che, nel tempo, sentivo il bisogno di “dire”. Di conseguenza all’interno del mio studio raccolgo materiali, li mescolo, osservo e analizzo i risultati, unendo spesso ricerche scientifiche; anche all’interno di espressioni artistiche “più classiche” come la pittura o la scultura, il cammino è sempre in evoluzione, sperimentando nuove tecniche e vagliando i diversi risultati.
È significativo il tuo rapporto con i grandi artisti del passato e le loro iconografie, nonostante la tua iconografia assuma valori personali e peculiari…
Sì, se cito gli artisti a cui mi ispiro la risposta lascia abbastanza stupiti. Nonostante ami l’arte contemporanea, traggo quotidianamente ispirazione da artisti di tutte le epoche e dai molteplici stili. Sembra un paradosso, ma è proprio guardando al passato che mi rendo conto della grandezza del compito dell’artista e della sua possibilità di innovazione, compito importante e affascinante oggi come non mai.
Un esempio significativo è proprio il grande, imponente e stupefacente trittico che, intitolato Il Giardino delle Delizie e omaggio al fiammingo Hieronymus Bosch, la Galleria Spazio Testoni ha presentato in occasione di Arte Fiera (2017). Come lo hai realizzato e cosa ci racconta? In cosa si connette o richiama all’originale?
Ho concepito quest’opera in occasione del 500o della morte di Bosch. Ho scelto di ispirarmi al suo celebre trittico come spunto per una riflessione sull’essenza dell’umanità con i propri valori e debolezze; la tematica viene rivisitata in chiave contemporanea pur conservando un forte legame con la tradizione e la simbologia sacra. Dal dialogo con l’originale si evince chiaramente che, malgrado il passare dei secoli, i diversi cambiamenti sociali e i numerosi sviluppi tecnologici, l’essere umano rimane sempre l’essere umano.
L’opera è un intreccio di metamorfosi vegetali e naturali in tre dimensioni all’interno di una struttura mobile in richiamo agli antichi trittici. Sui due pannelli frontali (a trittico chiuso) è rappresentata la Creazione divina: qui, nel buio, un intenso fascio di luce illumina un minuscolo seme rivestito in oro zecchino.
Una volta aperto nel pannello a sinistra Adam and Eve: una coppia di enormi soffioni coabita nella stessa pianta in uno stato di armonia primordiale, nutrendosi vicendevolmente. Il soffione è di per sé portatore di semi, pronto a espandersi e riprodursi alla prima folata di vento.
Il pannello centrale, cuore pulsante dell’opera, è una rivisitazione di quello di Bosch dove sono rappresentati i 7 vizi capitali: avarizia, invidia, lussuria, ingordigia, ira, accidia e superbia prendono forma in un variegato intreccio di elementi naturali. L’ultimo pannello a destra, in continuo richiamo all’opera fiamminga, è dedicato al destino che l’uomo scrive in base alle sue azioni terrene. In questo caso, però, non ne faccio una visione infernale definitiva, ma lo ri-leggo secondo una più ottimista, facendo mio il detto evangelico – tradizionale e contemporaneo – “Gli ultimi saranno i primi”.
Nel contemporaneo a chi guardi?
Anche nel panorama contemporaneo c’è l’imbarazzo della scelta. A livello pittorico sono attratto sicuramente dalla freschezza tecnica di Wilhelm Sasnal; dall’approccio poetico-scientifico alla natura di Gilles Clément; amo la forza comunicativa di artisti come Gordon Matta-Clark o del più attuale Ai Weiwei. Mi rapiscono inoltre le rappresentazioni di Jan Švankmajer! Siamo circondati da tanta bellezza che dovreste dedicarmi l’intera rivista per citare tutti!
Le ultime opere hanno al centro il tema della Natura. Cosa ci racconta?
Viviamo in un’era affascinante in cui per la prima volta nella storia del mondo la tecnologia e il virtuale sono diventati componenti integranti del quotidiano, mettendo in un certo senso da parte la nostra natura umana, carnale e concreta; nel mio lavoro dunque la Natura è presa come punto di partenza, ma viene stravolta, destrutturata e ri-codificata in chiave nuova.
Come sei arrivato ad esplorare la liricità della natura e a manifestarne la forza, ma al contempo anche la sua debolezza?
Foglie, fiori, semi, soffioni sono presi come simbolo di concretezza, ma al contempo di estrema fragilità e caducità. Tutto ciò è messo a confronto con la realtà virtuale, realtà ormai solida e concreta, ma dove con un click è possibile cancellare la propria identità da un social network, o perdere anni di memoria con la banale rottura del computer.
Fragile, delicata, immateriale, sospesa tra finzione e realtà. La natura ci spinge a riflettere su uno snodo centrale del tuo lavoro che è il rapporto tra realtà e finzione, tra verità e virtualità…
Sì, indago l’attuale coabitazione del mondo naturale con il mondo virtuale, dove quest’ultimo sta, in un certo senso, diventando “più concreto del concreto”; c’è ma non c’è. Tutto questo non in chiave polemica, si tratta piuttosto di un’indagine curiosa e affascinata di un qualcosa che, per la prima volta nella storia del mondo, si è presentato delicatamente, ma radicalmente.
Sono contento di essere nato in questo curioso secolo e da artista contemporaneo sento il desiderio di indagare e esprimere ciò che ci circonda.
Quanto conta, invece, la riflessione sulla temporalità che va dal tempo dell’esecuzione dell’opera a quello della sua osservazione, ma anche contempla la “durata” dell’opera stessa nel tempo?
Ormai da decenni molti artisti non si preoccupano più della durata del proprio lavoro e spesso la temporalità limitata delle proprie creazioni ne diventa parte integrante. Non è il mio caso! Pur lavorando spesso sulla tematica della caducità, specialmente da quando ho iniziato a usare materiali fragili e naturali, molte delle mie energie vengono spese proprio nel rendere l’opera il più durevole possibile.
Gli ultimi lavori a quali orizzonti hanno aperto il tuo sguardo? In cosa senti sia maturata la tua sensibilità?
Devo dire di essere molto legato a questi ultimi lavori, oltre ad essere il culmine di un lungo cammino mi hanno portato grande successo e riscontro. Racchiudono tutto il mio amore per i dettagli, per la tecnica minuziosa, per l’armonia estetica, il tutto in un linguaggio contemporaneo, espressione del nostro tempo.
Come e in cosa pensi sia “contemporanea” la tua ricerca?
Mi è stato insegnato che la tecnica è pericolosa, perché toglie spazio all’espressività; che l’aspetto decorativo o barocco di un’opera ne è componente negativa e si deve tendere al minimal. Bene, il mio lavoro è la negazione di tutto ciò! In esso, la ricerca tecnica è portata all’estremo, non mi vieto una cura decorativa e spesso le mie opere sono composte da una miriade di piccoli soggetti, che non lasciano spazio vuoto.
Cosa ti aspetti dallo sguardo dell’“altro”? Come accoglie le tue opere il pubblico?
Amo stupire! Penso che uno dei compiti dell’arte sia emozionare e attrarre lo spettatore anche se ciò non è facile oggi, era di immagini e messaggi bombardati di continuo! Ho la fortuna di avere un riscontro molto positivo delle mie opere da parte del pubblico che ne ama la poesia e che, incuriosito, si interroga su come siano fatte, come faccia un soggetto a volare in mezzo a una teca, come possa esser stata formata una struttura così delicata!
Nell’ultimo periodo hai ottenuto grande successo e affermazione anche attraverso premi e riconoscimenti. Quali spunti ti hanno dato?
Anno dopo anno prendo sempre più coscienza di ciò che voglio dire e di come lo voglio dire (artisticamente parlando). Gli importanti riconoscimenti dell’ultimo periodo mi hanno dato sicuramente coraggio nel proseguire su una strada non facile e non sempre in linea con il resto del mondo dell’arte.
Chi ha contribuito o chi ti ha sostenuto in questa tua costante crescita artistica?
Nel mio percorso ho avuto la fortuna di incontrare molte persone che con affetto e gratuità mi hanno sostenuto e accompagnato, specialmente durante i primi tempi, molto difficili per un artista. Sono tanti e mi è quindi difficile citarli tutti. Sicuramente le prime persone che hanno capito la mia tensione creativa sono i miei genitori i quali mi hanno sempre sostenuto e guidato negli anni di formazione.
Quali sono i tuoi prossimi progetti e ambizioni?
Dunque, l’ultimo anno è stato molto esplosivo e sono quindi davvero contento. Il 2017 sarà un anno ricco di eventi e sicuramente uno sguardo sarà rivolto alla diffusione all’estero.
Non posso trattenermi dal chiederti perché hai scelto di usare proprio lo pseudonimo L’orMa…
Penso che l’arte non sia esaltazione dell’artista ma piuttosto il contrario. Durante gli anni di studio ero molto infastidito dalla confusione che molti coetanei avevano riguardo a questo concetto. Ho così deciso di “annullare” il mio nome e cognome a favore di uno pseudonimo: da qui nasce L’orMa, che nonostante tutto al suo interno riporta le iniziali anagrafiche rimanendo quindi… l’orma di Lorenzo Mariani.
[Tratta da Espoarte #95]
L’orMa
Mostra personale del vincitore assoluto del Premio Artem Cup 2016
a cura di Matteo Galbiati
10 aprile 2017 – 27 maggio 2017
CUBO, Centro Unipol BOlogna – Spazio Arte
Piazza Vieira de Mello 3, Bologna
Info: +39 051 5076060
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